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Iran, la protesta continua e internet rimane oscurato

I morti sarebbero tra 100 e 200 in circa 21 città. Difficile comunicare con chi è all’interno del paese. La rete è offline in un blocco che alcuni temono possa preludere alla sostituzione di internet con un intranet controllato dal governo

La protesta in Iran scatenata dall’aumento del prezzo del petrolio del 15 novembre ha causato almeno un centinaio di morti secondo Amnesty International. L’organizzazione per i diritti umani, che ha rilasciato un comunicato il 19 novembre, scrive che «almeno 106 persone in 21 città sono state uccise» dalle forze di sicurezza. Ma la cifra potrebbe essere molto più alta. Secondo alcune fonti i morti potrebbero essere circa 200. Un dato che non è possibile confermare dal momento che 24 ore dopo l’inizio della protesta il governo ha oscurato internet. Anche l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (Unhcr) ha espresso preoccupazione e denuncia l’uso proiettili contro i manifestanti. Non ci sono al momento comunicazioni ufficiali da parte del governo circa il numero totale delle vittime.

Le proteste sono iniziate venerdì 15 novembre dopo che il prezzo del petrolio è salito del 50%, un aumento che il presidente Rouhani ha detto sarebbe servito a finanziare nuovi sussidi destinati alle fasce più povere della popolazione (circa 60 milioni di persone su un totale di circa 80 milioni di abitanti). Il piano prevede un sistema di razionamento del carburante, con un incremento del prezzo del 50% fino a 60 litri al mese e di 300% oltre questa soglia. Una decisione che ha causato una reazione immediata tra la popolazione, già allo stremo a causa delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e del crollo della moneta.

Sabato 16 novembre, giorno in cui tra l’altro la capitale è stata colpita da una forte nevicata, gli automobilisti in tutte le maggiori città hanno bloccato le strade mentre la popolazione dava fuoco a edifici governativi, banche, stazioni di benzina, negozi. Vari video circolati in rete mostrano la repressione immediata e violenta da parte delle forze di sicurezza. Il comunicato di Amnesty International parla di immagini in cui si vede la polizia rompere finestrini delle auto con persone all’interno, cecchini piazzati sui tetti, soldati che sparano da un elicottero, e di come la polizia si stia rifiutando di consegnare i corpi delle vittime ai familiari.

Il 17 novembre, prima che venisse bloccato internet, France24 ha parlato con una donna di Teheran che ha paragonato la sua città ad Aleppo, descrivendo scenari di guerra. «Tutta la città è in fiamme. Tutte le banche sono state bruciate. Le persone sono arrabbiate perché la polizia ha reagito con una violenza inaudita. Ho assistito al movimento verde del 2009 a Teheran, ma la repressione non è stata nulla in confronto a ciò che stiamo vedendo ora. Ho visto almeno 10 cadaveri per le strade del nostro quartiere. Conoscevo alcune delle persone che sono state uccise. Uno di loro era un falegname della nostra strada. Non stava nemmeno partecipando alle proteste. Era in piedi davanti al suo negozio quando è stato colpito da un proiettile e ucciso. Internet è inattivo, quindi non abbiamo modo di condividere ciò che sta accadendo qui con il mondo esterno. Stanno uccidendo chiunque vedano nelle strade. Le persone reagiscono come possono: bruciano bidoni della spazzatura, banche, sportelli bancomat – tutto ciò che simboleggia il governo».

Secondo Vice News, che intervista alcuni ricercatori, la chiusura della rete potrebbe essere permanente: infatti l’Iran lavora da anni alla creazione di un Intranet interno che isolerebbe il paese dal resto del mondo, dando al governo il controllo totale della comunicazione online. Alp Toker, direttore di Netblocks, che si batte per i diritti in campo digitale e mappa «la libertà della rete» in tempo reale, ipotizza che l’inizio delle proteste sia stata l’occasione di mettere alla prova il sistema di connessione interno, chiamato Shoma, a seguito dell’oscuramente improvviso di Internet – che rimane al 5% secondo il monitoraggio del sito e ha impiegato circa 24 ore a raggiungere questo livello. Si tratta di una delle operazioni più complesse a cui Toker dice di aver assistito. Internet in Iran è composto da una serie di reti private controllate dall’Agenzia di Stato delle Telecomunicazioni, e dall’Istituto di Fisica e Matematica, il che rende più facile alle autorità bloccare la comunicazione con il mondo esterno. Secondo Toker ci sono state «segnalazioni di servizi che stanno funzionando a regime ridotto come i servizi bancari, ma questo non si rifletterà all’esterno. Quello che stiamo vedendo è la sostituzione di Internet con un Intranet nazionale». Aggiunge che secondo alcune fonti interne il governo avrebbe attivato il sistema prima che questo fosse pronto e che le autorità stanno ora lavorando per attivare i servizi locali uno ad uno.

Il Nin, in inglese la National Information Network – in persiano Shoma – è un progetto iraniano avviato nel 2006 e presentato nel 2016. Si tratta di una rete che già gestisce alcuni servizi come la sanità, le utenze, l’educazione. Rouhani lo ha descritto come una delle componenti chiave per garantire l’indipendenza del paese, come una rete che non può essere penetrata dall’esterno o essere soggetta ad attacchi provenienti da potenze straniere. Al tempo in cui fu presentata – lo stesso anno in cui le autorità minacciarono applicazioni come Telegram, Instagram e WhatsApp di censura a meno che non avessero accettato di fare uso di server interni al paese – il governo assicurò che la rete nazionale non avrebbe avuto impatto alcuno su Internet, e che le due reti avrebbero continuato a funzionare parallelamente. La preoccupazione di quanti si occupano della libertà di accesso alla rete e che monitorano la situazione è che la decisione di bloccare internet potrebbe essere definitiva, o comunque una prova generale per la sostituzione della internet con una rete interamente controllata dal governo.