ITALIA

Inclusione di Rom, Sinti e Caminanti: si può fare

Dopo quasi quattro anni, l’amministrazione di Collegno presenta un progetto per l’inclusione di Rom, Sinti e Caminanti e dimostra che potrebbe diventare un modello da seguire ovunque. La Camera promette di studiarlo

Alla fine del 2023 un primo taglio ha riguardato 12 mila persone e a Roma, a partire dal gennaio scorso, senza più reddito di cittadinanza stanno per diventare 74 mila persone. La falce è caduta su tutte le famiglie “occupabili”, che secondo il governo possono essere inserite in percorsi di formazione finalizzati al reperimento di un lavoro. Ma se il lavoro non c’è? Sono stati parecchi i Rom che hanno potuto usufruire del provvedimento istituito nel 2019, anche se spesso con quote che assomigliavano più a mance che a veri e propri redditi e tuttavia indispensabili per chi alternative non ne ha, né per quando riguarda il lavoro e tantomeno per il diritto all’abitare.

È Roma, infatti, la città italiana con il primato dei senza tetto: si tratta di 22.182 persone, contro le 8500 di Milano, le 6600 di Napoli e le 4400 di Torino. Ma se non c’è il lavoro (cioè un reddito sicuro) non c’è neppure la casa, soprattutto per i Rom che a Roma popolano ancora ben 33 campi tra istituzionali e spontanei e non hanno altra alternativa che rimanerci fino a che non verranno sbattuti fuori e rinchiusi (a tempo determinato) dentro lager più piccoli.

Ma quello che sembra a tutti gli effetti un destino, a volte (raramente) riserva qualche sorpresa. È così nel caso di un esperimento che è stato condotto nel campo rom di Collegno, provincia di Torino ed è attualmente oggetto di studio alla Camera dei deputati. Il Campo fu realizzato nel 1997 anche con il contributo economico delle famiglie nomadi. Partì ospitando le 450 persone ridotte a 150 nel 2019. E solo a quel punto si è tentata la carta della chiusura e non dello sgombero forzato. Primo passo è stato l’ascolto degli stessi residenti, secondo passo il loro coinvolgimento nelle decisioni e, terza e ultima tappa, la ricerca insieme di soluzioni abitative alternative al campo. Infine, la disponibilità del Comune a cedere un proprio immobile che è in fase di ristrutturazione. Il palazzo diventerà un luogo per tutti i cittadini del quartiere, rom e “gagé” con particolare riguardo verso i bambini. Una strada anche in salita, come sempre quando si parla di rom, dal momento che non sono mancati atti vandalici e ostruzionismi. Ma si va avanti e il prossimo 8 febbraio si terrà un’altra riunione aperta per programmare l’allestimento degli spazi e l’avvio dei progetti, con l’idea di creare una biblioteca senza pareti capace di diventare piazza di saperi e comunità.

Collegno insegna che si può fare e, oltretutto, il coinvolgimento anche economico degli ex-residenti del campo ha dato luogo a un circolo virtuoso di nuove attività lavorative e nuovo impegno.

Ma perché è così difficile replicare un’esperienza che avrebbe tutti i requisiti per diventare un modello. Le ragioni sono molte, a cominciare dal disinteresse e dalla apatia delle istituzioni locali. Alle quali, però, si aggiunge il carico dello “stigma” amplificato dai media, per cui tutte le volte che si nomina la parola “rom” scattano immeditatamente i pregiudizi.

Lo dimostra una recente indagine condotta in Calabria dall’Associazione Un mondo di Mondi dalla quale emerge il danno devastante prodotto dall’informazione “etnicizzata” che produce la “criminalizzazione mediatica” di tutti i cittadini rom. Il meccanismo è semplice: quando delle persone rom vengono accusate di reati di ‘ndrangheta o di reati comuni la notizia viene data sottolineando non tanto la loro identità personale ma la loro provenienza e in questo modo si mette in relazione diretta l’intera comunità rom con i reati di cui sono accusati.

Per queste ragioni, l’Associazione chiede l’immediata eliminazione della cosiddetta «informazione etnica dei reati nel rispetto delle norme vigenti».  Infatti, notizie di questo tenore (e sono la normalità) violano il codice deontologico del giornalismo, la Carta di Roma recepita dallo stesso codice e la Costituzione. «L’antiziganismo ­ si legge nella Carta di Roma – secondo lo special rapporteur per le minoranze dell’Onu, comprende anche i forti pregiudizi e stereotipi verso i rom, che conducono a etichettare queste comunità come criminali, aggressive o come parassiti nella società. Accade spesso infatti che una informazione distorta da parte di alcuni mass media contribuisca a creare in modo artificioso un clima di allarme sociale del tutto ingiustificato, che non trova poi riscontro reale negli avvenimenti quotidiani, attraverso la divulgazione di notizie, che nel caso dei sinti e dei rom, vedono l’accostamento generalizzato e senza distinzione alcuna di un intero gruppo etnico con determinati fenomeni di criminalità».

Immagine di copertina dsi Più Culture da Flickr. Flash mob per l’inclusione rom, 2014