ITALIA

Il territorio di Alberto Magnaghi

La scomparsa di Alberto Magnaghi lascia un vuoto enorme, anche se la sua voce continuerà a guidarci nella costruzione di un altro abitare, come ha fatto per anni attraverso la ricerca e l’impegno con cui ci indicava la strada da percorrere per ricostruire il rapporto fra territorio e comunità

È stato un architetto e un urbanista capace, attraverso i suoi studi e i suoi progetti, corredati di bellissimi disegni, di proporre soluzioni per una pianificazione del territorio in senso ecologico. Dal Parco minerario naturalistico di Gavorrano, con il recupero delle vecchie cave e la realizzazione del museo delle rocce, al progetto di riqualificazione del fiume Seveso, al Parco fluviale del Valdarno Empolese, ai tanti piani regolatori, piani paesistici e interventi di bonifica, ha indicato come fosse possibile intervenire sul territorio avendo come fine la sua salvaguardia.

Accanto alla sua attività di progettista si è snodato un lungo percorso di ricerca iniziato negli anni ’70 con la pubblicazione di Città fabbrica, che individuava nella grande concentrazione urbana l’esito del capitalismo fordista, fino alla definizione del territorio metropolitano neoliberista, attraversato da flussi finanziari e processi sempre più vasti di deterritorializzazione dell’economia.

Lo ricordiamo quando all’inizio degli anni 2000 fu fra i protagonisti della stagione del neomunicipalismo e dell’autogoverno dei territori. Nasce allora La rete dei nuovi municipi e si sperimentano i primi bilanci partecipativi, spazi e pratiche vengono attivati per costruire modelli di autogoverno per uno sviluppo locale autosostenibile.

«La sfida del Nuovo Municipio è quella di costruire cittadinanza democratica consapevole, inclusiva, insorgente, progettando e costruendo benessere nella città e nel territorio secondo scenari di futuro socialmente condivisi; e per farlo il municipio attiva istituti di nuova democrazia partecipativa locale, dando voce e luogo per la ricomposizione dei conflitti; non solo contro gli effetti locali degradanti di modelli esogeni di sviluppo, ma per la realizzazione di nuovo legame sociale, di forme di autogoverno e di autoproduzione del proprio territorio in forme durevoli e sostenibili, subordinando l’economia e il mercato al benessere sociale» scrive  ne “La carta del nuovo municipio: attori e forme dello spazio pubblico”. Alcune esperienze nate in quella stagione sono riuscite a portare germi di democrazia diretta nel governo delle comunità locali.

Poi in anni più recenti, con l’individuazione puntuale della distruzione degli ecosistemi locali a livello planetario e la costruzione di megalopoli con più di venti milioni di abitanti nate contemporaneamente all’abbandono delle zone rurali, sono nate le condizioni per la nascita dell’eco territorialismo, con un riconoscimento dei valori locali, storici, antropici, ecosistemici per perseguire la sostenibilità e superare la contrapposizione fra città e campagna. Un nuovo modo di abitare il mondo, basato sulla cura ambientale e il riconoscimento della storia dei luoghi. Teorie elaborate dalla scuola fiorentina di urbanistica e pianificazione territoriale, nata sotto la sua guida, nucleo fondante la Società dei Territorialisti e delle Territorialiste ONLUS, alla quale ha dedicato il suo impegno fino alla fine.

È la nuova urbanistica che nasce dalle ceneri della disciplina massacrata dalla concertazione, dalla rendita fondiaria, dagli standard minimi resi inutili di fronte allo straripare del cemento e dell’asfalto. Le planimetrie colorate con le zone funzionali lasciano il posto alle mappe di comunità, che riportano la complessità del territorio costruito da fattori antropici, naturali, storici, sociali e politici. Insieme agli abitanti, che sono i possibili attori della conversione ecologica dei modi produzione e riproduzione della vita, si riterritorializzano le economie locali, composte da filiere corte, artigianato, comunità energetiche, welfare mutualistico, riutilizzazione degli spazi pubblici. La “coscienza di luogo” diventa lo strumento essenziale per poter progettare qualsiasi trasformazione.

Al centro della prospettiva eco-territorialista c’è la questione dell’abitare, da ricostruire attraverso la valorizzazione di quanto si realizza nelle comunità locali, con le realtà associative e le reti di produttori. Ed ecco che sulle mappe sono indicate esperienze di economia conviviale, accoglienza dei migranti, rigenerazione dei paesi abbandonati, turismo responsabile, gestione comune degli spazi. Il progetto locale diventa l’argine all’urbanizzazione infinita del mondo e alla sua distruzione.

Alberto Magnaghi, insieme alla comunità di studiosi con cui ha lavorato, ci ha insegnato come prendersi cura del mondo a partire dai territori e dai luoghi, carichi di memoria e di saperi. Di fronte alla profonda crisi ecologica globale che stiamo vivendo ci mancherà la sua carica utopica e la sua potenza rivoluzionaria per immaginare il nostro futuro.

Immagine di copertina da pagina Fb Comitato Pratone di Torre Spaccata – per il Parco delle Ville Romane