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La Roma di Berdini e Insolera: urbanistica e oltre

Una nuova versione ampliata di “Roma moderna – due secoli di storia urbanistica” (Einaudi), a firma di Italo Insolera e Paolo Berdini. Viaggio attraverso le vicende storiche, le condizioni economiche, culturali e politiche della Capitale d’Italia negli ultimi due secoli

Per chi entrava nella facoltà di architettura negli anni ’60 era una scelta imprescindibile quel libretto, Roma moderna – un secolo di storia urbanistica, edito da Einaudi. Al costo di 1200 lire ti immergevi nella storia dello sviluppo urbanistico di Roma da quando era diventata la Capitale d’Italia, attraverso le vicende storiche, le condizioni economiche, culturali e politiche che ne avevano determinato la crescita e la trasformazione. Conoscenza indispensabile per chi si accingeva a diventare un costruttore di città, attraverso la pianificazione e le architetture da costruire. L’autore Italo Insolera era un docente di urbanistica e autore di molti articoli e saggi sulla città, protagonista di tante battaglie culturali e ambientali per la tutela e la conservazione del paesaggio e il recupero e la difesa della città storica.

Quella prima edizione si ferma alle vicende del nuovo piano regolatore del 1962, al quale si stava lavorando e che sarebbe stato approvato tre anni dopo. Il piano, dimensionato su una popolazione prevista di 4 milioni di abitanti, prevedeva grandi espansioni verso il mare, lungo la Cristoforo Colombo, mentre riduceva l’espansione a est lungo l’asse attrezzato. Insolera scriveva: «Roma in cento anni, non ha mai visto operanti dei piani che fossero veramente atti di civiltà e di amore; i piani sono sempre nati dalla fretta della politica e dalla presunzione di un disegno, preceduti e accompagnati dalla lotta – e dall’accordo – degli speculatori» (p. 271, ediz. 1962).

Il libro ha avuto una riedizione aggiornata nel 2011 e ha continuato a rappresentare una lettura indispensabile per chi vuole capire Roma e le forze che ne hanno determinato lo sviluppo.

In questi giorni, dopo sessant’anni dalla prima edizione, Einaudi pubblica una nuova versione ampliata: Roma moderna – due secoli di storia urbanistica, a firma di Italo Insolera e Paolo Berdini.

I due autori sono stati legati da una lunga amicizia e dalla condivisione di tante battaglie per la difesa della città pubblica e dell’identità dei luoghi. Con il lavoro comune hanno continuato a seguire le veloci trasformazioni della città sotto la spinta di interessi sempre più voraci, assecondati da amministrazioni compiacenti se non addirittura complici. E il libro appena uscito resta ancora uno strumento prezioso per chiunque voglia conoscere Roma e capire come si sia potuto arrivare al disastro attuale.

Roma è cresciuta troppo in fretta e male, la piccola città di 200mila abitanti si è trasformata in un agglomerato di costruzioni raggiungendo i quasi 3 milioni di abitanti odierni e senza regola alcuna, se non quella dettata dalla speculazione edilizia prima e finanziaria dopo.

«Il non trasformare nessuna tendenza in un piano, in una legge precisa che modelli la struttura stessa della città, è un’altra caratteristica tipica e costante dell’amministrazione romana. Ogni provvedimento deve lasciare sempre un margine al provvedimento opposto» (p. 35).

Così la città si espande, costruisce case su case ma non riesce ad assicurare un tetto a tutti i suoi abitanti. Nel primo dopoguerra la lontananza e la diversità della periferia, divengono irrimediabilmente distacco e opposizione. «la Roma borghese si stacca sempre più dalla Roma popolare: al distacco, alla rottura sociale seguirà negli anni del fascismo l’allontanamento topografico con la demolizione dei quartieri poveri nel centro della città» (p. 127). Inizia così la nascita della periferia, una città fuori dalla città.

Nascono gli accampamenti di baracche e le prime borgate. «Il problema delle baracche, alla luce di quanto è stato tentato per risolverlo, sembra privo di soluzioni e si può dire infatti che dal 1870 le baracche a Roma ci sono sempre» (p. 240). Infatti ancora oggi tanti romani vivono in condizioni disperate.

Nulla è tralasciato nel lungo racconto della vita della città a partire dai piani regolatori che si sono succeduti fino all’ultimo, approvato nel 2008, che prevede la possibilità di edificare 70 milioni di nuovi metri cubi. I grandi eventi come i Giubilei e le Olimpiadi riletti come occasioni per rispondere agli interessi dei proprietari fondiari. La stagione delle “Giunte rosse” che si trovarono di fronte a problemi immani: «in nessun’altra città del mondo occidentale si era dovuto affrontare una così imponente città abusiva, oltre tutto  in piena crescita» (p. 351).

Eppure in quegli anni  a Roma sembrò aprirsi una speranza: le baracche furono demolite e fu realizzato un grande piano di edilizia pubblica, furono eliminati i doppi turni con la costruzione di nuove scuole, le piazze anche in periferia si animarono per l’azione culturale di Renato Nicolini. Un’altra città sembrava possibile, ma il ventennio successivo cancellò ogni illusione, con la pianificazione messa in discussione e un proliferare di interventi straordinari.

Le pagine ripercorrono la stagione delle privatizzazioni, la svendita del patrimonio pubblico, quelle che vengono definite con la parola magica di valorizzazioni, l’affermazione della cultura della straordinarietà, i grandi eventi che si susseguono uno dopo l’altro, i mondiali di calcio, quelli di nuoto, i Giubilei…

Ex Poligrafico – Piazza Verdi foto di Sergio D’Afflitto, Blackcat da commons.wikimedia.org

«La città reale è scomparsa e si è fatto credere che il futuro di Roma dipendesse soltanto dalla realizzazione di quell’impianto o dall’organizzazione di quegli eventi» (p. 444). Intanto la città è priva dei servizi, le opere pubbliche sono ferme, le scuole cascano a pezzi, migliaia di famiglie sono senza casa. Il centro storico è ridotto a un parco giochi per milioni di turisti frettolosi. Per loro si costruiscono alberghi di lusso in tutte le zone centrali. Gli autori ritengono urgente un progetto che recuperi la vivibilità del centro storico e per farlo deve essere ripopolato a partire dal patrimonio pubblico.

C’è poi un occhio attento alla legislazione introdotta dal Piano Casa voluto da Berlusconi dopo la crisi del 2008, prorogata di anno in anno fino a diventare una legge regionale che consente deroghe infinite a qualsiasi strumento  di pianificazione.

Cosa fare di questa città frammentata, che si estende in ogni direzione lasciando vuoti in stato di abbandono? Nell’ultimo capitolo gli autori dimostrano di credere che esista ancora una possibilità per restituire a Roma un futuro. Il modello è quello del Parco dell’Appia Antica «un vuoto urbano in grado di riempire di significato le periferie costruite dalla famelica speculazione edilizia» (p. 470).

Il futuro di Roma è in un sistema che colleghi i vuoti creando una rete di parchi naturali e archeologici, insieme ad aree coltivate. Del resto la crisi dell’ecosistema attuale ci impone di costruire cinture verdi, parchi urbani, garantire il recupero delle aree più marginali.

Un progetto di futuro delineato dagli autori nelle ultime righe di questo lungo racconto: «L’unico modo per garantire ancora l’ampliamento della sfera dei diritti è la difesa dell’integrità dell’ecosistema, intesa come grande opportunità per costruire un modello di sviluppo differente. Le immense periferie di Roma possono perseguire la prospettiva di salvare la convivenza urbana, di ampliare le opportunità sociali, di restituire bellezza e decoro» (p. 477).

Non solo una speranza, ma l’obiettivo per chi crede che un altra città sia possibile 

Immagine di copertina: il Colosseo nell’ottocento.