OPINIONI

Il primo assalto è fallito, avanti un altro

Pare che il golpe sia stato sventato, ma ne è derivato un grave indebolimento di Putin, che lo espone a pesanti condizionamenti e a nuovi agguati. Un cessate il fuoco in Ucraina è urgente per il mondo

L’efferato anticomunista che siede al Cremlino, fingendo di essere Alessandro III, prima di rintanarsi in qualche rifugio segreto, ha dedicato buona parte di un suo breve discorso a una stravagante ricostruzione storica dei precedenti del tradimento e della pugnalata alle spalle che un innominato ribelle gli stava infliggendo nel corso della guerra, pardon, dell’operazione speciale contro i presunti nazisti ucraini. «Questo colpo è stato dato al popolo russo anche nel 1917 quando combatteva la Prima guerra mondiale, quando la vittoria gli è stata praticamente rubata. La guerra civile, i russi uccidevano altri russi, i fratelli uccidevano altri fratelli. I vari avventurieri politici hanno tratto vantaggio da questa situazione. Noi non permetteremo la ripetizione di una situazione del genere».

Beninteso, la pugnalata alla schiena ai vincitori giunti a un passo dalla vittoria è un’idiozia storica, visto lo stato di sfacelo in cui versava l’esercito zarista all’inizio del 1917 e non corretto neppure dalla deposizione dello Zar con la Rivoluzione di Febbraio e le sciagurate controffensive lanciate da Kérenskij nei mesi successivi. Perfino le lamentele dei generali tedeschi, che parlarono due anni dopo di una pugnalata alle spalle inferta dai socialdemocratici e dagli ebrei – menzogne che poi fecero la fortuna dei nazisti nell’epoca di Weimar – vantavano qualche elemento fattuale nella tenuta dell’esercito mentre il fronte interno crollava, ma in Russia lo sfacelo era generale nelle città affamate e sulla linea di combattimento che i tedeschi avevano sfondato.

Quindi la digressione “storiografica” putiniana (tre minuti sui dodici della balbettante concione contro un ignoto e poi amnistiato “traditore”) è soltanto un lurido attacco a Lenin, la cui maggior colpa, si sa, fu di aver riconosciuto il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina. Non permetteremo un nuovo 1917 – concludeva il verme. E invece quello sarebbe lo scenario giusto per trasformare il conflitto mondiale, potenzialmente atomico, in guerra civile (compresa punizione finale del sanguinario Zar sconfitto nello scantinato di Ekaterinenburg). Per l’altro imperialismo atomico, ci penserà Trump.

Ma come stanno le cose nel fine giugno 2023? Se in Ucraina permane lo stallo militare – cioè la strage permanente di militari e civili con movimenti limitati sul terreno –, a Mosca lo stallo politico, dopo il misterioso “rientro” del golpe, è solo apparente o di brevissima durata. La botta ricevuta dal latitante Putin è stata tremenda: una rivolta che in Occidente tutti conoscevano e che ha colto di sorpresa solo lui, una palese arrendevolezza se non complicità dell’esercito regolare all’insorgenza dei mercenari, l’avanzata verso Mosca di 500 km in un giorno senza che sia stato sparato un colpo, i “ribelli” (correntemente chiamati “musicanti) in fila ai chioschi a rifocillarsi – «che s’annamo a pijjà er gelato?» –, l’alternarsi di minacce di esecuzione sommaria e di “grazia” non richiesta e di riapertura delle indagini, l’improbabile mediazione di Lukašėnka…

Teniamo presente che non stiamo parlando di un leader rivoluzionario o liberale che esercita egemonia, ma di uno Zar padrone della “forza”, della sila, che dunque a ogni pezzo di potenza che si sgretola, ne va della sua sopravvivenza, compaiono falsi zar e avventurieri che scalzano il trono. Prigožin ha fallito, ma ha aperto la strada ad altri più presentabili e attrezzati.

Ora, tutto indica un netto indebolimento di Putin, costretto a un oscuro negoziato con Prigožin e con i militari (di cui a breve vedremo gli esiti) e con un conseguente spostamento “a destra”, cioè verso un’intensificazione della guerra con piccoli correttivi “democratici” – ovvero spremere gli oligarchi e reclutare anche i loro figli per massacrare gli ucraini. Del resto, se “sinistra” e “destra” di Putin sono definite rispettivamente dai tagliagole ceceni di Kadyrov e dagli ergastolani di Prigožin, all’immaginazione non rimane troppo spazio.

Crollano in questo modo sia le speranze ucraine di una “vittoria” conseguente alla caduta di Putin sia le illusioni dei fautori “democratici” del regime change: questo è effettivamente possibile, ma di sicuro in peggio. Almeno che non capiti un purtroppo improbabile 1917.

Di qui le perplessità statunitensi, che un giornalista anticomunista ma esperto del ramo per affezioni giovanili quale Mieli ha ben evidenziato. Biden ha consultato i suoi alleati ragionevoli (non l’inutile fan Meloni) e non ha espresso particolare entusiasmo per uno smembramento virtuale della Russia fra opposte fazioni nazionaliste assatanate che si spartiscono l’armamento nucleare, lasciando per di più spazi aperti all’ingerenza del vero nemico strategico, la Cina. Anche gli Ucraini restano perplessi e la famosa controffensiva non sembra voler decollare approfittando del marasma che senza dubbio affligge le truppe russe.

Si ha come l’impressione che alle spalle dei contendenti – dei Putin, Šojgu, Prigožin (tutti per un lungo lasso di tempo spariti o silenti o loquenti da remoto) – il gioco venga condotto da un indecifrabile deep state, di cui non è difficile indovinare sia alcune componenti (Fsb, Gru, Gazprom) sia un comune tratto gangsteristico. Più arduo coglierne le strategie di medio periodo, ammesso che ci siano. Come Biden e Xi, ci auguriamo che una cupola mafiosa esista, affinché ogni cosca non spari a casaccio le proprie risorse nucleari.  

Fuori dei confini russi, e te pareva, si sono scatenati tutti i fautori della fornitura di armi: slava Ukraini, vedete? Avevano ragione noi! A forza di soldi, Javelin, Leopard, sistemi missilistici a lunga gittata e addestramento Nato per terra e per aria abbiamo messo all’angolo Putin – che era il vero obiettivo, non il Donbass o la Crimea – quindi il raid, riuscito o meno, di Prigožin è il trionfo dei nostri argomenti, la disfatta dei Santoro, Conte e pure della Schlein che non si capisce cosa vuole. Al coro del pensiero unico occidentale (invero più italiano che statunitense) vorremmo ribattere che proprio l’avventura non conclusa del golpe e la possibilità che ne esca vincitore non uno dei due sfiatati contendenti ma un terzo ancora peggiore dovrebbe far riflettere tutte le parti, e forse Zelenskij in primo luogo. Avviare una seria trattativa a partire da un cessate il fuoco è pressante quanto mai, proprio oggi che c’è stallo militare sul campo ed estrema incertezza sugli scenari russi a venire, quando insomma tutti hanno bisogno di riprendere fiato e di valutare i vantaggi e i prezzi della stabilità. Tuttavia è probabile che non se ne faccia nulla, non succede quasi mai che la ragionevolezza si imponga quando gli operatori sul campo nutrono ancora speranze (infondate) di successo. Russi governativi e ultras, Nato e ultra-Nato hanno un sacco di cartucce da sparare o da inviare. Unica e microscopica soddisfazione sarà l’azzittirsi dei ventriloqui putiniani.

La guerra ha dispiegato i suoi effetti nefasti nel campo sia degli aggressori che degli aggrediti e co-belligeranti, la pace resta invece un compito improrogabile quanto irrisolto.

Immagine di copertina di Openverse di Routard05