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Il Leviatano e i sentimenti: riflessioni sul disastro elettorale in Cile

L’eventuale vittoria di José Kast al secondo turno delle elezioni presidenziali non farà che confermare formalmente il seguente punto: il progressismo ha trovato conforto nella freddezza del Leviatano (lo Stato, secondo Hobbes), ma la nuova destra ne ha catturato l’anima (i sentimenti). In breve, il progressismo ha governato seguendo una razionalità politica (la transizione dalla dittatura) che non è riuscita a mobilitare le emozioni. E, di conseguenza, è stata proprio la destra a gestire le anime dei cileni

Lo scorso 16 novembre si è tenuto il primo turno elettorale delle presidenziali cilene: seppure è arrivata al primo posto la candidata della sinistra, Jeannette Jara, del Partito Comunista – Unidad por Chile, con il 26,78%, gli altri candidati della destra, divisi in almeno tre liste, rendono assolutamente complicato il ballottaggio del prossimo 14 dicembre. Al secondo posto, l’estrema destra di José Antonio Kast, del Partito Repubblicano, con il 24,02%, che andrà al ballottaggio contro Jara. Al terzo e quarto posto, rispettivamente, altri candidati di destra, Franco Parisi Fernández, del Partido de la Gente, al 19% e Johannes Kaiser Barents con il 13%. Indicativamente sosterranno tutti Kast, uscito sconfitto quattro anni fa dal ballottaggio contro Boric e oggi principale candidato alla vittoria presidenziale. Pubblichiamo un testo di analisi dello scenario politico ed elettorale cileno a cura di Rordrigo Karmy Bolton, docente dell’Università del Chile.

Quanto destituito dalla rivolta del 2019 è stato capitalizzato dalla nuova destra. La sinistra ha finito per espellere la moltitudine che si era mobilitata al punto di arrivare a redigere una nuova Carta Fondamentale, depoliticizzando tutto il processo e infarcendolo di discorso giuridico (il ripristino di un sapere giuridico che ha oscurato la dimensione politica dei sentimenti), al punto che il “legalismo” della sinistra si è concentrato molto più sul contenuto esatto che sull’effetto politico della Nuova Carta redatta da quell’entità, tanto sfuggente quanto problematica nella storia cilena, chiamata “il popolo”.

La sinistra ha sostituito il popolo con il diritto. In questo scenario, la destra ha fatto la sua parte e, attraverso i meccanismi oligarchici del Senato, lo ha spogliato del suo potere costituente. Però il processo costituente è rimasto aperto, nonostante molte proposte siano state respinte sia nella prima che nella seconda Assemblea Costituente.

Tuttavia, tra le due Assemblee Costituenti [2020 e 2022 – ndt] si è verificata una congiuntura decisiva: le coalizioni tradizionali, sia progressiste che neoliberiste conservatrici, sono state rimaste fuori dai giochi. Altri attori sono entrati in scena, altri volti sono emersi. È in questo “fuori dai giochi” che irrompe sulla scena il Frente Amplio con al timone. Gabriel Boric [Presidente della Repubblica dal 2022 – ndt] e Daniel Jadue [candidato sconfitto alle primarie del Frente Amplio ndt]

Tuttavia, la situazione affrontata dal governo Boric ha fatto sì che, anziché essere un governo di trasformazione, diventasse un governo di “normalizzazione”, replicando così la razionalità politica concertativa degli ultimi 30 anni, ma in un momento storico in cui il governo era stato destituito dalla rivolta del 2019. Da allora, non potendosi fondare su alcun patto costituzionale, il governo Boric è rimasto un governo etereo.

Con il pretesto delle “divergenze” su questioni di sicurezza, il governo ha accettato l’agenda della destra con l’ingresso di Carolina Tohá [ex Ministra dell’Interno,  candidata alle presidenziali per il PPD – Partito per la Democrazia – ndt] e per questo, invece di munirsi di un nuovo patto giuridico e istituzionale, hanno concertato un accordo performativo per la sicurezza. La sicurezza (ovvero il meccanismo fondamentale della guerra civile globale) si è trasformata in un sostitutivo della Costituzione, nonostante fosse stata respinto per ben due volte da una cittadinanza in agitazione.

Il progressismo (o la sinistra, per i più ottimisti) è rimasto intrappolato dal governo per quattro anni: nella misura in cui ha optato per la razionalità “transitoria” già destituita, non ha potuto rinnovare il proprio immaginario politico e, non potendolo fare, ha ceduto alla destra il terreno della mobilitazione emotiva.

A questo proposito, è fondamentale affrontare la questione del contatto. Per quanto sia stato decisivo nella rivolta del 2019, nella misura in cui non è stato altro che un incontro affettivo che ha generato una connessione erotica all’interno della moltitudine, ha però sofferto le pene dell’inferno durante la pandemia di Covid19, visto che , con il senno di poi, il contatto non è stato semplicemente oggetto della repressione giuridico-statale, ma piuttosto di gestione biopolitica nella quale bisognava imporre il “distanziamento sociale” e utilizzare le mascherine. Il “contatto” è stato doppiamente pericoloso: per la polizia durante la rivolta e per motivi sanitari durante la pandemia.

Di conseguenza, la sinistra intrappolata al governo è stata piuttosto il sintomo di una situazione in cui l’affetto cristallizzato nel “contatto” era stato criminalizzato e patologizzato e, in questo senso, completamente dis-affezionato. Così, il governo di Gabriel Boric ci ha proposto uno scenario ormai vecchio e non ha generato altro che “rabbia” (emozione gioiosa che grida giustizia), immediatamente trasformata dalla destra in “odio” (emozione triste e xenofoba).

La sicurezza ha prevalso. Sia a livello “legale” che “medico”. Ma non come un punto all’ordine del giorno, bensì come un macchinario mitologico che potuto compensare con fantasia, attraverso una serie di meccanismi statali, grandi società di sicurezza private e mezzi di comunicazione in mano agli oligarchi, lasciando incompiute le trasformazioni costituzionali.

Torniamo al punto precedente: il progressismo è stato manchevole di immaginazione politica perché, intrappolate al governo, le masse erano già state tagliate fuori da ogni “contatto”. Tutto è diventato individuale,  tutto apparteneva a “ognuno”, e “l’altro” è diventato un nemico assoluto. La giustizia è stata cancellata dalle priorità e il cammino verso il fascismo internazionale è iniziato proprio in questi anni.

L’eventuale vittoria di José Kast [candidato di estrema destra del Partito Repubblicano, fondato nel 2019 da alcuni fuoriusciti dall’UDI Unione Democratica Indipendente – ndt] al secondo turno delle elezioni presidenziali non farà che confermare formalmente il seguente punto: il progressismo ha trovato conforto nella freddezza del Leviatano (lo Stato, secondo Hobbes), ma la nuova destra ne ha catturato l’anima (le emozioni). In breve, il progressismo ha governato seguendo una razionalità politica (la transizione dalla dittatura) che non è riuscita a mobilitare le emozioni. E, di conseguenza, è stata proprio la destra a gestire le anime dei cileni.

Stiamo assistendo alla fine del progressismo neoliberista e della visione di transizione che ha rappresentato. La democrazia è diventata così profondamente securitaria che funzionerà come nuova forma di dittatura “civile” (o cibernetica, se vogliamo), precipitando il Paese nella dilagante guerra civiles globale. Ovviamente, tutto questo deve essere spiegato nel contesto globale del trionfo delle destre. Ma nulla può essere spiegato se non si analizza l’impatto locale della mobilitazione emotiva del fascismo alimentata dalla paralisi governative e delle istituzioni. Nulla può essere spiegato se non riconosciamo la sua metamorfosi in quella ragione politica di transizione che la cittadinanza stessa aveva rifiutato.

Lo spettro di Portales [Diego Portales, politico cileno durante la Repubblica Conservatrice, ucciso durante un’insurrezione contro la guerra contro la Confederazione Perù-Bolivia del 1836-1839 – ndt], (immagine che riassume il panorama politico della storia cilena) è più attuale che mai: Diego Portales ha instaurato una dittatura e in caso di vittoria al secondo turno, José Kast non eserciterebbe una dittatura nel senso tradizionale del termine, ma intensificherà l’intero apparato securitario che la democrazia fornisce già per iniziare a interferire in spazi ed erodere diritti un tempo considerati inalienabili. Immaginare che la “democrazia liberale” sia l’unico orizzonte politico per la sinistra non è soltanto ingenuo, ma anche complice della trappola in cui è stata catturata.

La copertina ritrae Gabriel Boric dopo l’elezione presidenziale (wikimedia)

Articolo pubblicato originariamente sul sito lavozdeloquesobra.cl. Traduzione a cura di Michele Fazioli per DinamoPress

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