MONDO

«Il futuro della Turchia passa per İmralı». Parla il legale di Öcalan

A 23 anni dallo sbarco del leader curdo a Roma, un’intervista con un rappresentante dello studio legale che continua ad assisterlo e che ne chiede la liberazione. Intanto, grande manifestazione a Napoli per “Apo”

La lotta di Abduallah Öcalan è la lotta del popolo curdo e forse della Turchia intera. Le mura della prigione sull’isola di İmralı dove è rinchiuso da 22 anni, sono ormai i confini di tutto il paese mediorientale, ponte tra l’Europa e l’Asia. Il rigido sistema di isolamento e repressione che governa il carcere infatti, «illegale e arbitrario», è diventato ormai paradigmatico della gestione del potere del presidente Recep Tayyip Erdoğan, in modo particolare a partire dal fallito colpo di Stato del luglio 2016 e la conseguente spirale di arresti e leggi autoritarie.

Nonostante questo però, o forse proprio per questo, le sorti di Öcalan, fondatore e leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), possono essere la chiave di volta dell’evoluzione politica di Ankara, al bivio tra un cammino che va verso una repressione sempre più dura e uno che porta alla democrazia. Analisi, suggestioni e denunce queste, che a Dinamo Press affida Ibrahim Bilmez, uno degli avvocati dello studio legale Asrin Hukuk che assiste il leader curdo fin dal 1999.

L’intervista si svolge in occasione del 22esimo anniversario dell’arrivo di Öcalan a Roma, avvenuto il 12 novembre 1998, nel pieno di un percorso che lo aveva già portato in Russia con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione europea sulla causa curda. Il governo dell’allora primo ministro Massimo d’Alema non concesse il sostegno auspicato dal leader curdo, che lasciò il Paese poco dopo per il Kenya.

Proprio nella capitale del Paese africano, il 15 febbraio 1999, venne arrestato dall’intelligence turca lungo la strada che conduceva all’aeroporto dall’ambasciata della Grecia. Oggi si svolge a Napoli una manifestazione nazionale per ricordare quel momento ma soprattutto per rilanciare le istanze care al fondatore del Pkk, che non ha mai smesso di produrre teorie e di scrivere, neanche in carcere, dall’ecologia al confederalismo democratico fino alla gineologia, la “scienza delle donne” che è anche architrave dei movimenti femministi che animano l’esperienza del Rojava, amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est non riconosciuta da Damasco, controllata dai movimenti curdi.

Può fare un punto della situazione al novembre 2021? Stando alle informazioni disponibili lei e i suoi colleghi avete visto il vostro cliente Abdullah Öcalan nell’isola-prigione di İmralı l’ultima volta nell’agosto 2019, dopo molti anni che non vi era permesso. Al leader curdo è stato inoltre concesso di telefonare a un familiare, il fratello Mehmet, nel marzo 2020. Può confermare queste informazioni?

Non ci è stato permesso di vedere il nostro cliente Abduallah Öcalan per otto anni, dal 27 luglio 2011 al 2 maggio 2019. Durante quest’ultimo anno, anche dopo una serie di forti proteste a livello di società civile, a Öcalan è stato finalmente permesso di ricevere delle visite, per l’esattezza cinque.

L’ultima di queste ha avuto luogo il 7 agosto 2019. In seguito, nonostante le nostre numerose richieste ufficiali, non lo abbiamo più potuto incontrare. L’ultima visita che il leader curdo ha potuto ricevere dalla sua famiglia risaliva invece a poco dopo: il 12 agosto 2019.

In seguito, i suoi parenti hanno avuto il permesso di rivederlo solo il 3 marzo 2020, dopo che erano trapelate le notizie di un incendio alla prigione dove è detenuto. Nel 2020, primo anno della pandemia di Covid-19 tutt’ora in corso, l’unico contatto che il recluso ha avuto con l’esterno è stata una telefonata di 20 minuti con il fratello, il 27 aprile. È stata la prima volta in cui al leader curdo è stato permesso di avere un colloquio telefonico con qualcuno.

Anche nel 2021 Öcalan ha avuto un solo contatto con l’esterno, una telefonata interrotta dopo pochissimo tempo avvenuta il 25 marzo, concessa anche a seguito di una serie di voci sul suo stato di salute che erano circolate sui social media.

(da commons.wikimedia.org)

Telefonicamente invece, quando lo avete sentito l’ultima volta? In che condizioni lo avete trovato?

L’ultima volta che lo abbiamo sentito è stato proprio durante la telefonata del 25 marzo col fratello. Purtroppo da quel colloquio non siamo riusciti a ottenere alcuna informazione rispetto alla sua salute visto che, come già detto, la chiamata è stata interrotta quasi subito. Da quel momento non abbiamo più avuto occasioni per parlare con il nostro cliente.

Avete preso la decisione di fare appello alla Corte europea dei diritti umani (Cedu) per rispondere ai diversi dinieghi della corte costituzionale turca a riconoscere il diritto di Öcalan a ricevere le visite dei suoi familiari. Cosa vi aspettate da questo procedimento?

Purtroppo, l’unica cosa che il sistema legale turco ha garantito fino a questo momento rispetto alla prigione di İmralı è stata la legittimazione delle sue pratiche e delle sue procedure illegali e arbitrarie. Abbiamo fatto decine di petizioni rispetto a queste questioni, ma l’autorità giudiziaria non si è mai pronunciate a nostro favore.

Sulla base dei criteri della legge internazionale, abbiamo deciso di portare le questioni che riguardano la prigionia del nostro cliente davanti la Corte europea dei Diritti umani. Quello che ci aspettiamo da questo tribunale è che agisca in linea con la sua filosofia e i suoi principi fondanti e che confermi che le procedure e le pratiche messe in atto dallo Stato turco sono di fatto illegali. Ciò detto, in genere, la corte europea ha dimostrato di essere piuttosto lenta quando si parla del carcere di İmralı.

Questo ha portato a una situazione di prolungato e sempre peggiore stallo. Alcune delle nostre petizioni alla Cedu sono in sospeso da circa dieci anni. Anche per questa ragione è molto importante che i giudici europei, questa volta, possano arrivare a individuare le violazioni che denunciamo e a mettervi subito un freno.

A suo parere, il più generale intensificarsi delle politiche repressive del governo presieduto da Recep Tayyip Erdoğan ha inficiato sul vostro lavoro, in modo particolare dopo il tentativo di colpo di stato del luglio 2016?

Cinque giorni dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, il governo ha dichiarato uno stato di emergenza. Nonostante il nostro assistito non avesse nulla a che vedere con il tentato golpe, non ha sorpreso nessuno sapere che il primo luogo del nostro paese in cui questo provvedimento è stato implementatato è stata proprio la prigione di İmralı. A partire dal 21 luglio le autorità del carcere hanno deciso di revocare qualsiasi diritto di Öcalan di ricevere visite dalla sua famiglia e dai suoi avvocati, oltre a vietare qualsiasi altra forma di comunicazione con l’esterno. Questa nuova condizione, con le sue interferenze e i sui divieti, è in vigore ancora oggi da allora.

La nostra posizione è che İmralı sia diventato una sorta di modello per la Turchia, che è stato implementato in tutto il paese dopo il golpe. Il sistema di rigido isolamento che vige nel carcere, basato sull’illegalità e l’arbitrarietà, si è diffuso ovunque dopo il luglio 2016. A oggi, siamo tutti testimoni degli stessi fatti, stiamo tutti vivendo le stesse difficoltà.

La giustizia turca sta sempre più facendo ricorso alla strategia di tenere in carcere attivisti e politici per lunghi periodi, ignorando le pressioni della comunità internazionale – si guardi a esempio ai casi dell’imprenditore Osman Kavala e al leader del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), Selahattin Demirtaş, due figure per altro molto diverse fra loro. Da quello che lei osserva nel suo lavoro quotidiano, questo tipo di politiche che effetti hanno avuto? Secondo lei, sono riuscite a fiaccare le istanze di rivolta contro il governo, o al contrario hanno finito per provocare una ancor maggiore resistenza alle politiche dell’esecutivo?

Per capire meglio a cosa hanno portato a lungo termine politiche simili, può essere intelligente dare un’occhiata da vicino a quello che sta succedendo più in generale in tutto il Medio Oriente. Nella regione, regimi repressivi mantengono il potere molto a lungo ed è probabile che continuino a farlo ancora. Eppure, lo studio della storia e delle leggi di natura ci insegna che qualsiasi oggetto che manca di elasticità è destinato, prima o poi, a rompersi. Gli stati che si rifiutano di adottare un approccio flessibile rispetto alle società dei Paesi dove governano non sono un’eccezione, in questo senso. Basta dare un’occhiata alla situazione che si vive oggi in Siria e in Iraq.

(commons.wikimedia.org)

Al momento, la Turchia è a un bivio. Può scegliere di proseguire lungo la strada di politiche repressive e addirittura renderle peggiori. Questo atteggiamento, sommato alle severe condizioni economiche e all’impasse politico che stanno attraversando il paese, non potrà far altro che spingere la Turchia verso un destino del tutto simile a quello di altri attori della regione mediorientale. Altrimenti però, Ankara può decidere di procedere verso un processo di democratizzazione, creando dei modelli validi per tutta la regione. Staremo a vedere quale strade deciderà di intraprendere.

Ultimo aspetto, molto importante. Quali sono, secondo lei, le ragioni per richiedere il rilascio di Abdullah Öcalan?

Per rispondere a questa domanda potrebbe essere utile affrontare le due diverse dimensioni che caratterizzano la faccenda, una legale e l’altra politica. Dal primo punto di vista, stando a una sentenza della Corte europea dei diritti umani del 2014, l’incarceramento a vita senza alcuna prospettiva di rilascio, quello cioè a cui assistiamo a İmralı, è una forma di tortura a cui si deve mettere fine. In altre parole, la sentenza della Cedu stabilisce che il regime turco viola il diritto internazionale e che dovrebbe passare a un esplicito piano per la liberazione di Öcalan. Il leader turco è stato tenuto illegalmente a İmralı per 23 anni: anche secondo noi, è arrivato il momento di un suo ritorno in libertà.

Dal punto di vista politico invece, la libertà del nostro assistito non può non essere vista in relazione alla questione curda e alla sua risoluzione. Un aspetto questo, che è tra quelli chiave per capire il Medio Oriente e che coinvolge almeno quattro diversi stati. Nel XX esimo secolo, il sistema degli Stati Nazione che ha visto la luce nella regione dopo la prima guerra mondiale ha portato la popolazione curda a vivere sempre con il timore di un incombente genocidio. Ma ora, nel XXI secolo, il popolo curdo ha adottato la filosofia di Öcalan, che mira all’instaurazione di una democrazia che possa essere leader in un processo di democratizzazione di tutto il Medio Oriente.

Nel frattempo, il popolo curdo ha identificato la sua libertà con quella di Öcalan. Il significato stesso della sua libertà sta nel fatto che una sua liberazione segnerebbe un passaggio importante sia sulla strada della libertà dei curdi che nel processo democratico di tutto il Medio Oriente. Questa è anche una delle regioni per cui la sua lotta ha così tanto sostegno.

Immagine di copertina di Francesco Martella