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MONDO

«l diritto internazionale, uno spazio di conflitto per la liberazione della Palestina»

La diffida sul Memorandum militare, l’accesso agli atti per gli accordi secretati, la denuncia alla Procura di Roma: per Fabio Marcelli, giurista del CNR, il diritto è uno strumento da utilizzare. “Dobbiamo aprire delle spaccature all’interno dell’Occidente”

Fabio Marcelli, giurista dell’Istituto di Studi Giuridici Internazionali del Consiglio Nazionale delle Ricerche ISGI-CNR, è uno delle e dei dieci firmatarie e firmatari della diffida inviata ai Ministeri della Difesa e degli Esteri nella quale viene chiesta l’immediata sospensione del Memorandum d’Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, stipulato il 16 giugno 2003, che viene tacitamente rinnovato ogni cinque anni. La revoca viene chiesta per palese violazione dei principi costituzionali e delle norme internazionali. Inoltre, il 6 giugno scorso, sempre gli stessi 10 giuristi hanno formalizzato un’istanza di accesso agli atti volta ad acquisire copia dell’Accordo di sicurezza stipulato dal nostro Paese con il Governo dello Stato d’Israele il 5 ottobre 1987, che viene espressamente richiamato come vincolante nel Memorandum, ma che risulta vergognosamente secretato e inaccessibile al pubblico.

Il 21 maggio, insieme ad altri nove giuriste e giuristi avete diffidato il Ministero della Difesa e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ad attivare senza ritardo il procedimento di denuncia (revoca) del Memorandum d’Intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, ratificato dalla legge n. 94/2005. Cosa prevede questo Memorandum?

Questa è una buona domanda, a cui nessuno sa rispondere. Il Memorandum è infatti collegato a un Accordo di Sicurezza espressamente richiamato quale suo presupposto vincolante dall’art. 5 del Memorandum. Un accordo, però mai reso pubblico, per il quale infatti abbiamo depositato un’istanza di accesso agli atti il 6 giugno scorso, perché a nostro avviso è inammissibile che si prendano degli impegni senza che pubblicamente si sappia cosa implicano.

Quali sono le basi giuridiche su cui si fonda la vostra diffida?

La nostra diffida si fonda sulla base giuridica della Costituzione Italiana, articoli 10 e 11, il diritto internazionale, quindi le varie convenzioni in materia, ad esempio la Convenzione sulla prevenzione del genocidio, e infine sul diritto umanitario bellico, le Convenzioni dell’Aia e le Convenzioni di Ginevera. Tutte norme che ovviamente escludono che ci possa essere un contributo di uno Stato al compimento di crimini internazionali quali il genocidio e di crimini di guerra e contro l’umanità per i quali, come sappiamo, Israele è accusato dalla Corte Internazionale di Giustizia e Natanyahu è soggetto a un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale.

Se la diffida non dovesse raggiungere lo scopo della revoca, quali i possibili passi successivi?

Stiamo valutando, ci sono varie ipotesi. Innanzitutto vediamo che esito avrà l’istanza di accesso agli atti presentata il 6 giugno scorso. Sono possibili, infatti, in seguito azioni sia davanti a giudici amministrativi che civili. Non ci dimentichiamo inoltre che già un anno fa abbiamo presentato un esposto-denuncia per questi stessi fatti alla Procura di Roma, a prescindere dal Memorandum d’Intesa oggetto della diffida: Procura che, a oggi, ancora non ci ha risposto. Ma insisteremo e andremo con le stesse accuse davanti alla Corte Penale Internazionale. Ovviamente, il fatto che il governo si rifiuti, per bocca della Sottosegretaria competente, di mettere in discussione il Memorandum d’Intesa, è un’ulteriore prova della sua complicità in questo genocidio.

Abbiamo letto con interesse il documento votato all’unanimità dalla Società Italiana di Diritto Internazionale che chiede delle cose molto nette, come la sospensione della collaborazione con le istituzioni accademiche israeliane. Che valutazione dai di questo clima che sta cambiando nell’opinione pubblica, con prese di posizione sempre più schierate in solidarietà al popolo palestinese. Che processi può aprire?

Speriamo che apra la strada a una messa in stato di accusa totale dei responsabili di questo genocidio e dei loro complici, compresi i membri del governo italiano. C’è una grande mobilitazione dell’opinione pubblica che si riflette anche in prese di posizione come quella che hai citato della società di diritto internazionale, ma anche in atti di organismi giudiziari, come la Procura Anti-terrorismo francese, che ha aperto un’inchiesta, appunto sul genocidio. Speriamo che questo tipo di trend continui e che, in particolare, le istituzione giudiziarie, e qui penso a tutte quelle italiane, siano all’altezza dei loro compiti e della loro reputazione.

L’ultima domanda riguarda il contesto più generale: il diritto internazionale, quasi per la prima volta si è pronunciato in difesa dei diritti del Sud del mondo, con il pronunciamento della Corte Internazionale di Giustizia sul plausibile genocidio a Gaza e l’illegalità dell’occupazione del Territorio Palestinese, e con i mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant. Tuttavia, la politica non ha implementato queste decisioni. Il diritto internazionale può quindi essere oggi uno spazio di conflitto per i movimenti, in questo caso per la liberazione della Palestina?

Sicuramente sì. Lo è con tutti i suoi limiti, che però non sono tanto limiti del diritto internazionale, perché nessuno ha la bacchetta magica. Il diritto internazionale non è uno strumento che ti fornisce l’onnipotenza, è uno strumento che si inserisce in un quadro complesso, dove ovviamente le scelte politiche hanno un ruolo fondamentale. Diciamo però che già la gran parte della comunità internazionale è dalla parte del popolo palestinese e l’Occidente è sempre più isolato. Questo è un fatto positivo. Dobbiamo ora aprire delle spaccature anche all’interno dell’Occidente. Peraltro già ci sono stati Paesi europei, ad esempio la Spagna e la Slovenia, che si sono pronunciati su questi aspetti o sul riconoscimento proprio dello Stato di Palestina, e con prese di posizione importanti anche sulla questione del genocidio. Ricordo inoltre che Spagna e Irlanda partecipano alla causa contro Israele sul genocidio promossa dal Sud Africa insieme a tanti altri Paesi, latinoamericani e di altri continenti. Quindi andiamo avanti su questa strada. Sicuramente il diritto internazionale è uno strumento, anche se c’è gente che si sveglia all’improvviso dopo non si sa quanti anni di letargo e spara delle stupidaggini quali «il diritto internazionale è finito!»: vanno bene magari per un titolo su qualche giornale di terza categoria, ma non esprimono assolutamente una linea utile per il popolo palestinese e contro il genocidio.

Immagine di copertina di Marta D’Avanzo

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