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ROMA

I vuoti da abitare. Fra speculazioni e nuovo welfare

Fino agli anni Novanta, il patrimonio immobiliare degli enti previdenziali ha garantito, di fatto, l’accesso al diritto alla casa per milioni di famiglie del ceto medio e del lavoro dipendente. Dal governo Ciampi in poi, dismissioni e cartolarizzazioni hanno favorito solo la speculazione finanziaria e gli imperatori della rendita. Ma nella crisi abitativa della capitale emergono storie di resistenza e di nuovo welfare

Nel film del 1968 Il medico della Mutua, Giulio Tersilli (interpretato da un grandissimo Alberto Sordi) è un giovane neolaureato in medicina che aspira ad aprire uno suo studio, alla spasmodica ricerca di pazienti da fidelizzare e convenzionare.

In una delle prime scene, il protagonista apre la finestra e si affaccia su piazza Ottaviano Vimercati, estremo lembo di via Monte Cervialto, la strada che, all’epoca, unisce le case popolari di Val Melaina alla campagna della periferia nord est. Nelle scene seguenti del film, per gli interni di un altro studio, verrà scelto un palazzo dell’INPS nel quartiere dell’Eur. 

In quella Roma ancora sospesa tra espansione caotica e velleità metropolitane, nella zona di Nuovo Salario, gli enti previdenziali Inpdai (dirigenti di aziende industriali) e Inpdap (dipendenti dell’amministrazione pubblica) decidono di comprare una serie di palazzoni di otto piani, con cortili interni, portici e locali destinati a servizi e attività commerciali.

Il piano edilizio fa riferimento a un obbligo di legge che per gli enti previdenziali prevede l’investimento minimo del 30% dei capitali in beni immobili e la destinazione di buona parte delle unità residenziali a favore delle fasce sociali più deboli. In questo modo, tra gli anni Sessanta e Ottanta, i costruttori realizzano migliaia di metri cubi con la certezza della vendita degli immobili proprio a questi enti.

Negli anni Novanta, in seguito alla legge sui “Patti in deroga”, i canoni di locazione per i contratti in scadenza vengono ridiscussi; gli aumenti però risultano assai limitati grazie ai vincoli imposti dal Ministero del lavoro, che impone agli enti previdenziali una funzione di calmiere del mercato immobiliare.

Dal 1995, le Casse di previdenza dei liberi professionisti vengono privatizzate, nell’ambito del riordino generale degli enti previdenziali voluto nel 1994 dal Governo Ciampi. Successivamente, nel 1996, entra in vigore la legge che regola la vendita dei beni posseduti dallo Stato o dagli enti.

A 40 anni da quel film, questo pezzo di periferia a cavallo del raccordo anulare vede uno sviluppo urbanistico senza regole, trainato dall’insediamento di Porta di Roma, il centro commerciale (una volta) più grande d’Europa.

I nomi sono sempre gli stessi: Toti, Caltagirone, Parnasi; gli stessi imperatori della città che vengono premiati dal Piano regolatore di Veltroni del 2001; quello che prevede decine di “centralità urbane”, tutte coincidenti con le grandi proprietà fondiarie dei suddetti. Guarda un po’ il caso.

A partire dai primi anni Duemila quasi tutti gli enti avviano la dismissione dei loro immobili, ormai bisognosi di costosi interventi di ristrutturazione, vendendoli agli inquilini, mettendoli sul mercato o trasferendoli in fondi immobiliari. Si chiamano “operazioni di cartolarizzazione”, riguardano gli enti pubblici che riportano a bilancio il valore del bene, che viene successivamente quantificato economicamente al momento della dismissione (SCIP).

In questo scenario, non tutti possono acquistare la propria casa, molti lasciano la propria abitazione, altri resistono alle pressioni dell’Inps, che nel frattempo ha assorbito Inpdai e Inpdap; altri diventano per la legge “inquilini senza titolo”.

Soltanto nella zona di via Monte Cervialto, tra il 2006 e il 2011, vengono occupati in modo organizzato decine di appartamenti rimasti vuoti e invenduti.

Nasce un Comitato, inizialmente interno al movimento Bpm (Blocchi precari metropolitani), che rivendica un utilizzo sociale del patrimonio abbandonato. Su questa scia nascono altre due occupazioni, in due stabili vuoti, nello stesso Municipio: un palazzo di proprietà regionale in via Gianmaria Volontè, a due passi da Porta di Roma; una villetta abbandonata nel cuore di Montesacro.

Al centro della lotta un’idea del diritto all’abitare che fa i conti con la trasformazione della vecchia speculazione dei “palazzinari” dentro i processi di rendita e finanziarizzazione immobiliare. Quella dinamica che produce profitti a fronte di un gigantesco patrimonio vuoto o invenduto.

Qualche anno fa, l’Eurispes calcolò in circa 240 mila il numero delle case sfitte a Roma. Su questo crinale che ridefinisce la scena dei poteri immobiliari della capitale, i movimenti di lotta per la casa decidono di mettere nel mirino le proprietà private sfitte, ma anche gli immobili degli enti rimasti invenduti, per rivendicare una loro nuova funzione pubblica.

Da questo punto di vista è emblematica la storia di Roberto e di sua madre Luisa: «L’occupazione è stata l’ultima carta da giocare, prima che la vita ci mettesse alle strette – racconta Roberto. Non avremmo mai pensato di fare una cosa del genere, ma non avevamo scelta. Era il 2012, ci siamo buttati senza sapere a cosa saremmo andati incontro; all’epoca io ero uno studente, mia madre aveva perso il lavoro, stavamo in affitto in un appartamento di un privato. Finché i nostri guadagni ce lo hanno permesso, abbiamo sempre pagato regolarmente; quando i soldi sono finiti, sono iniziati i guai: il proprietario di casa dopo soli due mesi di mancati introiti, decise di venire a trovarci con una mazza e sfondare la porta. Ovviamente, non potevamo più rimanere. Non avevamo una macchina o qualcuno disposto a ospitarci, abbiamo così deciso di iniziare un percorso di lotta con il Comitato che era nato attorno allo sportello casa del centro sociale Astra. L’occupazione ci ha salvati – conclude Roberto – ma ci ha anche messo di fronte a una strada lunga, piena di ostacoli, incerta. Anche noi, come tutti, abbiamo ricevuto una indennità di occupazione spropositata, che riusciamo a pagare parzialmente, oltre alle lettere di sfratto. Così non si può vivere: è ora che le istituzioni facciano qualcosa di concreto».

Dal rendiconto pubblicato nel 2014, il patrimonio immobiliare dell’Inps risulta composto da circa 30 mila unità immobiliari, suddivise fra unità residue delle operazioni di cartolarizzazione (25 mila) e unità immobiliari non cartolarizzate (5 mila), per un valore complessivo di circa 2,5 miliardi di euro. Le due grandi operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici, promosse dal Ministero dell’economia nel 2001 e 2002, si sono dunque concluse con un numero ingente di proprietà rimaste invendute. Queste unità vengono restituite agli enti di appartenenza.

Nel 2019 l’ente inizia la vendita degli appartamenti, da sempre utilizzati come edilizia residenziale pubblica. Il prezzo richiesto corrisponde al 70% del valore di mercato. Il costo base però, sostengono i sindacati degli inquilini, è stabilito senza alcuna trasparenza e giustizia, raggiungendo valori che non risultano accessibili per tantissime famiglie.

Secondo una stima delle sigle Asia-Usb e Unione Inquilini, dei 10.700 appartamenti in vendita in tutta Italia e dei 6 mila nella città di Roma, solo poco più del 50% degli abitanti sarebbero in grado di accedere a un mutuo e acquistare. C’è anche il problema di chi ha il contratto scaduto e mai rinnovato dall’ente, che una volta iniziato la campagna di dismissione ha smesso di procedere con i rinnovi. Molti saranno costretti a lasciare gli alloggi appena saranno venduti anche all’asta.

La situazione è ancora più fosca per i cosiddetti “senza titolo”, che hanno fatto richiesta di accesso alla sanatoria, ultima quella che fissa il limite al 2014. In questi casi, chi volesse esercitare il diritto d’opzione per l’acquisto dovrebbe risarcire gli affitti mensili degli ultimi cinque anni di morosità.

La Romeo Gestioni spa, già al centro di inchieste per corruzione e costituzione di fondi neri, è la società che si occupa della gestione del patrimonio Insp di provenienza Inpdai dal 2011. In questi anni ha riscosso canoni per circa 250-300 euro al mese, mentre un alloggio analogo sul libero mercato costa 800-900 euro al mese.

Questo comporta che i “senza titolo” potranno acquistare l’alloggio solo dopo aver risarcito la morosità calcolata fra la differenza fra quanto regolarmente pagato e i parametri di mercato. In media, devono versare complessivamente una cifra che oscilla tra i 40 e 60 mila euro.

Nel frattempo arrivano lettere di sfratto, precetti di pagamento, pignoramenti. Per molti sarà impossibile acquistare l’appartamento in cui vivono da anni, dovranno lasciarlo e sarà venduto all’asta.

O provare a resistere, come racconta Giuseppe: «Nel maggio 2010 ho occupato la casa dove vivo ancora oggi. All’epoca avevo 21 anni, diplomato e disoccupato, cercavo una vita autonoma dalla famiglia. Ma, come sanno tutti, questo non è un paese per giovani, sicuramente non per studenti e precari. Fin dal primo giorno ci siamo impegnati a rimetterla a posto, pulire, mettere in sicurezza cavi e impianti, investendo tempo e denaro. Un lavoro di riqualificazione che ha contribuito a rendere migliore l’intero condominio in cui vivo. Nel frattempo – continua Giuseppe – a fronte di una richiesta di indennità di occupazione di quasi 800 euro per 60 metri quadrati, insieme alla mia coinquilina, abbiamo deciso di pagare in forma autoridotta 300 euro. Più di questo non possiamo. Io sono precario, lavoro spesso in nero e senza garanzie. Con la pandemia la situazione è ulteriormente peggiorata, ma non si sono fermate le lettere di sfratto o la richiesta folle di arretrati».

A seguito dell’ennesima lettera di precetto, nello scorso dicembre, il Comitato per il diritto alla casa Inps-Nuovo Salario, ha deciso di inviare una lettera a Municipio, Comune, Regione e Inps, con la richiesta di un tavolo di confronto che si faccia carico di una «soluzione negoziale, equa e sostenibile per tutte le persone coinvolte», costrette a vivere in questo limbo. «Ci chiediamo – si legge nella lettera – come sia possibile pensare di gettare in strada decine di famiglie. Il patrimonio degli enti svolge da sempre ”funzioni pubbliche”, che nella storia del Paese ha rappresentato uno strumento decisivo per rendere effettivo il diritto alla casa per milioni di lavoratori e lavoratrici. Oggi una situazione sociale esplosiva impone alle istituzioni un processo di regolarizzazione che tuteli le fasce più deboli».

Storie simili si trovano in altre zone della città, dove è presente il patrimonio Inps: Donna Olimpia, Cinecittà, Magliana. Storie di affitti quintuplicati da un giorno all’altro, di pignoramenti esecutivi (di terzo livello, relativi alle buste paga o pensioni), di richieste di sanatoria rigettate con motivazioni fumose e opache, con il ruolo da killer sociale della Romeo Gestioni Spa. Storie di discrezionalità assoluta da parte dell’ente nelle proposte di vendita.

Negli ultimi mesi, grazie alle mobilitazioni dei movimenti per il diritto all’abitare e ai sindacati degli inquilini si è aperta una interlocuzione con Regione e Comune.

In un recente incontro organizzato da Asia-Usb, il presidente della Commissione Patrimonio del Campidoglio, Yuri Trombetti, si è detto favorevole a utilizzare la norma che consente l’acquisto a prezzi calmierati da parte degli enti locali delle case rimaste vuote e invendute, o con persone che non ce la fanno a pagare. In questo caso c’è un precedente virtuoso, legato alla vicenda della lotta degli inquilini delle case di via Pincherle, zona Marconi.


Si tratta di un complesso di due palazzi di cinque piani con 280 alloggi, realizzato negli anni Sessanta. Un blocco edilizio che è stato al centro di una contesa a suon di milioni di euro tra Regione e Giacomazzi Spa, subentrata a Fata Assicurazioni.

La lotta degli inquilini è stata lunga e determinata per bloccare le procedure di sfratto e ottenere il riconoscimento delle occupazioni senza titolo. La Regione, dopo aver aiutato decine di famiglie nell’acquisto con un mutuo agevolato, ha attivato il processo di acquisizione pubblica degli appartamenti che non sono stati comprati dagli inquilini, garantendo a questi ultimi di rimanere dentro le proprie case. La stessa soluzione è stata trovata per le case di proprietà Enasarco di via dei Colli Portuensi.

La dismissione del patrimonio degli enti previdenziali ha trasformato una parte degli inquilini in proprietari, ma ha messo sulla strada tutti gli altri.

La vendita degli alloggi è servita a garantire la rendita finanziaria agli investitori che hanno applicato, sia per l’acquisto che per l’affitto, i prezzi di mercato, troppo alti per poter essere sopportati da famiglie colpite dalla crisi.

Roma continua a essere una città piena di case vuote e cittadini senza casa, in caduta demografica come tutto il paese. Ripartire dal patrimonio sfitto, inventare un nuovo ruolo regolatore degli enti locali, smetterla di consumare suolo: forse non sono più gli slogan di qualche movimento radicale, ma l’unico programma “riformista” possibile nella capitale della rendita immobiliare.

Tutte le immagini di Emiliano Viccaro