EDITORIALE

Guerra in Ucraina, di cosa parliamo quando parliamo di politica?

Nel medio periodo l’unica alternativa resta quella proposta da Lenin: l’estirpazione dei vari gruppi di briganti, oggi al comando in Russia e Usa, che stanno precipitando il mondo verso l’olocausto nucleare rapido o verso l’appena più lento collasso ecologico

Se intendiamo “politica” in senso autentico – esperienza rara e di massa, vitale e incisiva – non parliamo certo degli intrighi quotidiani che riempiono la stampa italiana e ancor più grottescamente i talk show e su cui non vale la pena di perdere tempo. Non parliamo neppure di geopolitica per cui, scremando le lercie ricadute retoriche, esistono concetti e tradizioni esegetiche consolidate che consentono di leggere i rapporti di forza nel medio periodo ed elaborare strategie più o meno valide. Oggi, in una situazione di guerra sono infatti tramontati gli insulsi dibattiti su invasione etnica, abuso del reddito di cittadinanza e diritti conculcati dei no-vax e si parla di politica in senso più adeguato. Gli europei hanno paura e il timore è il principio della sapienza. Tutti i virologi dilettanti della fase precedente, con il contorno dei tifosi dell’atlantismo e delle vedove del “socialismo reale”, ora straparlano al bar di geopolitica ed energie fossili.

Su quel terreno di politica dimezzata e in partenza subalterna a logiche imperiali già costituite sono tuttavia possibili battaglie difensive parziali, forme di resistenza alla barbarie e di salvaguardia della vita.

È giusto e valido preferire il soccorso umanitario all’invio delle armi a uno dei contendenti per una causa ingiusta, cercare di bloccare l’allargamento a est di Nato e Ue, scendere in piazza in difesa della pace senza se e senza ma, inginocchiarsi e pregare con il Papa che (unico) cita l’art. 11 della nostra Costituzione, invocare soluzioni diplomatiche e la mediazione di terze parti che vogliono dilazionare lo scontro per trarne maggior vantaggio alla fine – siamo realisti con Xi Jinping. Non è il caso di fare gli schizzinosi, visto il vento che soffia. Tutto è meglio della corsa all’abisso salutata, come nel 1914, dal plauso prezzolato dei media, dall’orgia delle fake news e dai cori incoscienti sui balconi.

Tutto questo però non basta, come non bastò nel 2003 e oggi, per di più, entrambe le parti in causa hanno armi atomiche e il conflitto, già prima di dilagare, ha spinto in secondo piano le fioche strategie di contenimento della catastrofe ecologica che erano state, con enorme ritardo, proclamate indifferibili. Guardate la rapidità del ritorno al carbone e la facilità con cui sono stati trovati i soldi per il riarmo e scavallate le procedure europee più vischiose allo scopo di uccidere e non di salvare vite.

Cosa è politica in senso forte oggi? Cosa è urgente per salvarci la nuda vita, l’esecrata (dai sazi) zoé e riaprire le condizioni per una vita qualificata (bios) in un ambiente compatibile con la specie umana e non solo con batteri, virus e topi – che comunque alla lunga, ma speriamo non domani, ci sopravvivranno?

Nei 1914, in una situazione molto simile alla nostra, insisto – imperialismo multipolare, governanti folli e opposizioni deboli – Lenin, cadute le speranze che un movimento operaio internazionale potesse bloccare sul nascere la guerra per la spartizione del mondo, lanciò realisticamente la parola d’ordine di trasformare la strage fra i popoli in guerra civile contro la borghesia imperialistica. Ci vollero anni, ma alcuni banditi responsabili del massacro furono cacciati dal potere, qualcuno pagò in uno scantinato di Ekaterinenburg e, anche se non si aprì proprio un’èra di pace e benessere in Europa, il vecchio mondo si dileguò. Nel frattempo, Lenin fece uscire la Russia dal conflitto, liquidò il ceto dominante zarista e liberal-interventista, che ne era stato responsabile, e restituì l’indipendenza nazionale (Putin ancor oggi ci rosica) a Polonia, Finlandia, Lituania, Estonia, Lettonia, Ucraina, repubbliche centro-asiatiche e caucasiche.

Oggi, al confronto della I guerra mondiale e della II che sbrigò i conti rimasti in sospeso, abbiamo, in apparenza, una piccola guerra, che ha suscitato grande emozione in un’opinione pubblica implicitamente razzista perché coinvolge solo bianchi europei cristiani. Ma non solo la guerra è orrenda (anche se finora con poche vittime e danni), con vittime innocenti e rancori duraturi, ma virtualmente micidiale perché i contendenti veri sono Biden e Putin e già si sta minacciando da entrambe le parti l’uso di armi nucleari su scala non locale. Che vuol dire Aviano e Sigonella, chiaro?

Lo spettro della catastrofe atomica imminente si aggiunge alla realtà presente del disastro ecologico, visto che questa guerra e i suoi contraccolpi inflattivi stanno già affossando tutte le buone intenzioni di transizione green. I due movimenti di massa per salvare il mondo dal collasso climatico e testosteronico, Fff e NonUnaDiMeno, sono sotto pressione da quando la guerra è balzata in primo piano.

Le destre da noi e in tutta Europa sono tornate all’attacco contro le “utopie” ecologiche e il ritorno al carbone e l’incremento delle spese militari sono diventate ovvietà nel quadro di tutti i piani di ripresa e resilienza. Lo stato di belligeranza, infine, fra due paesi ad alta incidenza di Covid e basso tasso di vaccinazioni, con esodo di massa degli sconfitti, non lascia certo prevedere un miglioramento della situazione sanitaria europea, che stava avviandosi verso l’endemizzazione stagionale.

Come che vadano le trattative in corso – e speriamo che portino a qualcosa – il problema della guerra continuerà a incombere all’orizzonte e con esso lo spostamento degli investimenti dal green e perfino dal greenwashing e dalla sanità alle armi, convenzionali e nucleari. Stiamo già esportando mitragliatrici e missili, non vaccini. Nel medio periodo l’unica alternativa resta quella proposta, in una situazione meno pericolosa, da Lenin: l’estirpazione dei vari gruppi di briganti, oggi al comando in Russia e Usa, che stanno precipitando il mondo verso l’olocausto nucleare rapido o verso l’appena più lento collasso ecologico. È evidente che non riusciremo a convincerli con le buone. Né loro e neppure Xi che al momento sembra più freddo e razionale, più sicuro di sé.

La grande politica della pace e della salvaguardia del pianeta non sarà pacifica. Ma l’alternativa è la distruzione globale della nostra specie e di una cospicua parte di questa bella d’erbe famiglia e d’animali.

Senza avere, al momento, neppure la forza per fare una piccola insurrezione locale. Però spiegatemi se c’è una via meno radicale. Nel giro di un decennio – dico.

Immagine di copertina da commons.wikimedia.org