MONDO

Grecia, il processo punitivo ai 35 ribelli dell’hotspot di Moria

Lottare per una vita dignitosa è un diritto, non un crimine

Il 18 luglio 2017, 35 migranti sono stati arbitrariamente arrestati dopo una serie di proteste a Lesbo, davanti alla sede dell’EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo), organizzate dall’interno del centro di detenzione di Moria. Provenienti da diverse parti del mondo ma intrappolate nelle stesse circostanze, molte persone si sono unite e mobilitate per denunciare sia i ritardi illegittimi delle loro domande di asilo, sia le terribili condizioni in cui sono state costrette a vivere nel frattempo. 34 dei 35 arrestati sono neri. Tutti sono stati accusati degli stessi identici reati, nonostante la mancanza di prove della loro partecipazione individuale alle manifestazioni. Uno degli imputati è stato ricoverato in ospedale per oltre una settimana a causa della brutalità della polizia, quattro hanno ricevuto un ordine restrittivo e gli altri 30 sono stati sparsi tra Chios e Atene, l’Attica e la Grecia centrale, dove sono stati e continueranno a essere trattenuti fino al giorno del processo. Dopo nove mesi di attesa, è stato deciso che il processo si svolgerà il 20 aprile di fronte a una giuria mista – composta anche da membri della società civile – nel tribunale di Chios.

Questo caso particolare non dovrebbe essere considerato come un evento isolato, ma come parte di una più ampia politica repressiva, portata avanti dallo Stato greco e dalle misure anti-immigrazione dell’UE. Gli internazionali come quello tra UE e Turchia promuovono l’esternalizzazione delle frontiere per impedire ai migranti di raggiungere il territorio europeo, trasformando le isole dell’Egeo in prigioni dove questi devono essere contenuti in uno stato di limbo. Come risultato di questa politica di contenimento, gli hotspot sulle isole sono diventati insopportabilmente sovraffollati e mancano dell’infrastrutture necessarie per soddisfare i bisogni più elementari. Imprigionare le persone per lunghi periodi di tempo in condizioni disumane non è solo una violazione sistematica dei diritti umani. È anche una misura contraria alle leggi greche e a quelle dell’Unione europea, così come ai suoi presunti valori. Questo è esattamente ciò che i manifestanti denunciavano quando sono stati arrestati. Chiedevano alle autorità di riconoscergli il diritto a vivere una vita dignitosa. Chiedevano alle autorità di rispettare le loro stesse regole.

Questa violazione sistematica dei diritti umani e gli abusi che le politiche anti-immigrazione infliggono in generale ai migranti sono esemplificati in questo particolare caso giudiziario. Un’ingiustizia manifesta su più fronti, a cominciare dalla repressione portata avanti dalle forze di polizia locali, a cui danno seguito gli altri rami dello Stato. Le violente incursioni del 18 luglio hanno portato a 35 arresti arbitrari, dettati da discriminazioni razziali e condotti con l’utilizzo di forza eccessiva. Le forze di polizia hanno preso di mira la “sezione africana” del campo di Moria, dove hanno aggredito e arrestato persone a caso, o meglio: solo a causa della loro collocazione all’interno del campo. Questa azione illecita è stata giustificata con le accuse sproporzionate rivolte contro gli arrestati e ulteriormente confermata dalle pene richieste. Le conseguenze che gli incriminati dovranno affrontare non comprendono solo una probabile reclusione, ma sicuramente il respingimento nei Paesi di origine, da cui sono fuggiti.

L’entità delle pene – che non si adatta al crimine – è in linea con la politica di criminalizzazione dei migranti, nel tentativo di giustificare la loro esclusione dal diritto alla protezione internazionale. Inoltre gli imputati sono stati deliberatamente separati, in modo tale da interferire con la preparazione della loro difesa. Molti degli arrestati sono stati privati di traduttori adeguati durante questa procedura. Per nove mesi sono stati detenuti in modo preventivo, evocando inevitabilmente un senso di isolamento e la mancanza di alcun tipo di sostegno. Infine, la sede del loro processo è stata trasferita a Chios: un’altra manovra istituzionale che mina l’efficacia della difesa, limitando l’accesso ai testimoni. Complessivamente, la coerenza delle azioni dello Stato rivela una politica unanime di intimidazione e paura, intesa a smantellare i movimenti auto-organizzati da parte dei rifugiati, e dissuaderli da azioni future. La loro strategia è quella di mettere a tacere i rifugiati e i migranti per nascondere la realtà crudele delle isole. Una realtà che non solo è resa possibile, ma addirittura legittimata sia dall’Unione Europea che dallo Stato greco attraverso queste pratiche di violenza, razzismo e palese disumanità.

Moria 35

Moria 3535 men who were arrested on Lesvos Island are awaiting their trial on 20th of April 2018. If convicted, they could be sentenced for up to ten years."From what I understand, I was only arrested because I am a black man."Didier Ndiay, SenegalPlease like our page Joinda production and visit our webistehttps://joindaproductions.wordpress.com/

Pubblicato da Joinda production su lunedì 16 aprile 2018

Come è possibile che questo esplicito disprezzo dei diritti umani fondamentali venga portato avanti dai funzionari delle forze dell’ordine? Il trattamento degradante che questi 35 uomini hanno subito dal loro arrivo in Europa a oggi manifesta una netta distinzione delle persone, tra una prima e una seconda “classe”. Questa divisione si basa unicamente su un fattore: entro quali confini si nasce. In altre parole, come si svolgerà il proprio incontro con la Fortezza Europa è già scritto nella propria nazionalità. Gli africani ricevono il trattamento peggiore. La retorica amministrativa che tenta di normalizzare questo criterio di giudizio, arbitrario e parziale, svela un razzismo radicato e profondo. Per tutto il tempo in cui sono stati all’interno dei confini europei, i 35 detenuti hanno subito discriminazioni, in primis la negazione automatica del loro diritto di chiedere asilo, a causa della loro nazionalità. Per reiterare questo rifiuto e mandare un messaggio dissuasivo ad altri possibili migranti, i migranti sono contenuti negli hotspot, che potrebbero essere facilmente scambiati per prigioni e possono rimanervi più a lungo della durata di alcune condanne penali effettive. Questo approccio intollerante portato avanti dall’UE offusca deliberatamente il confine tra centri di detenzione e prigioni, vittime e criminali. Più sfocata è la linea di demarcazione, più facilmente può essere oltrepassata.

Il razzismo strutturale è ciò che giustifica l’emarginazione e le condizioni brutali dei campi greci. I 35 di Moria erano già dietro le sbarre prima di essere realmente accusati di qualcosa. I loro carcerieri stanno cercando di utilizzare le proteste – che denunciavano la loro prigionia – come una scusa per continuare a privarli della loro libertà.

Il razzismo strutturale è ciò che marchia queste persone, che sono state private del diritto di rimanere sul territorio europeo, come essenzialmente “illegali”. Questa etichetta li criminalizza senza che abbiano commesso alcun crimine. Li rende vulnerabili e imprigionabili: facilmente soggetti a incarcerazione e respingimento verso Paesi tutt’altro che sicuri. Tutti gli uomini arrestati quel giorno erano africani. Tutti loro erano “illegali”. Una delle punizioni che probabilmente affronteranno è la deportazione in Paesi dove la violenza è una realtà diffusa. Le azioni legali sono più convincenti dei soliti vaghi motivi che l’UE usa per giustificare i respingimenti. Tuttavia, nessun essere umano merita questo destino.

Quindi, come è possibile? È possibile solo perché ogni fase di questo caso è stata immersa nelle radici profonde del razzismo che pervade lo Stato e dell’Unione europea. Dato il livello di razzismo istituzionale in tutto il mondo, non possiamo aspettarci che la stessa giuria nel tribunale di Chios possa emettere un verdetto equo. Questi 35 uomini saranno giudicati legalmente da una legge che è loro estranea, in una lingua straniera, per mano delle stesse autorità che li hanno messi in quelle condizioni. Da coloro che li hanno discriminati, li hanno criminalizzati e li hanno imprigionati. Il tipo di gestione del caso dei 35 di Moria è possibile solo a causa della arbitraria rappresentazione di rifugiati e migranti come gente di seconda classe, che li priva dei loro diritti fondamentali. Sarebbe successo se fossero stati europei?

Non crediamo che le autorità siano giuste e imparziali il 20 aprile. L’unica possibilità per questi 35 uomini si basa sull’evidenza delle ingiustizie che stanno affrontando. Queste ingiustizie impunite non devono essere trascurate, nonostante gli sforzi dello Stato per ridurre i rifugiati al silenzio e per nascondere la realtà delle loro storie. Dove c’è il silenzio non si vedono i problemi e il razzismo sembra appartenere al passato. La storia di questi 35 mostra il contrario. La loro esistenza è resistenza. Solo la resistenza sconfiggerà il silenzio.