MONDO

Bolivia, golpe contro Evo Morales: i militari si schierano con l’opposizione

La situazione è precipitata nelle scorse settimane e con velocità inedita: dopo il disconoscimento del voto e la denuncia di “brogli” da parte delle destre, anche i militari si schierano con l’opposizione di destra. Evo Morales costretto a dimettersi per «fermare la violenza nel paese»

La violenza scatenata nelle strade da parte dell’opposizione e dalle destre è aumentata giorno dopo giorno nel paese dopo le elezioni e negli ultimi giorni diversi settori della polizia sono passati dalla parte degli oppositori: la “controrivoluzione” reazionaria, in marcia nel continente e non solo, arriva fino alla Bolivia.

Dimostrando che la volontà è farla finita con il primo presidente indigeno e sindacalista della storia del paese,  le destre, forti del malcontento di alcuni settori della popolazione rispetto al governo, non hanno atteso il riconteggio dei voti, né accettato la proposta di nuove elezioni, con cui Evo aveva provato a distendere la situazione e a rispondere alla OEA – in italiano OSA, l’Organizzazione degli Stati Americani – dalla direzione di tendenza filo Usa e conservatrice, che aveva denunciato irregolarità nel conteggio dei voti dello scorso 20 ottobre.

Se la crisi di legittimità di Morales era emersa con la sconfitta nel referendum sulla possibilità di una sua rielezione, poi ottenuta con una sentenza del Tribunale Supremo, e i limiti e le contraddizioni del suo governo erano emersi negli ultimi anni, va ricordato che il presidente arrivava alle elezioni con tre mandati alle spalle di crescita economica, politiche redistributive e un generale miglioramento della qualità della vita nel paese, seppure sostenuto con un aumento dell’estrattivismo e delle grandi opere nei diversi territori del paese (piuttosto che intaccare i profitti dei grandi capitali).

L’offensiva delle destre, seppur precedente alle elezioni, ha visto in queste ultime l’occasione per lanciare la sua offensiva anti democratica e capitalizzare un certo malcontento di settori e aree del paese: il primo passo è stato disconoscere la vittoria elettorale di Morales, denunciando brogli e radicalizzando la violenza nelle mobilitazioni dell’opposizione nelle piazze di diverse città, compresa La Paz, il secondo il golpe civico-poliziesco-militare.

 

Passo dopo passo ha perso il ruolo di primo piano il candidato neoliberale della coalizione di destra, l’ex presidente Carlos Mesa, arrivato secondo alle elezioni con 10 punti percentuali in meno rispetto a Morales, in favore di un rampante esponente dell’estrema destra, Luis Fernando Camacho.

 

Soprannominato “El Macho”, Camacho è un ricco avvocato di Santa Cruz, imprenditore ed esponente della borghesia bianca dell’Oriente del paese; poche settimane fa, aveva fatto esplicito riferimento in pubblico alle liste di traditori che stilava Pablo Escobar per eliminare i suoi nemici come esempio da seguire per risolvere i problemi in Bolivia.

Per far si che «Dio torni nella casa del governo» è entrato nel Palazzo Presidenziale con la Bibbia in mano poco dopo le dimissioni di Morales: membro della Loggia dei Cavalieri dell’Oriente, radicata negli ambienti della destra nel paese, ha militato nella Union Juvenil Crucenista, organizzazione razzista e paramilitare come denunciato da organizzazioni dei diritti umani. È lui la figura di spicco del golpe civico militare in corso in Bolivia, oggi leader dei Comitati Civici di Santa Cruz e figura chiave dell’ultradestra andina.

Dopo l’ammutinamento di alcuni settori della polizia tra sabato e domenica in diverse città, e la dichiarazione di ieri dell’OSA sulle elezioni dello scorso 20 ottobre, Morales ha denunciato il golpe in corso e per frenare la violenza ha annunciato nuove elezioni. Ma le destre hanno rilanciato sulle sue dimissioni immediate, mentre venivano attaccati con violenza dirigenti sindacali e politici del MAS, familiari e parenti dei dirigenti, leader indigeni e non solo. Nel tardo pomeriggio di domenica, infine, i militari hanno “consigliato” al presidente di dimettersi, come denuncia Marco Teruggi dalla capitale politica boliviana.

 

 Dopo le parole esplicite del generale William Kaliman che ha chiesto al presidente di abbandonare il potere, sia Evo Morales che García Linera hanno dichiarato: «Si è consumato il colpo di Stato in Bolivia».

 

Morales ha affermato di rinunciare al potere per fermare la violenza, per far sì che i seguaci di Mesa e di Camacho «smettano di incendiare le case dei militanti e dirigenti, intimidendo e minacciando le nostre famiglie»: dopo aver lasciato El Alto, il presidente destituito ha affermato che non lascerà il paese. Poche ore dopo, si sono dimessi anche la presidente e il vicepresidente del Senato, che avrebbero dovuto prendere l’incarico di Morales e Linera, mentre lo stesso Morales ha denunciato sia la presenza di un ordine di arresto illegale contro di lui, sia un assalto violento contro la sua casa, l’assalto e l’incendio contro la casa della sorella e di altri dirigenti del Movimento al Socialismo.

Un rivincita di classe contro il primo presidente indigeno della storia della Bolivia, che dopo le dimissioni ha scritto: «Voglio che il popolo boliviano sappia che non ho motivi per fuggire, che mostrino le prove se mi accusano di rubare. Se dicono che non abbiamo lavorato, che guardino le migliaia di opere costruite grazie alla crescita economica. Gli umili e i poveri che amiamo la Patria continueremo questa lotta».

Cosa accadrà nei prossimi giorni? Come reagiranno i movimenti vicini al governo e i settori popolari contrari al golpe? Si scatenerà ancora di più la violenza razzista e revanchista delle destre? Quali saranno le reazioni a livello internazionale?

Mentre i governi di destra in America Latina sostengono il golpe, diversi leader delle opposizioni e delle sinistre hanno condannato l’azione dei militari e delle destre, compreso il neo-eletto presidente dell’Argentina Alberto Fernández, che comincerà il mandato il prossimo 10 dicembre, e l’ex presidente brasiliano Lula, liberato appena due giorni fa. Intanto in queste ore drammatiche per l’America Latina, decine di mobilitazioni contro il golpe e in sostegno di Evo Morales si sono tenute ieri e molte altre si terranno oggi e domani in tante città della regione, mentre nella città di El Alto i sindacati e i movimenti vicini al governo presidiano le strade e la città annunciando che organizzeranno la difesa popolare contro il golpe.