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MONDO

Gli Stati Uniti hanno una propria agenda contro la Russia

L’Ucraina rappresenta il ground zero dell’espansione della guerra per procura tra Usa e Russia

Da quando Vladimir Putin ha iniziato la sua invasione dell’Ucraina, c’è stata una coesione senza precedenti nei messaggi emanati dal governo degli Stati Uniti, dai suoi alleati NATO e dagli altri alleati europei, e da larghi settori dell’establishment dei media occidentali. Mentre enormi quantità di armi vengono riversate in Ucraina, c’è una consistente agitazione mediatica e politica nei confronti del presidente americano Joe Biden e degli altri leader occidentali affinché «facciano di più» o rispondano sul perché non stanno inasprendo ulteriormente la situazione, compresa anche l’imposizione di un no-fly zone.

La Casa Bianca fiuta l’odore del sangue di Putin nelle acque di questa sua disastrosa invasione. Il flusso di armi, le sanzioni indiscriminate e altri atti di guerra economica sono mirati, in definitiva, non soltanto a difendere l’Ucraina e a far pagare al regime l’invasione nell’immediato presente, ma anche a mettere in moto la caduta del regime stesso.

.«Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere», ha detto Biden in occasione della sua recente visita in Polonia. La Casa Bianca ha tentato di correre ai ripari chiarendo che non rappresentava un cambiamento di policy ma che fosse semplicemente l’esternazione della legittima rabbia del presidente. Il clamore su cosa intendesse sul serio Biden è meno rilevante delle azioni pubbliche concrete degli Stati Uniti e dei loro alleati.

La guerra in Ucraina è contemporaneamente una guerra di aggressione condotta da Putin e parte di una più ampia battaglia geopolitica tra Stati Uniti, NATO e Russia. «Siamo coinvolti in un conflitto. È una guerra per procura contro la Russia, che lo ammettiamo o meno», ha dichiarato Leon Panetta, ex direttore della CIA e Segretario alla Difesa sotto Barack Obama. «Penso che l’unico modo per affrontare seriamente Putin in questo momento sia raddoppiare la nostra puntata, il che significa fornire tutto l’aiuto militare necessario». Intervistato da Bloomberg News il 17 marzo, Panetta ha illustrato la strategia degli Stati Uniti: «Badate bene: la diplomazia non va da nessuna parte a meno che non esercitiamo pressione, a meno che gli ucraini non esercitino pressione e, francamente, il modo per esercitarla è scendere in campo e uccidere i russi. Questo è quello che devono fare gli ucraini. Dobbiamo continuare lo sforzo bellico. Questo è un gioco di potere. Putin capisce il potere, ma in realtà non capisce molto di diplomazia».

Non si deve partire dal presupposto che le strategie e le azioni messe in campo da Washington e dai suoi alleati nella loro guerra per procura contro Mosca saranno sempre nei migliori interessi dell’Ucraina o del suo popolo. Allo stesso modo, gli appelli dell’Ucraina per il sostegno militare e per azioni da parte dell’Occidente (per quanto giustificati e sinceri possano essere) potrebbero non essere nei migliori interessi del resto del mondo, in particolare se aumentano il rischio di una guerra nucleare o della terza guerra mondiale.

Il desiderio di evitare questo scenario invocando una soluzione negoziata della guerra che affronti le preoccupazioni dichiarate dalla Russia o le sue ragioni a giustificazione dell’invasione non rappresenta una capitolazione a Putin e non è un cedere terreno. È buon senso.

Il destino dell’Ucraina e le vite della sua popolazione civile vengono evocati negli appelli ad azioni più incisive da parte dell’Occidente, ma sono proprio queste stesse persone che soffriranno e moriranno in gran numero per ogni giorno in più in cui la guerra si trascina. La copertura dei media occidentali è spesso costruita per rappresentare un unico risultato accettabile: una decisa vittoria ucraina, nella quale il governo di Volodimir Zelens’kij emerga dagli orrori dell’invasione russa con il controllo completo di tutto il suo territorio, compresa la Crimea e la regione del Donbass. L’Ucraina, in quanto stato libero e indipendente, dovrebbe essere libera di aderire alla NATO e la Russia non ha alcuna legittimità nel mettere in discussione le implicazioni di tale mossa. Chiedere di accettare una qualsiasi proposta al ribasso di questo scenario rappresenta una vittoria per la Russia ed è considerato da traditori anche il solo prenderla in considerazione.

Sebbene questa posizione possa sembrare moralmente giusta, in particolare quando è rafforzata dalle tremende immagini della carneficina umana compiuta dalle forze russe e dalle suppliche degli ucraini affinché il mondo intervenga in modo molto più diretto, porta racchiusa dentro di sé un principio moralmente dubbio: gli ucraini dovrebbero sostenere il costo umano non solo della difesa della propria nazione, ma anche delle agende su più ampia scala degli Stati Uniti e di altri governi occidentali. Nel suo recente saggio per “The Atlantic”, Anne Applebaum, autorevole falco di guerra americano, ha affermato che ora è il momento che gli Stati Uniti e i loro alleati abbraccino una nuova Guerra Fredda, scrivendo che «Finché la Russia sarà governata da Putin, allora la Russia sarà in guerra con noi. Così come lo saranno Bielorussia, Corea del Nord, Venezuela, Iran, Nicaragua, Ungheria e potenzialmente molti altri» e che «Non esiste un ordine mondiale liberale naturale e non ci sono regole senza qualcuno che le faccia rispettare».

La belligeranza di routine esibita da una pletora di politici, esperti e personaggi dei media riguardo al portare in Ucraina il conflitto contro Putin rappresenta in gran parte un atto da chickenhawk [Letteralmente, “pollo-falco”. Nel discorso politico americano, chiunque propugni la guerra (falco di guerra) ma non si impegni poi in prima persona quando richiesto (pollo inteso come “codardo” – ndt]. «Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è il Churchill di oggi e il presidente Biden è il Roosevelt di oggi», ha scritto il noto guerrafondaio Max Boot sul Washington Post. «Una sconfitta russa», ha affermato Boot, «è essenziale per salvare l’Ucraina e salvaguardare l’ordine liberale internazionale. Gli ucraini sono disposti a continuare a combattere nonostante le strazianti perdite. Dobbiamo solo fornirgli gli strumenti per finire il lavoro». Eppure, quando si ascoltano i dettagli particolari degli stessi negoziatori e leader ucraini, è chiaro che siano coscienti che la guerra non si concluderà con il rapido annientamento di Putin, con la caduta della Russia o con un totale e completo mantenimento della sovranità territoriale ucraina.

Ecco perché il governo di Zelens’kij ha riconosciuto che le questioni sull’adesione alla NATO, su uno status di neutralità formale e su un percorso con la comunità internazionale per lo status della Crimea saranno tutte  presenti sul tavolo.

C’è stato molto clamore per le recenti indicazioni della Russia secondo le quali stesse riducendo le proprie azioni militari in alcune zone dell’Ucraina, in particolare intorno alla capitale Kiïv. Gli Stati Uniti e la NATO hanno riconosciuto un parziale ritiro, ma hanno affermato che le forze russe sembrano essere in fase di riposizionamento, probabilmente per un uso a est. Anche la stessa Russia ha detto altrettanto. La posizione di Mosca è che «gli obiettivi principali della prima fase dell’operazione sono stati generalmente raggiunti».

C’è una dinamica peculiare che circonda le analisi delle dichiarazioni di Putin sulle sue intenzioni in Ucraina. Viene accusato di mentire quando le sue osservazioni mettono in discussione la narrazione degli Stati Uniti, ma ci viene detto di credere che stia assolutamente dicendo la verità quando le sue pugnaci minacce rafforzano la posizione degli Stati Uniti.

A prescindere dal fatto che intendesse o meno impadronirsi della totalità dell’Ucraina e trasformarsi in occupante imperiale, sembrava che Putin fosse convinto che l’invasione potesse causare la caduta del governo ucraino e la fuga dei suoi leader impauriti. Non è successo. Invece, intorno a Kiïv, le forze ucraine armate da Stati Uniti e NATO hanno combattuto ferocemente contro le truppe russe infliggendo perdite significative sul campo di battaglia.

Allo stesso tempo, aprendo più fronti, Mosca ha costretto l’Ucraina a difendere territori strategici, compresa la propria capitale. Questa strategia ha richiesto un altissimo costo umano da parte dei militari russi, ma ha alleggerito la pressione sulle truppe russe nei territori del Donbass nell’est del paese, indicati da Putin come priorità territoriale dell’operazione.

Ma la questione dell’intento originale di Putin (prendere Kiïv o usare questa minaccia come strategia per assottigliare le difese dell’Ucraina) è ora in gran parte irrilevante tranne che nell’ambito della battaglia retorica incentrata sulla debolezza, sull’incompetenza o sul fallimento della Russia.

La questione più accesa dei negoziati per porre fine alla guerra avrà probabilmente poco a che fare con l’adesione alla NATO. Zelens’kij ha già ammesso che per porre fine alla guerra l’Ucraina dovrà abbandonare tale ambizione e adottare uno status neutrale e non allineato, anche se lui vuole continuare a perseguire l’adesione all’Unione Europea.

La Russia si opporrà sicuramente a qualsiasi tentativo di Kiïv di ottenere una scappatoia verso un “Articolo 5” che potrebbe innescare la difesa dell’Ucraina da parte delle potenze occidentali in caso di future azioni militari da parte di Mosca. L’Ucraina ha suggerito che vorrebbe che a far parte di tale commissione di garanzia non ci siano soltanto gli avversari della Russia, ma anche Cina e Turchia. Ci sono elementi che ci indicano che gli Stati Uniti non ritengono che la proposta sia praticabile, e il vice primo ministro britannico ha affermato senza mezzi termini: «L’Ucraina non è un membro della NATO», aggiungendo: «Non impegneremo la Russia in uno scontro militare diretto».

Sulla base dei resoconti degli ultimi negoziati in Turchia, sembra che le questioni più accese orbiteranno attorno alle repubbliche separatiste nella regione del Donbass. L’Ucraina, in effetti, ha affermato di volere un ritorno allo status quo pre-invasione, il che significherebbe cancellare le dichiarazioni di indipendenza di Donetsk e Lugansk riconosciute da Putin. È improbabile che la Russia, che attualmente sta espandendo il proprio controllo sul Donbass e conquistando più territorio, sia d’accordo. Questa più di ogni altra dinamica potrebbe ritardare o bloccare qualsiasi risoluzione significativa e sarebbe un tema centrale in un potenziale vertice tra Zelens’kij e Putin.

Una volta raggiunto un accordo mediato, l’eventuale flusso di armi occidentali in Ucraina e il supporto militare russo ai separatisti si tradurrebbero in un costante stato di guerra per molti anni a venire. Una nuvola presagio di ulteriori combattimenti e spargimenti di sangue continuerà ad aleggiare sull’Ucraina orientale.

Se le truppe statunitensi e le altre truppe NATO riprenderanno le proprie esercitazioni in Ucraina, come Biden ha indicato che dovrebbero fare, significa che ci sarà sempre il rischio di incidenti che potrebbero intensificarsi rapidamente.

Questa guerra di sei settimane ha sicuramente fatto esultare l’industria bellica. A Washington, Biden ha proposto di recente quello che rappresenterebbe il più grande budget per la “difesa” nella storia degli Stati Uniti, oltre 813 miliardi di dollari. La Germania e altri paesi europei si stanno impegnando pubblicamente ad acquistare e vendere più armi e a spendere di più per la difesa.

La NATO sta sollevando la prospettiva di espandere la propria presenza militare permanente in Europa e Washington sta riaffermando il proprio dominio politico sull’Europa in materia di sicurezza. Ma nonostante l’immagine di unità di intenti globale venga promossa dagli Stati Uniti e dai suoi alleati della NATO, diverse nazioni grandi e potenti, tra cui Cina, India, Indonesia e Turchia, membro della NATO, non stanno marciando al ritmo dei tamburi di guerra di Washington (non sono coinvolte nel business della guerra per procura e non condividono la politica di sanzionare e denigrare la Russia).

La guerra aperta in Ucraina dovrà finire sul tavolo dei negoziati. Ma la guerra per procura si sta intensificando e avrà conseguenze che si estendono ben oltre l’attuale campo di battaglia.

Articolo pubblicato su The Intercept, il 1 aprile 2022.

Ripubblicato in italiano in accordo con The Intercept, un’associazione no profit vincitrice di premi e dedita alla pubblicazione di notizie attraverso un giornalismo coraggioso e di inchiesta (qui per iscriversi alla newsletter)

Traduzione dall’inglese di Michele Fazioli per DINAMOpress

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