MONDO

Giustizia per Diana: fu travesticidio

La Giustizia argentina ha condannato all’ergastolo Gabriel David Marino per l’assassinio di Diana Sacayán. Una sentenza storica che riconosce per la prima volta la figura del Travesticidio come un crimine di odio e violenza di genere. La lotta de* amic*, famigliar*, compagn* e di varie organizzazioni sociali e politiche ha reso possibile questo storico risultato

Quando io me ne andrò non voglio farsantes al mio addio;

voglio le mie amate travesti, il mio quartiere lumpen, le mie sorelle

della strada, della vita e della lotta.

Quando io me ne andrò so che in un buon numero

Di coscienze avrò lasciato l’umile insegnamento

Della resistenza travesti, sudaca*, originaria.

Diana Sacayán

 

Dopo undici udienze, lo scorso lunedì 18 giugno nella zona di Tribunales, si respirava un’aria tesa e densa di emozioni, perché in questo giorno i giudici del Tribunale Orale nella sezione Criminale Nº4 di Buenos Aires, Capital Federal – Adolfo Calvete, Julio C. Báez e Ivana Bloch – avrebbero dettato la sentenza per Gabriel David Marino, accusandolo di essere coautore del travesticidio de Diana Sacayán. Nel corridoio decine di militanti e organizzazioni sociali si erano riuniti sin dalla mattina. In strada trasmetteva una radio aperta dalla quale centinaia di persone potevano ascoltare in diretta il verdetto.

Passato il mezzogiorno, dopo la quarta pausa, il tribunale ha letto la sentenza a Gabriel David Marino, nella quale veniva condannato «per essere coautore nel delitto dell’omicidio contraddistinto da odio alla identità di genere e per aver perpetrato violenza di genere, alla pena dell’ergastolo». Tanto dentro la sala come nel corridoio e nella piazza del quartiere Tribunales abbracci e pianti scoppiavano tra famigliari, amic* e compagn* di Diana e diverse organizzazioni e attivist* presenti.

Le parole che si ascoltavano dalla radio aperta dalla Commissione di Giustizia per Diana – Basta Travesticidi- erano piene di emozione. Centinaia di persone in strada aspettavano l’arrivo di familiar* e compagn* per riceverl* con applausi, cartelli e abbracci. «Questo è il miglior omaggio che avremmo potuto dare a Diana e a tutte le compagne che sono state vittime di travesticidio e di cui la giustizia non aveva mai fatto menzione», ha dichiarato Say Sacayán (fratello di Diana, ndr).

Nel pomeriggio si è tenuta nell’Hotel Bauen una conferenza stampa nella quale Luciana Sánchez, Say Sacayán, Darío Arias (Conurbanos por la Diversidad[1]) e Mariela Labozzetta[2] hanno esposto le loro impressioni e risposto alle domande dei media riguardo il giudizio e i suoi risultati. «È molto importante per noi, per l’accusa, aver conseguito entrambe le figure (crimine di odio contro l’identità di genere e violenza di genere), perché la giustizia ritiene che le nostre compagne hanno il diritto alla propria identità di genere, che l’identità travesti ha un valore, che hanno diritto a vivere una vita libera dalla violenza di genere«, ha dichiarato l’avvocata Sánchez. «Questi crimini non hanno altra ragione che l’odio verso l’identità travesti». Sono state inoltre ripercorse alcune delle questioni relative al contesto politico, alla lotta per l’applicazione delle quote di lavoro travesti e trans, la prostituzione e l’eredità di Lohana Berkins.[3]

Per chiudere questa giornata storica, si è svolta una cerimonia alle porte del Palazzo di Giustizia, con la quale si è reso omaggio a tutte le travesti assassinate dal patriarcato, illuminando con candele i loro nomi e le loro foto, cantando e gridando «Le travesti che hai ucciso torneranno…»

Questa situazione non è storica solamente per il precedente giuridico che stabilisce e perché non era mai accaduto che nel nostro paese si fosse portato a giudizio l’assassinio di una travesti con una accusa che riconoscesse la sua identità di genere (solamente quattro assassini di travesti sono stati portati finora nei tribunali), ma anche perché si tratta di Diana Sacayán, una figura di riferimento dei Diritti Umani a livello mondiale, che ha cambiato, assieme ad altre come Lohana Berkins y Marlene Wayar, la realtà di un intero corpo collettivo.

 

Chi era Diana Sacayán? 

Amancay Diana Sacayán è nata a Tucumán nel 1975, tra 15 fratelli e sorelle. Raccontava che «eravamo così umili e dormivamo così vicini che potevamo prender parte dei sogni dei nostri fratelli e sorelle». Quando era ancora bambina, la sua famiglia è emigrata a Buenos Aires alla ricerca di migliori condizioni di vita, occupando un terreno in Gregorio de Laferrere. È qui che Diana inizia la sua militanza già da giovane, costruendo orgogliosamente la sua identità travesti, nonostante per questo fosse stata perseguitata, arrestata, maltrattata innumerevoli volte dalla forza pubblica per aver «contravvenuto al Codice di condotta della Provincia di Buenos Aires», che considerava il travestitismo alla stregua di un crimine. Diana, oltre a militare per la libertà sessuale e le identità diverse, si riconosceva indigena, femminista, comunista e abolizionista e nel 2002 fondò il movimento Antidiscriminatorio di Liberazione (M.A.L.), eredità che oggi porta avanti suo fratello Say. Nella sua instancabile lotta, non c’era una causa che non abbracciasse, perché «chi non cambia tutto, non cambia nulla». Ricercava una trasformazione sociale profonda e radicale affinché potessimo essere tutt* liber*. Con questa coscienza, si è impegnata con la lotta dell* lavoratric*, de* senza lavoro, de* piqueter*, del movimento di donne ed identità dissidenti, contro le discariche, per il diritto all’aborto, l’educazione, la casa, la terra.

Lottò con forza e dedizione per la Legge di Identità di Genere sanzionata nel 2012 e per le Quote di Lavoro Travestiti e Trans, progetto da lei redatto e presentato varie volte di fronte alla legislatura della provincia di Buenos Aires, fino a quando è stato approvato nel settembre del 2015, appena un mese prima del suo assassinio. Quello dell’accesso a posti di lavoro per persone trans e travestiti è stato un tema particolarmente importante per Diana, non solamente perché rappresentasse il pieno esercizio dei diritti per tutte quelle persone che si allontanano dall’eteronormazione e dalle identità binarie, ma anche perché costituisce una reale e concreta alternativa alla prostituzione alla quale si vede spinta la gran maggioranza del collettivo trans e travesti, quasi senza possibilità di scelta. Come riconoscimento al suo percorso militante, è stata nominata difensore civico nel 2012 ed eletta vice-segretaria mondiale dell’Associazione Internazionale di Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans e Intersex (ILGA) nel 2014.

Nel 2015, fu assassinata brutalmente nella sua casa, mentre si teneva a Mar del Plata il 30° Incontro Nazionale delle Donne, al quale Diana non è potuta arrivare.

 

 

Processo

Il processo è iniziato il 12 marzo del 2018, a due anni e mezzo dall’assassinio di Diana Sacayán, nell’ottobre del 2015. Durante questo periodo, i familiari ed i compagni di Diana, hanno costituito la Commissione di Giustizia per Diana Sacayán -Basta Travesticidi- e sono riusciti, assieme all’avvocato Luciana Sánchez, a portare il crimine a giudizio individuando la figura giuridica di travesticidio. Say Sacayán, il fratello di Diana e coordinatore del Movimento Antidiscriminatorio di Liberazione (M.A.L.), si è costituito come parte civile familiare, assieme all’INADI[4], che si è presentato a sua volta come accusa nel processo. La pubblica accusa era rappresentata da Ariel Yapur y Mariela Labozzetta (UFEM).

Per tutta la durata del processo che ha preceduto il giudizio, la Commissione di Giustizia ha elaborato con grande precisione i fondamenti per poter inquadrare di fronte alla corte l’assassinio di Diana nella figura del travesticidio e odio. Si sono tenute anche diverse riunioni con organizzazioni sociali e partiti politici per poter arrivare al processo con una pressione popolare sufficiente.

Dal marzo al giugno del 2018, nelle 12 udienze si sono alternate le voci che informavano e fornivano prove riguardo la colpevolezza di Marino di fronte ai giudic*. Per tutta la durata del processo, si sono presentati innumerevoli testimoni, tra cui molte travesti amiche e compagne di Diana, familiari ed esperte come la antropologa sociale Amaranta Gómez Regalado. Sono anche state ascoltate le parole che Lohana Berkins pronunció prima di morire.

È necessario sottolineare che tutti gli atti presentati dall’accusa e dal procuratore sono stati assai convincenti e hanno costituito passaggi di apprendimento collettivo. Prima di tutto, l’eccellente atto della accusa da parte della famiglia, presentato da Sánchez, è stato il fondamento per tutti quelli che sarebbero venuti dopo: ha messo a disposizione tutti gli strumenti legali in maniera esemplare e ha dimostrato al tribunale non solo per le ragioni per cui Marino doveva essere condannato, ma ha dato anche tutte le spiegazioni necessarie per rendere chiaramente comprensibile la situazione di esclusione e marginalità delle travesti nel nostro paese e perché questo dovrebbe essere considerato un travesticidio. Allo stesso modo si è espresso l’avvocato dell’INADI. Infine, la requisitoria del procuratore è stato davvero un ottimo lavoro di Yapur e Labozzetta. È la prima volta nella storia, che lo Stato, attraverso il pubblico ministero, integrato in questa istanza anche da agenti della UFEM (cfr. nota 2), affronta un crimine di queste caratteristiche di impatto e contenuto politico e prospettiva di genere, chiarendo esplicitamente trattarsi di travesticidio. Tutti gli interventi hanno chiesto al tribunale l’ergastolo, anche se con posizioni non uniformi in merito alle aggravanti, lasciando così l’ultima parola alla sentenza.

 

 

Accompagnamento

Mentre si svolgevano le udienze, nella piazza davanti al tribunale si svolgevano mobilitazioni in cui si esigeva giustizia per Diana Sacayán e in cui si alternavano radio aperte e incursioni artistiche realizzate da organizzazioni sociali, partiti politici, personaggi di spicco e attivisti. Ogni incontro era accompagnato da musica dal vivo, stencils, gridi e abbracci. In ogni incontro, Diana era presente in tutta questa comunità che esigeva giustizia di fronte al Palazzo.

Il 15 maggio, il giorno in cui sono stati presentati i primi atti dell’accusa, si è tenuto un festival enorme al quale hanno partecipato artista* famos* dell’ambiente, come Sudor Marika, Kumbia Queers, Bife y Susy Shock, e hanno fatto sentire la propria voce contro il travesticidio vari personaggi politici esigendo che il riconoscimento ufficiale della figura del travesticidio per questo crimine e che si faccia giustizia per Diana. Questo evento è stato un fatto político importante per questo processo, in quanto varie forze politiche e attiviste hanno riempito la piazza in un unico grido di giustizia e con l’allegria della ribellione che caratterizza questa lotta.

 

 

Pionier*

Parlare di travesticidio oggi è possibile grazie alla concettualizzazione, le idee e le rivoluzioni che ci hanno lasciato Diana Sacayán, Marlene Wayar y Lohana Berkins che hanno ripetutamente problematizzato l’omicidio violento delle travesti e trans per mano del patriarcato, identificandoli come crimini di odio verso l’identità dei corpi travesti-trans. Cosí facendo, le compagne hanno spiegato la violenza strutturale e sistematica che ricade sulle travesti e trans, esclus* per la loro identità dall’accesso al lavoro, alla salute, all’educazione e alla casa. * compagn* lo chiamano travesticidio sociale, dato che molte travesti muoiono per cause del tutto evitabili.

Questo lungo processo, segnato da molta insistenza, lotta e dolore, è stato parte di una battaglia culturale. Il movimento mediatico, l’incontro tra organizzazioni sociali, la solidarietà di chi si è presentato al tribunale durante le udienze e soprattutto le parole in prima persona delle compagne travesti che hanno raccontato ovunque quale è la situazione che vivono quotidianamente esigendo giustizia per Diana è stato a sua volta un precedente. «Ora non sediamo più dal lato della difesa, stiamo dall’altra parte. Il processo di Diana è quello di tutte le transvesti», diceva Florencia Guimaraes[5].

Anche se questo non ci riporterà indietro Diana, queste sono istanze nelle quali comproviamo, ancora una volta, che lottare serve e rinnova la speranza. Che la costruzione che hanno messo in piedi le compagne travesti come Lohana, Diana, Marlene e molte altre che hanno tracciato un cammino da seguire e sono state davvero rivoluzionarie nella ricerca della libertà: la libertà dei corpi, la libertà di decidere. Ci hanno insegnato a «essere libere, essere disobbedienti, essere forti, essere». E soprattutto ci hanno insegnato che era estremamente necessario che si rendesse visibile la situazione di esclusione e marginalità delle compagne travesti e trans da molto tempo. Per farlo era necessario occupare le strade, lottare contro il patriarcato, contro la giustizia, contro gli uomini violenti, contro la polizia. Riempire le strade. Hanno creato statistiche proprie, propri percorsi di ricerca e hanno scritto i propri libri. Hanno seminato affinché la società si trasformi e che i nostri semi, * nostr* bambin*, i loro corpi e le loro vite possano essere un territorio di esplorazione possibile della loro identità, sessualità e del loro desiderio e che possano imparare nuovi modi di stare al mondo, di pensare, di costruirsi, di sentirsi. In questo senso, per tutte le compagne che quotidianamente sono assassinate dal patriarcato, per tutte quelle che ci sono e quelle che ci saranno, speriamo di seminare oggi un mondo fatto di Diane e di Lohane, moltiplicando le loro lotte, reinventando il loro esempio senza fermarci finché i loro sogni saranno realtà.

L’accusato è stato condannato dal Tribunale Orale della sezione Criminale N 4 della Capitale Federale per essere stato coautore del travesticidio di Diana Sacayán. Questa si considera una sentenza esemplare e storica, perché è la prima volta che si condanna un assassinio di una travesti con una condanna permanente che considera il crimine un Travesticidio nel segno di un crimine di odio e violenza di genere. Di nuovo, la lotta delle familiari, amic*, compagni* e numerose organizzazioni social e politiche ha raggiunto un risultato storico.

 

 

* Termine dispregiativo utilizzato per riferirsi ai nativi dell’America Latina

[1] Associazione dell’area urbana bonarense per la diversitá.

[2] Capo della UFEM, unità del Pubblico Ministero specializzata in violenza contro le donne

[3] Storica attivista travesti argentina

[4] Instituto Nacional contra la Discriminación, Xenofobia y el Racismo

[5] Travesti e attivista dell’area urbana bonarense

 

Articolo originale: http://www.marcha.org.ar/justicia-por-diana-sacayan-fue-travesticidio/

Traduzione a cura di Dinamo Press