ITALIA

Giornata Mondiale dell’Acqua: affinché tutto non torni come prima

In occasione della ricorrenza della Giornata Mondiale dell’Acqua, quest’anno intitolata “Acqua e cambiamenti climatici”, la riflessione del movimento per l’acqua non può che prendere spunto da alcuni elementi di fondo che ci consegna questa emergenza provando a individuare quei filoni di ragionamento e quelle iniziative, tra cui anche la stessa battaglia per l’acqua bene comune, in grado di evitare che tutto torni come prima e che vengano rimosse le cause profonde.

Siamo immersi in un’emergenza sanitaria senza precedenti con risvolti più che drammatici in particolare nel Nord Italia. Le priorità, in questo momento, non possono che essere la lotta all’espansione del contagio, la cura e la salvezza delle persone. In questa fase emergono anche molte contraddizioni e fatti inammissibili: troppe persone sono costrette a lavorare in assenza di condizioni minime di sicurezza per la salute, migliaia di detenute e detenuti vengono abbandonati a loro stessi e trattati come vittime sacrificali di un morbo che punisce i “peccatori”, i migranti e i senza fissa dimora, di fatto, vengono disconosciuti quali esseri umani degni di assistenza; infine, come non pensare agli operatori sanitari che, in prima linea nella lotta contro il virus, stanno provando sulla propria pelle gli effetti di un ridimensionamento del Sistema Sanitario Nazionale che procede imperterrito da anni, avvallato in maniera trasversale a livello politico.

In occasione della ricorrenza della Giornata Mondiale dell’Acqua, quest’anno intitolata “Acqua e cambiamenti climatici”, la riflessione del movimento per l’acqua non può che prendere spunto da alcuni elementi di fondo che ci consegna questa emergenza provando a individuare quei filoni di ragionamento e quelle iniziative, tra cui anche la stessa battaglia per l’acqua bene comune, in grado di evitare che tutto torni come prima e che vengano rimosse le cause profonde.

In primis non si può non tenere conto che questa emergenza rischia di ingenerare celermente una crisi economica i cui sviluppi, per il momento, sono difficili da intuire ma potrebbero essere molto simili se non peggiori di quelli del 2007-2008. I primi a subirne le conseguenze sono coloro (purtroppo già moltissimi) che hanno perso o perderanno il lavoro i quali, essendo in larga parte precari, risultano scoperti di qualsiasi tipo di tutela.

Inoltre, i provvedimenti adottati dal Governo, nel tentativo di contenere il diffondersi del Covid 19, rischiano di lasciare un segno indelebile. Le vite di tutte e tutti sono state stravolte in brevissimo tempo. La socialità e la convivialità sono state di fatto cancellate e questo rischia di produrre per molti conseguenze sul piano psicologico, soprattutto per coloro che non sono in condizioni economiche e abitative tali da poter affrontare con dignità questo stato di eccezione. Probabilmente si avranno degli effetti anche a medio lungo termine sullo stato della democrazia con un approfondimento della sua crisi e un rafforzamento delle politiche securitarie visto che alcune norme sperimentate in questa fase potranno essere adottate in futuro, seppur le condizioni non lo richiedessero, poiché in buona parte già metabolizzate dall’opinione pubblica. Risulta evidente anche il rischio di avere un ulteriore compressione di alcuni diritti fondamentali a partire dal diritto alla vita (inteso nel senso biologico del termine), del diritto alla salute e del diritto ad un ambiente salubre.

Non si può sottacere che, se questa emergenza avrà effetti devastanti, le responsabilità vanno individuate in quelle politiche e in quelle logiche che da decenni hanno subordinato i diritti fondamentali agli interessi economici e di profitto, oltre che ai vincoli di bilancio. Andrebbe ribadito con forza che tali diritti, compreso il diritto all’accesso all’acqua, non sono comprimibili o sacrificabili sull’altare del mercato e diviene quindi urgente ripensare i servizi pubblici in modo che siano efficaci strumenti volti a garantirli a pieno. Il rischio del collasso del sistema sanitario non è dovuto tanto alla virulenza del Covid 19 bensì ai tagli e alla compressione che ha subito negli anni per cui risulta inadeguato sia il numero degli ospedali che quello dei dipendenti. Inoltre, andrebbe ricordato come da trent’anni a questa parte le politiche intraprese hanno reso profittevoli diversi ambiti avviando così un processo di privatizzazione che a oggi ha profondamente penetrato sia il welfare diretto che indiretto trasformando i diritti in bisogni, per cui ognuno li soddisfa sulla base del proprio censo, i beni comuni in merce e gli utenti in clienti. Una trasformazione epocale accompagnata da una regressione culturale di cui molti amministratori e rappresentanti istituzionali ne sono il limpido esempio.

D’altra parte la storia insegna che le politiche adottate finora per “uscire” dalle crisi rischiano di mettere ancor più sotto attacco i diritti, i servizi che li garantiscono e più in generale i beni comuni. A dimostrazione di ciò ricordo quanto avvenuto tra la primavera e l’estate del 2009, al concretizzarsi degli effetti della crisi economica: l’allora Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia imperversò sui quotidiani e sulle televisioni chiedendo a gran voce al Governo un provvedimento che aprisse ulteriori fette di mercato ai privati, a partire dai servizi pubblici. A settembre 2009 il Consiglio dei Ministri, su proposta del Politiche Comunitarie Ministro delle Andrea Ronchi, approvò un decreto che, se attuato, avrebbe portato alla definitiva privatizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, trasporto pubblico e igiene ambientale). Tale norma, come è noto, fu abrogata grazie alla straordinaria mobilitazione che portò alla vittoria dei referendum del 2011. E allora dobbiamo evitare che la storia si ripeta.

Inoltre, la sospensione della democrazia e le limitazioni alle libertà personali imposte in queste settimane, oltre a quelle che si potrebbero verificare in caso di approfondimento della crisi, ci dovrebbero indurre a riprendere una riflessione sulla democrazia, sulla necessità di una sua espansione e sulle modalità mediante cui attuarla anche nella gestione dei beni comuni. Altrimenti questa emergenza rischia di diventare un laboratorio in cui si sperimentano pratiche di eccezionalità giuridica e dispositivi di controllo “per il bene di tutti” che potrebbero divenire in futuro strumenti capaci di agire trasformazioni irreversibili della democrazia formale. A tutto ciò si accompagna da anni la sempre maggiore segretezza e opacità delle scelte che evidenziano la privatizzazione, di fatto, della politica. Da una parte lo spazio pubblico viene trasformato in merce di scambio per interessi di gruppo familistico, lobby economica, clan, dall’altra emerge una totale subalternità alla cosiddetta teologia della governabilità ovvero, quell’idea per cui tutto avviene dall’alto e l’unico problema diviene come prendere quel potere. I diritti, così, vengono sempre più logorati anche mettendo sotto attacco la democrazia di prossimità, senza la quale ogni legame sociale diviene contratto privatistico e la solitudine competitiva l’unico orizzonte individuale. Si sta dimostrando il paradosso per cui, mediante il progressivo svuotamento dei poteri delle istituzioni democratiche, sono le stesse autorità pubbliche a promuovere la propria dissoluzione, trasformando la propria funzione da garante dei diritti e dell’interesse generale a facilitatore dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.

Dobbiamo saper cogliere questa occasione per evitare un ulteriore approfondimento della crisi democratica. Di fronte alla consapevolezza di aver raggiunto una tale condizione alcuni degli elementi centrali dell’iniziativa da mettere in campo dovrebbero essere la difesa dei beni comuni e la partecipazione.

I beni comuni possono essere, infatti, un nuovo orizzonte di senso in grado di connettere terreni e conflitti diversi, di parlare potenzialmente a tutti ben al di là dei recinti angusti della politica di palazzo. I beni comuni possono scompaginare, materialmente e simbolicamente, i logori confini della politica e ricostruire alle radici una diversa cultura collettiva. Diviene quindi fondamentale riuscire a recuperare tale cultura e costruire nuove forme di gestione partecipativa così da permettere a sua volta la creazione di legami sociali e cittadinanza che, come evidenziato dagli studi di Elinor Ostrom, sono fra le principali condizioni di un’efficace gestione collettiva dei beni stessi.

Obiettivo prioritario diviene quindi ripubblicizzare il pubblico con il fine di renderlo comune, democraticamente partecipato, trasparente. Ripubblicizzare l’acqua e i beni comuni costringe a ripensare la democrazia e ad inventare insieme pezzi di un’altra politica. Diviene, pertanto, necessario rivendicare sia la demercificazione quanto l’autogoverno e la gestione partecipativa di questi beni essenziali, materiali o immateriali e dei servizi a essi funzionalmente connessi, secondo regole e strumenti decisi dalla collettività di riferimento, ponendosi l’obiettivo di diventare parte stessa di una comunità e non individui di una società che competono nel mercato. La necessità di ridefinire la democrazia stessa in forme nuove, oltre a ripensare la sovranità e la relazione fra territori, risorse e abitanti dovrebbe essere l’orizzonte verso il quale si muovono le lotte a difesa dei beni comuni e in particolare del territorio, dell’ambiente e contro il cambiamento climatico. La politica partecipativa, in effetti, può divenire un atto generativo collettivo di valori comuni e progetti condivisi, piuttosto che la ricerca di un punto d’incontro fra egoismi individuali o un negoziato fra opzioni preconfezionate.

Riprendendo il tema su cui si concentra questa Giornata Mondiale dell’Acqua, nulla deve essere come prima perché è evidente che oggi i cambiamenti climatici rappresentano una crisi ambientale collettiva e globale e minacciano il godimento di molti diritti umani fondamentali, compreso il diritto all’accesso all’acqua. L’emergenza idrica è oramai un’evidenza conclamata, con effetti nefasti sulla disponibilità per uso umano, sull’agricoltura e più in generale sull’ambiente. È evidente come la crisi idrica globale sia dovuta principalmente alla scarsità dell’acqua potabile. Scarsità “man-made”, cioè prodotta dall’uomo, a partire dall’alterazione del ciclo idrico. Infatti, all’emergenza climatica globale si somma da oltre vent’anni un sistema di gestione votato al profitto e a logiche di mercato che non ha dimostrato alcun interesse alla conservazione quali-quantitativa dell’acqua, non riduce le perdite delle reti e aumenta costantemente il suo consumo. La sfida della preservazione quali/quantitativa del bene comune acqua va agita, quindi, in connessione intima sia alla lotta per la gestione pubblica e partecipata del ciclo idrico sia a quella per la mitigazione degli effetti del surriscaldamento globale e dei relativi cambiamenti climatici.

Diviene, quindi, irrinunciabile e urgente un cambiamento del sistema passando dalla pianificazione dell’offerta, alla pianificazione e gestione della domanda, rimettendo al centro la tutela e la conservazione dell’acqua e dei beni comuni.

Nulla deve essere come prima anche perché se l’accesso all’acqua è un diritto inalienabile allora la sua gestione non può essere che pubblica e partecipativa. Di conseguenza deve essere approvata quanto prima la legge presentata dal movimento per l’acqua che si pone l’obiettivo di promuovere una gestione pubblica, partecipativa e ambientalmente ecocompatibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca gli investimenti fuori da qualsiasi logica di profitto e i diritti dei lavoratori. In coerenza con quest’impostazione, a fronte della situazione di emergenza idrica che si è evidenziata in questi ultimi anni e che comunque ha caratteristiche strutturali, occorre mettere in campo rapidamente alcuni interventi in grado di aggredirla e dare a essa soluzioni utili. È necessaria dunque una radicale inversione di tendenza rispetto al modello di gestione privatistico, che si può realizzare unicamente con la ripubblicizzazione del servizio idrico e un nuovo sistema di finanziamento, basato sulla leva tariffaria, sulla finanza pubblica e la fiscalità generale. I dati ci dicono in maniera palese che i soldi ci sono ma che non sono utilizzati per effettuare gli investimenti e garantire così un servizio essenziale, ma per remunerare gli azionisti (pubblici e privati).

Quello che occorre è un approccio radicalmente alternativo, cioè la messa in campo di un piano straordinario di investimenti volto all’ammodernamento della rete idrica, magari come capitolo di un ben più vasto programma di rilancio degli investimenti pubblici riguardante la tutela del territorio e dell’ambiente. Non va dimenticato che la messa in campo di un piano straordinario di investimenti produrrebbe anche un incremento di diverse decine di migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla nuova crisi economica che si sta palesando.

Obiettivo comune, dunque, dovrebbe essere quello di sconfiggere nel più breve tempo possibile il Covid- 19, tornare alla socialità e convivialità, ma soprattutto impedire che tutto torni come prima. Non appena possibile dovremo essere in grado di costruire momenti di riflessione e discussione ampi e allargati per mettere in campo energie, creatività, iniziative e mobilitazioni in questa direzione. Altrimenti il virus, oltre a esserci lasciato alle spalle un numero elevato di vittime, avrà raggiunto l’obiettivo di consolidare ancor più il sistema economico dominante che individua nel mercato l’unico regolatore sociale.