ROMA

Gente senza case, case senza gente.

51,000 appartamenti invenduti ma si continuano a costruire case private, mentre i movimenti che occupano indicano le soluzioni

da Il Manifesto del 11/12/2012

“Lo sai che siamo già nonni?”. Angelo e Stefania, lui sui sessant’anni, lei qualcosa in meno. Imbacuccati per il freddo, raccontano la loro storia. Soprattutto vogliono spiegare perché si ritrovano insieme a circa settecento famiglie che giovedì scorso, mentre sfilavano cortei di studenti ed era in corso la manifestazione della Fiom, hanno simultaneamente occupato nove edifici in vari quartieri di Roma.

E’ la prima volta che in città, dove pure la battaglia per il diritto alla casa è una costante delle lotte sociali, viene organizzata un’occupazione così voluminosa di edifici pubblici e privati. Peraltro coordinata unitariamente dai diversi movimenti per il diritto all’abitare: Action, Coordinamento di lotta per la casa e Blocchi precari metropolitani.

“Siamo qui – dicono Angelo e Stefania – perché siamo stati brutalmente sfrattati da un appartamento che avevamo affittato, dopo che la banca ci aveva sbattuto fuori da casa nostra perché non riuscivamo più a pagare il mutuo”. “Noi due lavoriamo, anche se non proprio stabilmente – aggiungono – ma non ce la facciamo proprio a reggere tutte queste spese, con una figlia ancora con noi, mentre l’altra è sposata e vive fuori Roma, e adesso ci ha anche regalato una bella nipotina”.

Sorridono quando parlano di questa bambina appena nata, ma certo non sprizzano particolare entusiasmo per la condizione in cui si trovano. Loro che fino a qualche tempo fa riuscivano a cavarsela con il proprio reddito, un reddito familiare da ceto medio. Li aiutano il calore, l’animazione, l’infittirsi di relazioni con gli altri occupanti che pian piano creano affettività: quell’eccitazione politica di ritrovarsi in una dimensione combattiva, a discutere e organizzarsi, se necessario aggiustare qualche infisso, riattivare l’energia elettrica, il flusso idrico, il sistema fognario.

Non sono proprio giovanissimi, eppure in quell’atmosfera agitata, in quel via-vai che sembra inconcludente, tra mobili da scaricare, pietanze da cucinare, turni da organizzare, non si sentono né appaiono estranei. Del resto, che potevano fare se non andarselo a prendere da soli, un alloggio dove vivere. In una città che ormai da anni e anni non offre più alcuna possibilità di accedere a una casa popolare, e dove è impossibile trovare una sistemazione a prezzi accessibili.

Le ultime rilevazioni statistiche segnalano che a Roma ci sono 140.000 appartamenti vuoti e inutilizzati, metà dei quali a destinazione abitativa. Lasciati sfitti dai grandi proprietari (in prevalenza, istituti finanziari) per alimentare la domanda abitativa, che a sua volta viene strumentalmente usata per giustificare nuove edificazioni.

Ma da qualche tempo quest’artificiosa manovra immobiliare non funziona più: in città c’è un volume invenduto di 51.000 appartamenti. Dunque, in totale c’è un patrimonio abitativo che potrebbe largamente soddisfare il bisogno cittadino, un patrimonio che tuttavia né il mercato né l’intervento pubblico intendono rendere disponibile. Siamo ormai all’assurdo: un assurdo feroce, che lascia drammaticamente per strada centinaia di migliaia di persone. Gente senza casa e case senza gente, diceva il sindaco Argan negli anni settanta. A Roma è ancora così.

Le ultime case popolari, un centinaio circa, sono state consegnate dal sindaco Alemanno un paio d’anni fa. Erano le ultime di uno scarno intervento programmato dalle giunte precedenti. In prospettiva, nessuna previsione, nessun finanziamento, niente di niente. In compenso da tempo si blatera di progettazioni in co-housing, che nessuno vedrà mai perché le condizioni finanziarie previste da questo genere di edilizia sociale ridurrebbero troppo i margini di profitto, che nessuno a Roma sembra disposto ad accettare.

Difficile a questo punto immaginarsi soluzioni diverse da quelle che poi vengono scelte e praticate. A Roma le occupazioni abitative non si contano più. L’impressione è che ormai siano diventate dei veri e propri ammortizzatori sociali: senza i quali saremmo di fronte a una catastrofe umanitaria. E la domanda alloggiativa continua a crescere, sconfinando anche in segmenti sociali finora protetti: cominciano a non reggere più la pressione economica di mutui e canoni d’affitto che un mercato immobiliare avvelenato impone e pretende.