ITALIA

A Genova, lavoratori portuali nel mirino della procura

Cinque attivisti del Calp di Genoa sono indagati dalla procura del capoluogo ligure per le proteste antimilitariste degli scorsi mesi. «Si tratta di un modo per tagliare la testa a gruppi di lavoratori che rifiutano di essere complici del traffico di armi e della guerra in Yemen»

Un grave attacco alla lotta antimilitarista e antifascista si è verificato la scorsa settimana, mercoledì 24 marzo, a Genova. «Circa alle cinque del mattino, agenti della Digos si son presentati in casa di alcuni lavoratori del Collettivo autonomo lavoratori portuali (Calp), sequestrando computer, cellulari, schede telefoniche, documenti politici, hd, chiavette, insomma ogni genere di roba che potesse rimandare ad attività antimilitariste o antifasciste», racconta José Nivoi, uno dei cinque indagati, sindacalista Usb, membro del Calp.

L’operazione poliziesca si è poi spostata sulle banchine. «Qui avevamo una sede con dentro palestra, ufficio per le riunioni. Hanno sequestrato tutto l’immobile, di fatto sgomberandoci», continua Nivoi: «Siamo stati in una specie di stato di arresto per circa otto ore durante le quali non potevamo comunicare né tra noi né con l’esterno. C’era di tutto in termini di polizia: dagli artificieri alla cinofila, dalla scientifica a tutta la Digos di Genova e circa una cinquantina di poliziotti a fare il perimetro intorno a dove ci trovavamo: sembrava davvero che stessero braccando il boss mafioso più ricercato della storia».

Gli attivisti sono indagati dalla procura del capoluogo ligure per associazione a delinquere. I reati contestati vanno dalla resistenza a pubblico ufficiale all’accensione di fumogeni, dal lancio di oggetti pericolosi fino all’attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti.

 

«Con gli avvocati abbiamo incominciato a farci delle domande e abbiamo chiesto gli atti. Però la polizia ci ha passato i fogli sbagliati, perché ci ha consegnato gli atti presentati al pm affinché firmasse per le perquisizioni».

 

Lavoratori portuali e avvocati si sono trovati così di fronte ad accuse pesantissime. «Ricevuto questi atti per un errore della cancelleria, ci siamo resi conti che ci volevano attribuire l’associazione a delinquere. Ci viene applicato una sorta di teorema Calogero: negli atti c’è scritto infatti che utilizziamo il sindacato strumentalmente, in riferimento agli scioperi contro la Bahri, per come riusciamo a determinare le politiche economiche della città».

Le accuse della procura di Genova riguardano iniziative che il Calp ha sempre reso pubbliche tramite i proprio canali social e che avevano riscosso il plauso anche di Papa Francesco. «Noi abbiamo fatto uno sciopero politico chiedendo il rispetto della legge 185 e anche della costituzione italiana: ci rifiutiamo di essere complici del traffico di armi e della guerra in Yemen», prosegue Nivoi.

 

Sanaa, capitale dello Yemen. Foto da Flickr

 

I lavoratori del porto genovese, seguendo l’esempio di quanto accaduto in altre numerose città europee, si erano rifiutati, infatti, di caricare le casse contenenti materiale della romana Defence Tecnel sulla Bahri Yanbu. La protesta aveva convinto le istituzioni, in seguito a un incontro in prefettura tra autorità portuale, terminalista, sindacati dei portuali e segreteria della Camera del lavoro, a procedere con un’ispezione del carico.

«La Procura di Genova sostiene che il Calp si è reso colpevole di avere strumentalizzato la protesta con «dispositivi modificati in modo da renderli micidiali», scrivono i componenti del Collettivo in un comunicato: «I bengala e i fumogeni utilizzati dai portuali per attirare l’attenzione sulle navi dalle stive e i ponti piene di armi e esplosivi diretti a fare stragi sarebbero “micidiali”, non le armi e gli esplosivi caricati sulle navi».

 

Una volta ottenuti gli atti corretti, i reati contestati sono risultati assai meno gravi. Conferma Nivoi: «Accensione di fumogeni e imbrattamento: due reati prescrivibili con ammende». La minaccia però dell’associazione a delinquere rischia di bloccare le attività del Calp.

 

«Anche se quando si arriva in tribunale poi decade tutto, finché non si arriva in fase di procedimento le autorità giudiziarie ti mantengono in una specie di stallo e, se fai una qualche azione che può essere sanzionata per il decreto sicurezza, ti becchi domiciliari, sorveglianza speciale o addirittura la carcerazione».

Denuncia dunque Nivoi: «Si tratta di un modo per tagliare la testa a quei gruppi di lavoratori che non fanno più uno sciopero vertenziale, ma politico: era trent’anni che nel porto di Genova non si vedeva uno sciopero politico capace di bloccare un’azienda».

Con gli scioperi, che sono iniziati nel maggio 2019 e hanno attirato numerose altre associazioni, il Calp ha sempre chiesto soltanto il rispetto della legge e della costituzione: «I padroni del complesso portuale di Genova sono infastiditi dal fatto che un gruppo di lavoratori dica loro cosa è giusto che transiti da un porto civile. Per noi però il problema riguarda l’intera cittadinanza: non è possibile che in un porto civile e molto turistico attracchino queste navi», spiega Nivoi.

 

 

I blocchi del porto genovese erano proseguiti nel corso del 2020. Nonostante le navi della compagnia saudita Bahri dichiarassero di caricare solo materiali civili in Italia, i lavoratori del Calp hanno più volte incrociato le braccia, sottolineando come anche solo la presenza di armamenti ed esplosivi nella pancia dei cargo rappresentasse un rischio per i portuali e per gli abitanti della zona: non a caso, la legge impone che i carichi di armi restino a una distanza di almeno 500 metri dalle abitazioni.

«Il porto di Genova è proprio dentro la pancia della città e a neanche 300 metri da dove attracca la compagnia Bahri c’è il quartiere di Sanpierdarena (uno dei più popolosi). Noi abbiamo sempre temuto che potesse verificarsi un’esplosione come a Beirut», continua Nivoi.

 

«Tutti abbiamo visto le immagini: la detonazione è stata scatenata da materiale chimico destinato a scopi agricoli, immaginiamo cosa potrebbe succedere con una nave che al suo interno ha cinque/sei container pieni di esplosivo. Infatti noi chiediamo anche che sia redatto un piano di evacuazione a livello cittadino, in caso di emergenza perché queste navi continuano ad arrivare nel porto di Genoa».

 

Solidarietà è arrivata dal sindacato Si Cobas che, sul proprio sito web, scrive: «Tale agire è parte di un disegno politico che intende stringere attorno alle iniziative e alle lotte contro gli interessi padronali un cerchio soffocante fatto di misure repressive, limitazione delle libertà personali, attacco alle possibilità di azione e organizzazione di classe, a cominciare dallo sciopero, criminalizzazione di ogni voce e sforzo organizzativo che si proponga di rompere la cappa asfissiante dell’unione nazionalista rilanciata in grande stile dal governo Draghi».

 

Una nave della compagnia Bahri. Foto da Flickr

 

Si Cobas traccia anche un parallelo con i recenti fatti di Piacenza, mentre Calp ha pubblicato, insieme all’associazione Genova Antifascista, un video sulla propria pagina Facebook per commentare gli episodi contestati dalla procura. Infatti, sottolinea Nivoi, «nel porto di Genova c’è un forte radicamento antifascista, come in tutta la città, per quello che ha passato Genova durante la seconda guerra mondiale, durante il governo Tambroni del ’60, anche durante gli anni di piombo».

 

Le vicende di piazza legate all’antifascismo sono però sempre state scollegate dalle attività sindacali: «Quando c’è un’azione da fare contro i fascisti, noi come Calp non ci tiriamo indietro, tant’è che molti di noi hanno denunce legate a fatti di piazza, ma sono scollegate dall’inchiesta».

 

Nel video, un lavoratore portuale e un’attivista di Genova Antifascista ricordano anche che la procura di Roma «ha aperto un’indagine contro i responsabili della Rwm Italia produttrice degli ordigni e dell’Uama, l’agenzia del Ministero degli Esteri che autorizza l’esportazione di armamenti, a seguito delle morti civili procurate in Yemen e documentate da Amnesty International».

Per questo motivo invitano le istituzioni ad «acquisire dall’Agenzia Delta e dal Terminal Gmt i documenti di carico e di destinazione delle merci trasportate dalle navi Bahri verso gli Stati del Medio Oriente, compresa la Turchia che, denunciata dalla stessa procura per la nave Bana in relazione all’embargo libico, impiega in Siria contro i civili le armi sbarcate dalle Bahri a Iskenderun».

Conclude Nivoi: «Dicono che siamo dei delinquenti: secondo noi sono loro invece i delinquenti. Vendono a Isis, Turchia e Arabia Saudita però poi in tv fanno passare il messaggio che sono contro la bandiera nera e i turchi».