EUROPA

Francia, tra salto di qualità delle lotte e voto di sfiducia

In Francia la riforma delle pensioni è passata con lo stato d’eccezione, oggi si vota la mozione di sfiducia per il governo. Gli scioperi proseguono e la tensione aumenta nelle piazze, ai cortei dei sindacati si aggiungono piazze non autorizzate

C’è confusione a casa del Principe

Giovedì 16 marzo, diversi i cortei e i raduni in Francia nella giornata in cui sono previste le votazioni parlamentari sulla riforma delle pensioni. Sono quasi le tre di pomeriggio e la notizia viaggia veloce nell’esagono: Elisabeth Borne dichiara che non ci saranno votazioni. Per l’undicesima volta (l’ultima, a dicembre, per la legge di bilancio), il governo Borne ha scelto di procedere a colpi di stato d’eccezione utilizzando il comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione.

Stretto fedele della dottrina machiavellica, Emmanuel Macron sembra essersene ormai allontanato sempre più. Moltiplicatore di partitini e manovratore di scissioni nei più grandi partiti della tradizione repubblicana, il principe francese ha dimenticato un altro importante insegnamento del Segretario fiorentino: non giocare troppo con la pazienza dei governati. Questo ennesimo ricorso allo stato d’eccezione, manovrato da Macron e attuato da Borne, non ha fatto che alimentare incendi già largamente segnalati nei mesi precedenti. Le fronde interne alla maggioranza, segnalate nel nostro scorso articolo, da possibili sono diventate reali. «Eravamo su un barile pieno di polvere da sparo, e abbiamo acceso la miccia», ha riassunto un parlamentare di Renaissance (uno dei tanti partiti dell’area-Macron), intervistato da “Le Parisien” . Richard Ramos, deputato di MoDem (altro partito dell’area-Macron) ha dichiarato l’esigenza di «un governo che rimescoli le carte, con dei ministri capaci di ascoltare il popolo francese e non una banda di arroganti che spiegano ai francesi perché sono idioti».

Anche la destra francese, nelle sue diverse sfumature, si spacca all’indomani dell’ulteriore svolta autoritaria del governo Borne. Éric Ciotti, presidente dei Repubblicani, sta affrontando serie difficoltà nel gestire il suo partito e mantenere la linea governista. Nella serata del 16 marzo, ha divulgato una nota intitolata Questo 49.3 è l’esito di diversi anni di errori e di inazione in cui, pur esprimendo un duro attacco all’intransigenza macronista, richiama i suoi a rientrare nelle fila del governo. Al termine della nota, dopo una strenua difesa della riforma, Ciotti attacca la France Insoumise: «Gli eletti della France Insoumise vogliono il caos. Ho vissuto con profondo disagio la trasformazione del Parlamento in una ZAD. La nostra responsabilità è ormai di non aggiungere caos al caos. È per questo che i Repubblicani non si assoceranno e non voteranno alcuna mozione di sfiducia». Ma questo comunicato acrobatico non ha sortito gli effetti sperati. Numerosi gli appelli di deputati repubblicani a disobbedire alla linea di Ciotti e votare la mozione “trans-partitica”, come quello di Fabien Di Filippo: la sfiducia è verso «un crimine contro la democrazia senza precedenti».

La mozione di sfiducia, che sarà votata oggi, è stata depositata dal gruppo parlamentare Liberté, indépendants, outre-mer et territoires (Liot). In un’intervista rilasciata a Mediapart, il deputato centrista Charles Courson ha dichiarato che «ciò che è certo è che questo governo non potrà più governare». Courson parla di «fallimento politico» del governo Borne. Fiducioso, annuncia anche che la soglia di maggioranza è prossima, anche se difficile, grazie a un appoggio trans-partitico che include anche la Nouvelle Union populaire écologique et sociale (Nupes), oltre che diversi insoddisfatti nell’area di governo e tra i repubblicani.

Nel loro comunicato di venerdì scorso, i deputati della Nupes hanno registrato la crisi governamentale: «Il governo di Emmanuel Macron ha constatato ieri che non era minoritario solo nel paese, ma che lo è anche in Parlamento». Jean-Luc Mélenchon ha definito l’ulteriore ricorso al 49.3 «un ritorno al diritto regio di veto “sospensivo” abrogato dalla grande Rivoluzione del 1789». E ha rilanciato le mobilitazioni nei giorni seguenti: «da giovedì sera, le azioni spontanee si sono moltiplicate! Questo fine settimana, i sindacati chiamano alla battaglia ovunque e il 23 marzo prossimo: grande marea nazionale».

Difficile invece capire la posizione del Rassemblement national (Le Pen). Marine Le Pen ha rilasciato diverse dichiarazioni in cui ribadisce la volontà di non ritirare la propria mozione di sfiducia. Certo, sarà da vedere nella giornata di oggi se ci saranno fronde interne anche nel partito neofascista francese. Quel che si sta delineando, nella vasta area della destra francese, è in ogni caso una strategia tesa a tenere aperta la minaccia di una crisi di governo per mostrare i muscoli nella maggioranza di governo e per capitalizzare la sfiducia dei macronisti alle prossime presidenziali.

Un salto di qualità

Dopo due settimane di sciopero ad oltranza, indetto dall’intersindacale francese, qualcosa è successo giovedì 16 marzo. L’accumulazione di forze in movimento è stata gestita, fin qui, dai sindacati che hanno saputo tenere alto il ritmo delle mobilitazioni – uno sciopero a settimana – e dalla France Insoumise, che conta sulla sua potenza comunicativa e mediatica. Anche se spiragli di apertura verso una concertazione col governo sono stati annunciati negli ultimi giorni dalla CFDT, il fronte sindacale appare ancora unito. Sarà quindi importante vedere come evolveranno le linee strategiche e il piano di lotta dei diversi sindacati francesi. Per ora, un dato da registrare è comunque la forte pressione delle basi sindacali che, nei diversi settori economici, continuano a dimostrare intelligenza strategica e ricchezza propositiva.

La raffineria della Normandia, in sciopero dal 7 marzo, è stata interamente bloccata nella notte tra giovedì e venerdì scorso. Contestualmente, lo sciopero nel settore dei rifiuti e del riciclaggio ha prodotto forti tensioni. Nella giornata di sabato, il comune di Parigi ha stimato circa 10mila tonnellate di rifiuti non raccolti nella capitale, mentre diversi blocchi sono stati organizzati nei principali inceneritori nelle banlieues. In entrambi i casi, il governo ha proceduto alle cosiddette réquisitions, ovvero alle requisizioni di mezzi di produzione e di forza lavoro per far continuare la produzione. Si tratta di un vero e proprio atto intimidatorio che consiste nell’intimidazione, da parte dell’azienda e per mezzo della polizia, per rompere il diritto di sciopero, pena una reclusione che può arrivare fino ai sei mesi e una multa di 10mila euro per chi si sottrae al lavoro forzato.

Oltre alla forza propositiva delle basi sindacali, si registra un salto di qualità in questo ciclo di mobilitazioni a partire da giovedì scorso. Nelle principali città francesi, il livello e la distribuzione della conflittualità politica e sociale hanno debordato i limiti del ritmo e degli spazi della concertazione sindacale. Rennes è la città dove questo salto è stato più evidente, fin da giovedì pomeriggio. Barricate sulle arterie stradali intorno alla città bretone hanno formato code lunghe più di 40 chilometri, i principali centri commerciali saccheggiati e diverse stazioni ferroviarie bloccate a lungo. Così anche il giorno seguente, come in altre città.

Un posto a parte lo meritano Lione, Parigi e Marsiglia. Venerdì e sabato, Lione è stata protagonista di manifs sauvages (cortei non autorizzati), che non si vedevano dal ciclo di lotte dei gilets jaunes. Questi cortei, numerosi e molto mobili, hanno innescato una situazione ingestibile per le forze dell’ordine. A differenza delle altre città, gli scontri sono durati fino a tarda notte, culminando anche nell’incendio del municipio 4 e numerosi assalti ai commissariati di polizia. Cortei selvaggi anche a Marsiglia, dove la presenza massiccia della France Insoumise ha storicamente inquadrato le manifestazioni dandone un andamento più pacifico e disciplinato.

Ma è nella capitale che questo lungo fine settimana, iniziato giovedì, ha posto gli interrogativi più importanti. Già nella serata di giovedì, al culmine della manifestazione universitaria partita dalla Sorbona e confluita nell’appuntamento intersindacale a Place de la Concorde, divisa dal Parlamento da un solo ponte, si è manifestata la determinazione soggettiva a varcare i confini delle manifestazioni sindacali e a radicalizzare le mobilitazioni. Dopo numerose cariche della polizia per disperdere i manifestanti, numerosi sono stati i cortei selvaggi che, da Place de la Concorde, sono confluiti nel centro parigino fino a mezzanotte. Questa determinazione soggettiva, che si innesta sull’accumulazione oggettiva del ciclo di lotte cominciato a gennaio, si è ripetuta nella giornata di venerdì, quando i cortei selvaggi hanno costruito barricate «simboliche» dando fuoco ai rifiuti accumulati nei quartieri di lusso dallo sciopero dei netturbini.

Dopo un tentativo ben riuscito giovedì, anche venerdì la tangenziale parigina è stata bloccata e si parla della possibilità di organizzare meglio questo tipo di azioni per un blocco totale della distribuzione di merci nella capitale francese. Un dato di novità è stata la partecipazione massiccia di una composizione sempre più giovane, che comprende anche i liceali. Una simile composizione, che aggiunge anche un elemento generazionale a quello tecnico (forza lavoro sempre più qualificata e peggio retribuita), apre il problema di come alimentare questo ciclo di lotte a fronte di una debolezza del fronte sindacale, che invece chiama la prossima mobilitazione addirittura il prossimo giovedì 23 marzo. Nel frattempo, ad accorgersene è proprio il ministero degli interni: il prefetto di Parigi ha vietato, da sabato mattina, qualunque tipo di raduno a Place de la Concorde e sugli Champs-Elysées, mentre a Lione sono state istituite diverse zone rosse attorno a obiettivi sensibili. Frédéric Meunier, deputata dei Repubblicani, in un’intervista rilasciata domenica mattina dopo il sanzionamento della sede del presidente Éric Ciotti a Nizza, ha ammesso di avere «l’impressione che domani [oggi, ndr] ci decapiteranno».

Che forme prenderà questa mobilitazione? Sarà capace di esprimere inventività sociale e politica? Qualcosa è successo giovedì, sta continuando a muoversi e non sembra voglia fermarsi. Per ora, possiamo dire soltanto che un’altra composizione, sempre più giovane e sempre più precarizzata, a vocazione intersezionale e con un’intensa determinazione soggettiva, si sta muovendo al di là delle scadenze sindacali e partitiche.

Tutte le foto di Marco Spagnuolo