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Febbre a 90 – 9a puntata

La rubrica su calcio e dintorni di DinamoPress.

Il 2013 continua a stupire, e per la prima volta da settembre, la frase “campionato riaperto”, trova una sua ragionevolezza: Lazio e Napoli, vittoriose rispettivamente su Atalanta e Palermo, accorciano ancora dalla Juventus, che non va al di là del pareggio sul campo di Parma. Le inseguitrici ora si trovano ad una vittoria di distanza (in realtà per il Napoli i punti sarebbero 5, per effetto della penalizzazione di due punti comminata dalla Caf nel dicembre scorso), e i bianconeri, che sembrano aver esaurito l’effetto Conte, tornato sulla panchina dopo i mesi di squalifica, devono cominciare a guardare con preoccupazione negli specchietti retrovisori.

Le due vittorie consecutive, da parte di Lazio e Napoli, collocano il duo ad un discreto distacco dalle inseguitrici, il terzetto Inter, Fiorentina e Roma, squadre che invece hanno iniziato l’anno con molti problemi e pochissimi punti: solo 3 per i nerazzurri, che dopo la dura sconfitta di Udine, timbrano la vittoria contro un Pescara che forse si era illuso un po’ troppo dopo i 3 punti corsari di Firenze; addirittura 0 per viola e giallorossi, due sconfitte consecutive per entrambe, e la zona CL che si allontana sempre più.

La squadra di Zeman viaggia ancora a strappi e non riesce a trovare quella regolarità che invece sarebbe necessaria per coltivare sogni di gloria, o anche solo accarezzarli.

La Fiorentina di Montella invece, sembra pagare a caro prezzo la dipendenza in attacco da un solo singolo giocatore, Jovetic, che quando manca oppure non è in giornata, i viola semplicemente non esistono.

La terza settimana dell’anno, che inizia oggi, ci porterà per la seconda volta consecutiva la partita inaugurale della Coppa d’Africa per Nazioni, una competizione biennale che dopo il 2012, è stata anticipata di un anno per garantire la non contemporaneità con altre competizioni internazionali per nazioni che di solito si svolgono in anni pari (mondiale Fifa ed europeo Uefa).

Una manifestazione che si svolgerà in Sud Africa, dopo che la confederazione calcistica africana ha deciso di revocare l’assegnazione alla Libia, scossa di recente da una guerra civile violenta e sanguinosa.

L’episodio capitato alla nazionale togolese appena 3 anni fa, l’8 gennaio del 2010, in cui il pullman col quale i giocatori tornavano in ritiro dopo un’amichevole in Angola fu oggetto di un assalto a colpi di mitra che causò la morte di tre membri dello staff, tra cui l’allenatore in seconda, è ancora un ricordo vivido negli occhi dei dirigenti del massimo organismo calcistico africano.

Da una parte il rischio di emulazione del fatto appena ricordato (assalto rivendicato dal Fronte di Liberazione della Cabinda, attivo dal ’75 per l’indipendenza del territorio che si trova tra Rep. Dem. del Congo e Congo Brazzaville), con le tantissime bande fuori controllo sorte come funghi nel caoticissimo e ancora incomprensibile post Gheddafi libico; dall’altra il crescente pericolo caratterizzato dai fermenti ultras che stanno accendendo i paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo, Egitto su tutti (è notizia di pochi giorni fa l’ennesima spirale di incidenti in attesa delle condanne che arriveranno dai processi per i fatti di Port Said del febbraio 2012, in cui al termine di una partita negli scontri tra tifoserie rivali morirono ben 75 persone con un migliaio di feriti). Un doppio volano di violenza che ha impressionato i dirigenti della confederazione, tanto da decidere lo spostamento di questa competizione nel più pacifico sud dell’Africa, in Sudafrica, appunto.

Il calcio africano, indicato come il movimento del futuro già a partire degli anni ’90, non ha mai conosciuto il fulgido destino che tutti pronosticavano. Anzi, fu proprio nel mondiale sudafricano del 2010, che il continente conobbe la sua peggiore debacle da quando nel 1990 durante il mondiale italiano, i Leoni indomabili camerunensi cominciarono a stupire il mondo raggiungendo i quarti di finale della manifestazione e cedendo solo ai supplementari all’Inghilterra di Lineker.

Il 2010 doveva essere l’anno della consacrazione, invece tutte le squadre africane uscirono al primo turno tranne il Ghana, che venne eliminato ai quarti di finale dall’Uruguay dopo la lotteria dei calci di rigore.

Una manifestazione, quella che inizierà sabato prossimo con il match inaugurale tra Sudafrica e Capo Verde, che vede tra gli assenti le due nazioni più titolate del continente, Egitto (7 volte campione) e Camerun (4 volte campione), e che rappresenta un panorama alla disperata ricerca di rilancio ma soprattutto di fondi, in un’epoca in cui il calcio è diventato un business a perdere e in cui i grandi capitali mediorientali stanno trasferendosi verso il nord Europa.

L’assegnazione all’unico paese in grado di organizzare una manifestazione continentale e di garantire un minimo di sicurezza (che per alcuni però non è bastato, tipo Adebayor, attaccante del Tottenham e del Togo, che ha deciso di non rispondere alla convocazione della sua nazionale perché ancora sconvolto dall’assalto al pullman del 2010, in cui era presente anche lui), ci indica lo stato di salute di un movimento mai come ora sfaldato e disgregato, che è riuscito a trovare un minimo di gloria solo grazie alle gesta dei singoli in squadre europee, tipo Drogba lo scorso anno col Chelsea.

Le federazioni nazionali dopo gli exploit degli anni 90 (ricordiamo anche la vittoria della Nigeria alle olimpiadi del 1996) non si sono mai preoccupate di stabilire un iter tecnico per un serio ed efficace progetto di sviluppo, ma si sono sempre attaccate come parassiti alle squadre che esprimevano i talenti migliori, e preferendo l’uovo oggi, hanno di fatto lasciato che l’Europa impoverisse definitivamente il movimento africano.

Un destino che però ben presto potrebbe toccare anche all’Europa, se la forbice incredibile tra squadre di club ricche e quelle che vivono in autofinanziamento o in stato di emergenza finanziaria, non verrà in qualche modo arginato. Anzi, la crisi di governi sovrani, porterà il calcio ad essere sempre più una questione di club e non di nazioni, e non è un semplice caso che la squadra più vincente degli ultimi anni sia anche una di quelle col fatturato più importante degli ultimi anni nonché l’ossatura stessa della nazionale più vincente degli ultimi anni.