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OPINIONI

Engels e l’espansionismo zarista – una lezione per il presente (Parte II)

Un testo engelsiano del 1890, che critica in anticipo i miti e le gesta di Putin e non aveva goduto troppo fortuna neppure in una certa fase della storia sovietica

«Con la guerra di Crimea. Inghilterra e Francia vennero in soccorso della Turchia [ma, all’inizio, essa] è stata una colossale commedia degli errori, in cui ci si chiede costantemente: Qui trompe-t-on ici, chi è il cretino? Ma questa commedia è costata innumerevoli tesori e oltre un milione di vite umane. I primi distaccamenti alleati avevano a malapena raggiunto la Bulgaria quando gli austriaci avanzarono nelle province danubiane e i russi si ritirarono oltre il Prut. Con questo mezzo l’Austria, sul Danubio, si era insinuata tra i due belligeranti. Una continuazione della guerra da questa parte era possibile solo con il suo consenso. Ma l’Austria doveva essere coinvolta allo scopo di una guerra alla frontiera occidentale della Russia. L’Austria sapeva che la Russia non avrebbe mai perdonato la sua brutale ingratitudine ed era quindi pronta ad unirsi agli Alleati, ma solo per una vera guerra, che avrebbe dovuto restaurare la Polonia e respingere considerevolmente la frontiera occidentale della Russia. Una tale guerra doveva anche rendere impossibile la neutralità della Prussia, attraverso il cui territorio la Russia riceveva i suoi rifornimenti; una coalizione europea avrebbe imposto un blocco alla Russia per terra così come per mare, e l’avrebbe attaccata con tale superiorità di forze che la vittoria era scontata.

Ma questa non era affatto l’intenzione di Inghilterra e Francia. Entrambe, al contrario, furono felici di essere liberate dal pericolo di una guerra seria e reale dall’azione dell’Austria. Quello che la Russia desiderava, che gli Alleati andassero in Crimea rimanendo bloccati lì, fu proposto da Palmerston ed accettato con entusiasmo da Luigi Napoleone. Spingere verso l’interno della Russia dalla Crimea sarebbe stata una follia strategica. Così la guerra si trasformò felicemente in una guerra farsa, con grande soddisfazione delle parti più interessate. Ma lo zar Nicola non poteva, alla lunga, sopportare che truppe straniere si stabilissero anche solo alla frontiera del suo impero, in territorio russo. Per lui la finta guerra divenne presto una guerra seria. Ora, quello che era il terreno a lui più favorevole per un simulacro di guerra, era, per una guerra vera, il più pericoloso. La forza della Russia in difesa, l’immensa estensione del suo territorio, scarsamente popolato, impraticabile, povero di risorse, si rivolse contro la Russia non appena Nicola concentrò tutte le forze su Sebastopoli, in un solo punto della periferia. Le steppe della Russia meridionale, che avrebbero dovuto essere la tomba degli invasori, divennero la tomba degli eserciti russi, che Nicola, con la suo brutalmente stupida imperiosità, spedì uno dopo l’altro, l’ultimo in pieno inverno, in Crimea. E quando l’ultimo esercito, frettolosamente raccolto, scarsamente equipaggiato, miseramente rifornito aveva perso circa due terzi dei suoi uomini durante la marcia – interi battaglioni perirono nelle tempeste di neve – e i sopravvissuti furono troppo deboli anche solo per un serio attacco al nemico, allora Nicola, gonfio e senza testa, crollò miseramente, ed evitò le conseguenze del suo delirio cesareo avvelenandosi.

Le condizioni di pace che il suo successore si affrettò a firmare erano tutt’altro che dure. Ben più incisive, tuttavia, furono le conseguenze della guerra all’interno della Russia. Per governare in modo assoluto in patria, lo zar doveva essere più che invincibile all’estero. Doveva essere ininterrottamente vittorioso, doveva essere in grado di ricompensare l’obbedienza incondizionata con l’ebbrezza del trionfo sciovinista, conquista dopo conquista. E ora lo zarismo era miseramente crollato, anche in quella che era la sua rappresentazione esteriore più imponente. Aveva messo a nudo la debolezza della Russia al mondo, e quindi la sua stessa debolezza in Russia. Seguì un’immensa disintossicazione. Il popolo russo era stato troppo rimestato dai colossali sacrifici della guerra, la sua devozione era stata invocata fin troppo prodigalmente dallo zar, perché tornasse seduta stante al vecchio stato passivo di obbedienza irragionevole. Perché gradualmente anche la Russia si era sviluppata economicamente e intellettualmente; accanto alla nobiltà esistevano ora gli elementi emergenti di una seconda classe colta, la borghesia. Insomma, il nuovo zar doveva fare il liberale, ma questa volta in patria. Questo significò l’inizio di una storia interna della Russia, di un movimento intellettuale all’interno della stessa nazione, e del riflesso di questo movimento: un’opinione pubblica, flebile all’inizio, ma sempre più percettibile, e sempre meno disprezzabile. E con questo sorse come il nemico davanti al quale la diplomazia russa alla fine dovrà soccombere. Perché questo tipo di diplomazia è possibile solo in un paese dove, e solo fintanto che il popolo rimanga assolutamente passivo, che non abbia altra volontà che quella del proprio governo, altra missione se non quella di fornire soldati e tasse per portare a termine gli scopi dei diplomatici. Non appena la Russia sperimenti uno sviluppo interno, e con questo, lotte interne tra partiti, il raggiungimento di una forma costituzionale sotto cui queste lotte possano essere combattute senza violente convulsioni, è solo una questione di tempo. Ma allora la tradizionale politica di conquista russa appartiene al passato. L’identità immutabile degli obiettivi della diplomazia russa si perde nella lotta dei partiti per il potere. Il comando assoluto sulle forze della nazione svanisce – la Russia rimarrà difficile da attaccare e relativamente altrettanto debole in attacco, ma diventerà, sotto tutti gli altri aspetti, un paese europeo come gli altri, e la peculiare forza della sua diplomazia sarà spezzata per sempre».

Ora la posizione di Engels si biforca: all’ostilità verso la politica estera zarista si accompagna la presa d’atto del sorgere di un movimento di opposizione all’interno della Russia, che viene seguito con simpatia e di cui si analizzano le componenti di classe, che si formano rapidamente e con una forte pressione dall’alto, proprio per reagire al disastro in Crimea. 

«E così il governo iniziò a creare una classe capitalista russa. Ma una tale classe non poteva esistere senza un proletariato, una classe di lavoratori salariati, e per procurarsi gli elementi necessari a questi passi, bisognava affrontare la cosiddetta emancipazione dei contadini. Il contadino pagò la sua libertà personale con il trasferimento della parte migliore della sua proprietà fondiaria alla nobiltà. Ciò che gli fu lasciato era troppo per morire, troppo poco per vivere. Mentre l’óbščina [la comunità autonoma dei contadini russi] fu così intaccata alla radice, il nuovo sviluppo della borghesia fu forzato artificialmente come in una serra, per mezzo di concessioni ferroviarie, dazi di protezione e altri privilegi. E dunque fu iniziata una completa rivoluzione sociale nelle città e nelle campagne, che non avrebbe permesso agli spiriti di tornare a riposare di nuovo, una volta messi in moto. La nuova borghesia si riflesse in un movimento liberal-costituzionale, il proletariato appena emergente nel movimento che di solito è chiamato nichilismo».

Alessandro II, succeduto a Nicola I, riprese la politica di espansione verso sud e il Trattato di Santo Stefano del 1877, a conclusione della guerra russo-turca dei due anni precedenti, sebbene revisionato in senso restrittivo dal Congresso di Berlino del 1878, garantiva un grande successo:

«Romania, Serbia, Montenegro, si erano allargate ed erano state rese indipendenti dalla Russia, ed erano quindi in debito con lei; era stato smantellato il quadrilatero tra il Danubio ei Balcani, il più forte baluardo della Turchia; l’ultimo baluardo di Costantinopoli, i Balcani, era stato strappato alla Turchia e disarmato; la Bulgaria e la Rumelia orientale, nominalmente turche, in realtà russe, erano state rese stati vassalli; Il territorio perduto nel 1856 in Bessarabia, era stato recuperato; nuove e importanti posizioni erano state conquistate in Armenia. L’Austria, con l’occupazione della Bosnia, si rese complice della spartizione della Turchia e, inoltre, un’eterna avversaria di tutti gli sforzi serbi per l’unità e l’indipendenza. Infine, la Turchia, per la perdita di territorio, sfinimento e un’esorbitante indennità di guerra, era stata ridotta all’assoluta dipendenza dalla Russia, in una posizione in cui, come la diplomazia russa sa fin troppo bene, essa detiene solo, per il momento, i Dardanelli – e il Bosforo in custodia per la Russia. E così sembrava come se la Russia non avesse fatto altro che scegliere lei stessa il momento in cui prendere possesso del suo grande oggetto ultimo, Costantinopoli, “la clef di notre maison.” In realtà, però, le cose stavano diversamente. Se l’Alsazia-Lorena aveva gettato la Francia nelle braccia della Russia, l’avanzata su Costantinopoli e la pace di Berlino gettarono l’Austria nelle braccia di Bismarck. E con ciò l’intera situazione era cambiata di nuovo. Le grandi potenze militari del Continente si divisero in due grandi campi, minacciandosi a vicenda: di qui Russia e Francia; di là Germania e Austria. Intorno a questi due gli stati più piccoli dovevano raggrupparsi. Ma questo significa che la Russia non può più fare l’ultimo grande passo, non può davvero prendere possesso di Costantinopoli senza una guerra universale, con possibilità di successo piuttosto equilibrate, il cui esito finale dipenderà probabilmente non dalle parti belligeranti originarie, ma dall’Inghilterra. Perché una guerra dell’Austria e della Germania contro la Russia e la Francia taglierebbe l’intero Occidente dalla fornitura russa di grano. Tutti i paesi occidentali esistono solo grazie al grano importato dall’estero. Questo potrebbe dunque essere rifornito solo via mare, e la superiorità navale dell’Inghilterra le permetterebbe di tagliare questo approvvigionamento o alla Francia o alla Germania, e condannare alla fame l’uno o l’altro, a seconda della parte che l’Inghilterra potrebbe scegliere.

[…] L’importanza di dare scacco matto alla probabile resistenza dell’Inghilterra all’installazione finale della Russia sul Bosforo non è stata trascurata dai diplomatici di San Pietroburgo. Dopo la guerra di Crimea, e soprattutto dopo l’ammutinamento indiano del 1857, la conquista del Turkestan, tentata già nel 1840, divenne urgente. Nel 1865 un punto d’appoggio sul Jaxartes fu guadagnato con l’occupazione di Tashkent. Nel 1868 Samarcanda, nel 1875 Khokand fu annessa e i Khanati di Bokhara e Khiva furono portati sotto il vassallaggio russo. Quindi iniziò la faticosa avanzata su Merv dall’angolo sud-est del Caspio. Nel 1881 fu presa Geok Tepé, il primo importante avamposto avanzato nel deserto, nel 1884 Merv si arrese e ora la ferrovia transcaspica copre il divario nelle linee di comunicazione russe tra Mikhailowsk sul Caspio e Tchardjui sull’Oxus. L’attuale posizione russa in Turkestan è ancora lontana dall’offrire una base sicura e sufficiente per un attacco all’India. Ma costituisce, in ogni caso, una minaccia molto significativa di una futura invasione e una causa di costante agitazione tra gli indigeni. Mentre il raj inglese in India non aveva rivali, anche l’ammutinamento del 1857 e la sua repressione deterrente potevano essere considerati eventi che avrebbero rafforzato, a lungo termine, il dominio dell’Inghilterra. Ma con una potenza militare europea di prim’ordine che si sta stabilendo in Turkestan, costringendo o persuadendo la Persia e l’Afghanistan al vassallaggio, e avanzando lentamente ma irresistibilmente verso le catene dell’Hindukush e del Suleiman, le cose stanno molto diversamente. Il raj inglese cessa di essere un’inalterabile condanna imposta all’India. Una seconda alternativa si apre davanti agli indigeni. Ciò che la forza aveva fatto la forza potrebbe disfare. E ogni qualvolta l’Inghilterra provasse ora ad attraversare il percorso della Russia sul Mar Nero, la Russia proverà a trovare del lavoro spiacevole per l’Inghilterra in India. Ma, nonostante tutto questo, la potenza navale dell’Inghilterra è tale che essa può ancora ferire la Russia molto più di quanto la Russia possa farne a lei, in una guerra generale quale quella che ora sembra incombente. […]

E qui veniamo al vero nocciolo della questione. Lo sviluppo interno della Russia dal 1856, favorito dal governo stesso, ha fatto il suo lavoro. La rivoluzione sociale ha fatto passi da gigante; la Russia stava diventando ogni giorno sempre più occidentalizzata; le moderne manifatture, le ferrovie a vapore, la trasformazione di tutti i pagamenti in natura in pagamenti in denaro, e con ciò lo sgretolamento delle antiche fondamenta della società si sviluppano con velocità sempre più rapida. Ma dello stesso grado si evolvono anche l’incompatibilità dello zarismo dispotico con la nuova società in via di formazione. Si vanno formando partiti di opposizione – costituzionali e rivoluzionari – che il governo può dominare solo attraverso un’accresciuta brutalità. E la diplomazia russa vede con orrore il giorno che si avvicinava, in cui il popolo russo chiederà di essere ascoltato, e quando la sistemazione dei propri affari interni non avrebbe lascerà loro né il tempo né la voglia di preoccuparsi di tali puerilità come la conquista di Costantinopoli, dell’India, e della supremazia del mondo. La Rivoluzione, che nel 1848 si fermò alla frontiera polacca, ora bussa alla porta della Russia e ha, al suo interno, una quantità alleati che aspettano solo il momento giusto per aprirle quella porta.

È vero che chiunque leggeva i giornali russi potrebbe supporre che tutta la Russia plauda con entusiasmo alla politica di conquista dello zar. In essi non c’è altro che sciovinismo, panslavismo, la liberazione dei cristiani dai turchi, degli slavi dal giogo tedesco e magiaro. Ma, in primo luogo, tutti sanno a quali catene sia legata la stampa russa. In secondo luogo, il governo stesso ha promosso per anni questo sciovinismo e panslavismo in tutte le scuole. Ed in terzo luogo, questi giornali esprimono — nella misura in cui esprimono una qualche sorta di opinione indipendente – solo l’opinione della popolazione cittadina, cioè della neonata borghesia, naturalmente interessata a nuove conquiste come estensioni del mercato interno russo. Ma questa popolazione cittadina è una minoranza in via di estinzione in tutto il paese. Non appena un’Assemblea nazionale darà all’immensa maggioranza del popolo russo – la popolazione rurale – l’opportunità di farsi sentire, vedremo un altro stato di cose. Le esperienze del governo in merito agli Zemstvo (Consigli di contea) che lo costrinsero a sottrarre loro nuovamente ogni potere dimostrano che un’Assemblea nazionale russa, per dirimere solo le più pressanti difficoltà interne, avrebbe posto fine ad ogni brama di nuove conquiste».

Venendo infine al periodo contemporaneo, essendo zar Alessandro III, succeduto al padre giustiziato da militanti di Naródnaja Volja, i populisti russi in armi, nel 1881, Engels constata che

«l’odierna situazione europea è regolata da tre fatti:

  • l’annessione dell’Alsazia-Lorena alla Germania;
  • l’incombente avanzata dello zarismo russo su Costantinopoli;
  • la lotta in tutti i paesi, che cresce sempre più feroce, tra il proletariato e la borghesia, la classe operaia e la classe media, una lotta il cui termometro è l’avanzata ovunque del movimento socialista.

I due primi richiedono il raggruppamento dell’Europa, oggi, in due grandi campi. L’annessione tedesca fa della Francia l’alleato della Russia contro la Germania. La minaccia di Costantinopoli da parte dello zarismo fa dell’Austria e perfino dell’Italia alleate della Germania. Entrambi i campi si stanno preparando per una battaglia decisiva, per una guerra come il mondo non ha mai visto, in cui da 10 a 15 milioni di combattenti armati si troveranno faccia a faccia. Solo due circostanze hanno finora impedito lo scoppio di questa spaventosa guerra: in primo luogo, i miglioramenti incredibilmente rapidi delle armi da fuoco, in conseguenza di cui ogni arma di nuova invenzione è già sostituita da una nuova invenzione, prima che possa essere introdotta anche in un solo esercito. E, in secondo luogo, l’assoluta impossibilità di calcolare le probabilità, la totale incertezza su chi uscirà finalmente vincitore da questa gigantesca lotta.

Tutto questo pericolo di una guerra generale scomparirà il giorno in cui un cambiamento di cose in Russia consentirà al popolo russo di cancellare, in un colpo solo, la tradizionale politica di conquista dei suoi zar, e di rivolgere la propria attenzione ai propri interessi vitali interni, ora seriamente minacciati, invece di sognare il primato universale.

Quel giorno l’impero tedesco perderebbe immediatamente tutti i suoi alleati contro la Francia, che il pericolo della Russia ha spinto tra le sue braccia. Né l’Austria né l’Italia avranno quindi il minimo interesse a tirare le castagne dell’imperatore tedesco fuori dal fuoco di una colossale guerra europea. L’impero tedesco ricadrà in quella posizione isolata, in cui, come dice Moltke, tutti lo temono e nessuno lo ama, risultato inevitabile della sua politica. […]

In quello stesso giorno l’Austria perderà la sua unica ragion d’essere storica, l’unica giustificazione per la sua esistenza, quella di barriera contro un’avanzata russa su Costantinopoli. Quando il Bosforo non sarà più minacciato dalla Russia, l’Europa perderà ogni interesse nel mantenimento di questo variopinto miscuglio di diversi popoli. Altrettanto indifferente sarà poi la totalità della cosiddetta questione orientale, il proseguimento della supremazia turca nelle regioni slave, greche e albanesi, e la disputa sul controllo dell’ingresso nel Mar Nero, che nessuno potrà monopolizzare contro il resto d’Europa. Magiari, Rumeni, Serbi, Bulgari, Greci, Armeni e Turchi, saranno finalmente in grado di dirimere le loro reciproche divergenze senza l’interferenza di potenze straniere, di stabilire tra loro i confini di ogni territorio nazionale, ordinare i propri affari interni secondo le proprie necessità e i propri desideri. Si vedrà immediatamente che il grande ostacolo all’autonomia e al libero raggruppamento delle nazioni e dei frammenti di nazioni tra i Carpazi ed il Mar Egeo non era altro che quello stesso zarismo che usava la pretesa emancipazione di queste medesime nazioni come strumento per i suoi piani di supremazia mondiale.

[…] Sparirà in quel momento anche la scusa per gli armamenti folli che stanno trasformando l’Europa in un’enorme caserma, e che fanno sembrare la guerra stessa quasi un sollievo. Anche il Reichstag tedesco si troverebbe a quel punto obbligato a rifiutare le sempre crescenti richieste di rifornimenti bellici.

E con ciò l’Europa occidentale sarebbe in grado di occuparsi, indisturbata da diversioni e ingerenze straniere, del proprio urgente compito storico: il conflitto tra proletariato e borghesia, e la soluzione dei problemi economici ad esso correlati.

Il rovesciamento del governo dispotico dello zar in Russia aiuterebbe direttamente anche in questo processo. Il giorno in cui cadrà lo zarismo — quest’ultima roccaforte dell’intera reazione europea — quel giorno un vento del tutto diverso soffierà sull’Europa. Perché i gentiluomini di Berlino e di Vienna sanno benissimo, nonostante tutte le divergenze con lo zar su Costantinopoli, ecc., che potrebbe venire il momento in cui gli getteranno tra le fauci Costantinopoli, il Bosforo, i Dardanelli, tutto ciò che egli desidera, se solo lui li proteggerà dalla Rivoluzione. Il giorno, quindi, in cui questa medesima roccaforte, quando la Russia passerà nelle mani della Rivoluzione, l’ultimo residuo di fiducia e di sicurezza dei governi reazionari d’Europa svanirà. Essi dovranno contare sulle proprie risorse, e impareranno presto quanto poco valgono.

[…] Questi sono i punti per cui l’Europa occidentale in generale, e specialmente la sua classe operaia, sono interessate, profondamente interessate, al trionfo del Partito Rivoluzionario Russo e al rovesciamento dell’assolutismo zarista. L’Europa sta scivolando lungo un piano inclinato con crescente rapidità verso l’abisso di una guerra generale, una guerra di portata e ferocia finora inaudite. Solo una cosa può fermarla: un cambio di sistema in Russia.

Che questo debba avvenire in pochi anni non ci possono essere dubbi. Che possa accadere in tempo, prima che si verifichi l’altrimenti inevitabile».

Le varie e dettagliate previsioni engelsiane sono segnate da un’eccessiva fiducia nell’inarrestabile avanzata elettorale del riformismo tedesco e dalla sottovalutazione di alcuni aspetti dell’imperialismo, soprattutto del mai evocato teatro coloniale, ma hanno un punto di forza nell’individuazione dei tratti essenziali della politica di Alessandro III (alleanza in funzione anti-tedesca con la Francia, russificazione forzosa delle minoranze allogene nelle aree di confine, antagonismo in Asia con l’Inghilterra nel cosiddetto “Grande gioco” e nella conseguente previsione di quella che sarà la I Guerra mondiale – per cui molto conterà la promessa segreta anglo-francese di cedere Costantinopoli alla Russia, promessa smascherata dai bolscevichi durante le trattative per la pace di Brest-Litovsk[1]).

La Rivoluzione russa e la sostituzione dello Zar con un’Assemblea nazionale rappresentativa dei contadini vengono visti giustamente come l’alternativa allo scoppio di una sanguinosa conflagrazione e a buon diritto i socialisti secessionisti di Zimmerwald poterono richiamarsi a Engels, una volta che purtroppo la guerra era esplosa e il movimento socialista si era spaccato secondo le linee di frattura imperialistica.

Lenin estese il concetto, sulla base della nuova situazione, affermando che alla guerra inter-imperialistica andava sostituita la guerra civile dentro tutti gli stati imperialistici. Le cose andarono a grandi linee così, ma non in tutti i dettagli e solo in Russia il proletariato fece fuori lo Zar Nicola II, prese il potere (sciogliendo però l’Assemblea nazionale a maggioranza contadina). I bolscevichi, peraltro, nella politica delle nazionalità ripresero le indicazioni engelsiane, liberarono dal giogo imperiale Finlandia, Polonia, paesi baltici e fecero dell’Ucraina una repubblica autonoma federata nell’ambito dell’Urss (una cosa che Putin non ha perdonato a Lenin).

Analoghe soluzioni furono adottate (con difficoltà mai risolte) per il Caucaso e un faticoso nation building fu avviato nell’Asia centrale, Tali processi,  così come altre misure interne di organizzazione politica ed economica, furono molto deviati da Stalin dopo la morte di Lenin, con un ritorno alla logica imperiale zarista, ciò che spiega la freddezza di Stalin – georgiano di nascita, ma assimilato al nazionalismo grande-russo, più confacente ai suoi programmai di centralizzazione autoritaria – nei confronti della pubblicazione del testo di Engels.

Putin, esente da qualsiasi traccia di comunismo e perfino di “socialismo reale”, ha sfacciatamente ripreso i programmi militaristi ed espansionisti di Alessandro III e dei suoi predecessori, inclusi la sottostante ideologia panslavista e il misticismo ortodosso, così che a molti aspetti della sua riesumazione anti-leninista della “nuova Russia” (Novorossia) può ancora applicarsi la feroce, pur se a volte inesatta, critica di Engels.

Decisivo in particolare è il nesso fra critica della politica estera e appello al cambio del regime interno: a differenza delle manovre Nato odierne Engels si affida al movimento rivoluzionario russo antizarista e non alle congiure degli oligarchi per rovesciare Putin e sostituirlo con qualcuno più favorevole alle potenze occidentali.

Il peso globale dell’autocrazia russa, in un mondo dove i protagonisti principali sono extra-europei (Usa e Cina) è oggi molto minore dello zarismo nell’Europa del XIX secolo, purtroppo la forza e la decisione dei movimenti di opposizione interni sia alla Russia che agli altri paesi concorrenti è molto interiore ad allora. E questa continua a essere la chiave per scongiurare la terza guerra mondiale verso cui a strappi stiamo scivolando.

[1] Fondamentale per la ricostruzione del nazionalismo russo di fine secolo e nell’intervallo “costituzionale” fra le due rivoluzioni del 1995 e del 1917 il recente libro di G. Savino, Il nazionalismo russo 1900-1914. Identità, politica e società, Federico II University Press, Napoli 2022.

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