MONDO

#EleNão la resistenza è donna: un racconto dalla piazza di Rio de Janeiro

Oltre un milione di donne in piazza in Brasile contro la candidatura del misogino, razzista, omofobo e fascista Jair Bolsonaro, ex militare in testa nei sondaggi che lo danno attorno al 28 % al primo turno delle elezioni del prossimo 7 ottobre.

A resistência é mulher: una primavera femminista sta travolgendo il gigante latinoamericano, nel pieno di una imprevedibile campagna elettorale segnata dall’arresto e dall’esclusione di Lula e da un clima di violenza, odio e razzismo profondo.  In oltre 46 città di dodici diversi Stati del Brasile, si sono tenute sabato immense manifestazioni con centinaia di migliaia di donne in ogni città, con la partecipazione anche di movimenti lbgtq e di uomini, in piazza con lo slogan #EleNão #EleNunca.

Contemporaneamente, come avviene con le mobilitazioni femministe degli ultimi due anni, decine di piazze solidali si sono tenuti a livello internazionale, in America Latina, in Europa (tra cui anche in Italia), negli Stati Uniti e in altri paesi del mondo,  mostrando ancora una volta come il femminismo attraversa le frontiere, costruisce un senso comune collettivo antisessista, antirazzista e antifascista e apre spazi per un nuovo internazionalismo delle lotte nel pieno del ciclo reazionario globale.

Una versione riadattata di Bella Ciao impazza per vie del Brasile, mentre le strade si tingevano di viola, lilla e dei colori arcobaleno, in risposta alle manifestazioni con i colori della bandiera verde oro utilizzate da Bolsonaro e dai suoi seguaci, che rivendicano la tortura, la dittatura militare, la dottrina securitaria e violenta e il disprezzo per la vita di donne, neri e minoranze. (Nota della redazione).

Dalle strade di Rio de Janeiro

Rio de Janeiro,  ore 15. Mi avvio verso il cinema Odeon, Cinêlandia, da dove partirà il corteo. C’è vento e a queste latitudini vento forte vuol dire solo una cosa: è in arrivo un temporale. La manifestazione Ele nãoè stata lanciata qualche settimana fa dal gruppo facebook Mulheres Unidas contra Bolsonaro, sorto spontanemente all’inizio di settembre. Nel giro di due settimane superava il milione di membri. Il 16 settembre il gruppo aveva subito un attacco hacker, a cui il web ha risposto come l’idra a cui si è tagliata la testa: con una proliferazione incredibile di piattaforme simili, tanto nazionali quanto locali.

A una settimana dalle elezioni, Ele não si oppone alla candidatura di Jair Bolsonaro, del Partido Social Liberal, leader di estrema destra e uno dei principali concorrenti alla presidenza. Non è una protesta partitica, sebbene i partiti ci siano, e tanti, ciascuno con le proprie bandiere.  Quello che c’é in gioco in questo momento è qualcosa di più di una contesa elettorale.

Essere donna non è facile mai. Esserlo oggi, in Brasile è resistenza quotidiana.

Di questo sono ben consapevoli le migliaia di donne che hanno inondato le strade di tutte le principali città del paese di una marea colorata, irriverente, potentissima. Per chi è in piazza a Rio l’impressione è che il Carnevale sia arrivato con qualche mese di anticipo.  Come a Carnevale la gente canta, si traveste, si mostra per le strade di una città in cui festa e conflitto, rabbia e gioia sono separati da confini assurdamente labili.

 

 

#EleNão contro la violenza di Bolsonaro

Rio è così, così è il Brasile: uno dei paesi più violenti al mondo, il quinto paese più violento contro le donne, il primoche più uccide LGBT (dati ricavati dal sito Mapa da violência, FLACSO Brasil) e dove le stesse donne oggi formano l’avanguardia di un movimento che, con Bolsonaro, rifiuta il fascismo, la milittarizzazione, il sessismo, il razzismo.

Diciamo ELE NÃO perché non si può accettare un presidente che afferma di voler risolvere il problema della criminalità armando la popolazione; che sostiene che la polizia brasiliana (una delle più truculente al mondo) dovrebbe ammazzare, e farlo ancora di più; un presidente sotto processo per razzismo per aver detto pubblicamente in una conferenza che “negros e quilombolas não fazem nada e nem para procriador eles servem mais” (“neri e quilombolas – comunità resistenti originatesi dalla fuga di africani schiavizzati – non fanno niente e non servono neanche più a procreare”).

Non si può accettare un presidente che promette che se sarà eletto non darà un ettaro agli indigeni e scherza dicendo che raderà al suolo la Rocinha, la più grande favela di Rio de Janeiro in termini di estensione. . Non si può accettare un  presidente che dice che un figlio gay è uno che non le ha prese abbastanza dai suoi e che si permette di dire a una deputata che “non la stupra perché non se lo merita”.

Il no a Bolsonaro è qualcosa di più di una protesta contro un candidato di estrema destra, è una popolazione intera che grida We can ‘t breathe. È un modo di riprendersi le strade da parte di chi da quelle stesse strade è quotidianamente espulso. È uno sfilare,  a testa alta, un indugiare, un danzare su quelle strade su cui siamo abituate a tirare dritto il più veloce possibile, per paura.

 

 

Companheira me ajuda

Percebemos que quando estamos na rua,anoite, e observamos um cara se aproximar

Já começamos a acelerar

O coração,disparar

Começamos a rezar

“Que seja só um assalto,e que só levem o meu celular”

(Ci accorgiamo che quando siamo per strada, di notte e osserviamo un uomo avvicinarsi iniziamo già ad accelerare, il cuore che salta, cominciamo a pregare “Che sia solo una rapina e si prendano solo il mio cellulare”). Così recita Tawane Theodoro, poetessa slam. Così si sentono le donne nelle metropoli brasiliane e non solo.

Oggi peró non è questo il caso. Si puó camminare con calma, godendosi i paesaggi mozzafiato che questa città non manca mai di regalare, si possono mostrare i propri corpi senza che questo sia visto come un invito all’assedio.

“Companheira me ajuda, que eu não poso andar só/ eu sozinha ando bem mas com você ando melhor”

(“Compagna aiutami perchè non posso camminare da sola, io da sola cammino bene ma con te cammino meglio”), cantano le donne di Rio, come quelle del Brasile intero. E si uniscono per camminare insieme, resistendo alla realtá di un paese di gente sempre più individualizzata dai meccanismi del capitalismo e dalla constante retorica della paura (del povero, del nero, del favelado, del bandido). Tante e tanti si abbracciano ed è un un abbracciarsi che per alcuni è un festeggiare di essere vivi.

 

Deus é mulher

“Não somos todas, faltam as mortas”, dice un cartellone. Se “Deus é mulher”, come canta Elza Soares (celebre sambista che nel 2017 pubblica l’album “Deus é mulher”), anche il Brasile oggi è donna. Ed è nera, favelada, LGBT.

È Marielle Franco, il cui sorriso svetta su centinaia di bandiere.  Sono le migliaia di madri che hanno perso i loro figli in una guerra alle droghe che è un altro nome per indicare uno sterminio cosciente della gioventù nera. Il corteo di Rio lascia Cinêlandia per muoversi, cantando. Attraversa il centro della cittá, fermandosi di fronte all’assemblea legislativa dello stato di Rio de Janeiro e approda in Praça XV, lanciando la sua gioiosa sfida in faccia alla baia di Guanabara. È bello vederla così piena, viva, sicura.

Perché la sicurezza di cui qui c’è tanto bisogno non la faranno le armi ai “cittadini da bene” volute da Bolsonaro, né un intervento militare che in 8 mesi ha moltiplicato il numero di morti violente di Rio de Janeiro . La strade sicure le fanno, ovunque, le donne che le attraversano.

Foto di Midia Ninja.