ITALIA

Il Documento politico di SCI Italia per il biennio 2017/2019

L’Assemblea Nazionale di SCI Italia, che si è tenuta a Berzano di Tortona, dal 3 al 5 novembre, ha elaborato il nuovo documento politico dell’Associazione. Le linee guida qui raccolte orienteranno le nostre azioni future per il prossimo biennio 2017/2019. Di seguito, è possible consultare l’intero documento.

Introduzione

Il Servizio Civile Internazionale (SCI) è un’associazione laica che da oltre 90 anni svolge attività di volontariato e cooperazione, mantenendosi salda ai valori che l’hanno contraddistinta fin dalla nascita: nonviolenza, solidarietà internazionale e cittadinanza attiva.

Le trasformazioni del welfare in Italia ci hanno portato, in particolare negli ultimi cinque anni, ad osservare con attenzione le mutazioni del Terzo Settore(1), al fine di interrogarci sulla definizione di “associazione di volontariato”: come ci collochiamo in merito alle dinamiche locali e internazionali? Come interveniamo nelle geografie prossime o progressivamente più lontane?

Le riflessioni riportate raccolgono l’eredità del passato più recente della nostra associazione, introducendo nuovi elementi legati alle trasformazioni sociali in atto. Le conclusioni hanno invece duplice valenza: da una parte rappresentano uno sviluppo metodologico interno, dall’altra tendono alla promozione, al rafforzamento e all’estensione di reti di affinità(2), al fine di resistere alla violenta offensiva delle politiche neoliberiste al tessuto sociale e alla sua cornice ambientale, in Italia come nel resto del mondo. Una resistenza che vada oltre processi relazionali dettati dalla necessità di fare fronte comune a una crisi sistemica, con la volontà di costruire spazi lavorativi, comunitari, di cura personale e reciproca privi di gerarchie e dinamiche di potere, favorendo l’inclusione e l’ascolto fra persone, organizzazioni e movimenti.

Scaricare la crisi sul Terzo Settore

In Italia il “modello Expo 2015” ha saputo cogliere la volontà politica di ottimizzare i profitti attraverso l’abbattimento dei costi della manodopera, facendo leva sulla frustrazione giovanile dettata dalla crisi occupazionale in atto: il risultato, favorito dalla narrazione mediatica della meritrocrazia, della competizione e dell’individualismo, è stato lo sdoganamento definitivo del lavoro non retribuito(3), passaggio propedeutico a un futuro ingresso nel mondo del lavoro che può essere posticipato ciclicamente.

Gli aspetti comunicativi che accompagnano l’insediamento di queste politiche da una parte rappresentano il primato della forma sui contenuti, dall’altra, grazie alla reiterazione e all’aspetto ammiccante, hanno contribuito a rafforzare la pratica dello sfruttamento delle competenze e delle abilità. In questa maniera si presentano attività a scopo di lucro come etiche, per cui le persone sono maggiormente inclini a donare gratuitamente tempo e qualifiche, alimentando la confusione nel dibattito pubblico che sminuisce il ruolo sociale del volontariato e il valore del lavoro.

È in questa cornice che si inserisce Erasmus+, programma di finanziamento dell’Unione Europea per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport. Come tutti i programmi di finanziamento europei relativi al periodo 2014-2020, mira a rilanciare un’economia di mercato altamente competitiva in Europa, ovvero ad aumentare il livello occupazionale, in particolare dei giovani, e la produttività. Fortemente influenzato dalla strategia Europe 2020, Erasmus+ concepisce il volontariato e la cooperazione sociale per lo più in un’ottica di occupabilità, accesso al capitale e sviluppo economico(4), presentandoli al contempo come necessari ad affrontare le contemporanee sfide europee: si scaricano così sul Terzo Settore le conseguenze delle efferate politiche nazionali ed europee in materia di lavoro, formazione, ricerca, migrazione e inclusione sociale delle fasce più marginalizzate. Inoltre, a differenza dei programmi che lo hanno preceduto, pone sullo stesso piano soggetti del Terzo Settore e imprese, alimentando una competizione impari per fondi in costante diminuzione, senza riconoscere la specificità e il valore del no-profit. Sono andate così restringendosi le finestre di finanziamento della nostra associazione, costringendoci a un’opera di aggiornamento in merito alla progettazione europea, che ha già forzato tante realtà del settore ad allontanarsi dalle proprie vision e mission. Questo ha portato a un’analisi approfondita di come lo SCI si rapporti al tema della sostenibilità economica, evidenziando criticità tra cui la crescente dipendenza dai programmi di finanziamento europei e la difficoltà di presentarsi come soggetto portatore di principi e pratiche etiche a tutti i livelli del suo operato: ciò permetterebbe infatti di emergere all’interno di un Terzo Settore sempre più stereotipato e schiacciato sull’immagine, e sempre meno capace di promuovere contenuti che mettano in discussione la realtà delle cose. Tuttavia ciò ha dato allo SCI l’opportunità di addentrarsi con maggiore consapevolezza nella costruzione di piani di fundraising etico, valorizzando azioni da sempre centrali come la formazione.

La mistificazione del volontariato ha assunto infine tratti grotteschi in seguito all’approvazione del decreto Minniti-Orlando sull’immigrazione, il cui art.8 promuove l’impiego su base volontaria di richiedenti protezione internazionale in attività di utilità sociale(5). Se la legge nella sua interezza si profila come un ulteriore dispositivo lesivo dei diritti delle persone migranti, l’articolo di cui sopra è un pericoloso precedente che, inserito nel processo di trasformazione del welfare in Italia, rischia di subordinare la vita di una persona all’accettazione del lavoro non retribuito. Nello specifico, questo elemento diviene fondamentale nella fase di valutazione della richiesta di protezione internazionale, il cui ottenimento dipenderà così dall’individuazione utilitaristica di un’attività e, in seconda battuta, dalla qualità della sua realizzazione. Si può procedere così allo sfruttamento di manodopera gratuita e, se gli interessi politici lo richiedessero, a disfarsene con il procedimento di espulsione. La nostra associazione propone da anni un programma rivolto a persone a rischio di marginalità sociale, tra cui rifugiati e richiedenti asilo, che si basa sul loro coinvolgimento in attività al pari e senza distinzioni con altre volontarie e volontari provenienti da tutto il mondo. Considerando ogni persona migrante come soggetto a sé stante(6) si costruiscono percorsi individuali condivisi di formazione e partecipazione ai progetti di volontariato internazionale, volti innanzitutto ad abbattere le barriere interpersonali che le narrazione politica sta alimentando. L’obiettivo generale del programma è così quello di estendere gli spazi di inclusione sociale, nel tentativo di promuovere percorsi graduali e autonomi di protagonismo sociale.

Un immaginario stravolto

Se le scelte politiche degli ultimi anni hanno stravolto il ruolo del volontario, sempre meno protagonista attivo del cambiamento sociale, parallelamente è da registrare il grave adeguamento a questa evoluzione da larga parte del Terzo Settore, compresa la cooperazione internazionale. In un contesto sociale in cui anche il volontariato è divenuto un prodotto, le dinamiche generate sono quelle di competizione tipiche del mercato, in cui il volontario e la volontaria sono prima di tutto consumatori da attrarre. Gli aspetti comunicativi stravolgono così l’immaginario del volontariato e dei contesti d’intervento, sempre più legati a un qui ed ora che mette in secondo piano ogni riflessione politica, sociale, culturale e ambientale: si susseguono così le immagini del dolore e quelle dell’aiuto salvifico. Inoltre, quando le immagini si collocano in cornici altre rispetto a quella occidentale, si richiama immediatamente al mito del buon selvaggio di origine coloniale. Il fermo immagine restituisce pertanto un’attenzione morbosa per l’allora soggetto dello scatto, che diviene oggetto funzionale ad attirare consumatori e finanziamenti.

Così il volontariato si appiattisce sul suo immaginario stravolto, riducendolo a un’esperienza di solidarietà circoscritta nel tempo e nello spazio, slegata da finalità etiche e sociali e interpretata secondo i canoni del buonismo e del pietismo. In questa maniera si rafforza l’oggettificazione di partner e beneficiari, che subiscono un approccio verticistico e assistenzialista, mancante di percorsi mutualistici che favoriscano crescita e autonomia reciproci.

Per queste ragioni, in concomitanza con altre realtà del settore(7), negli ultimi due anni abbiamo iniziato ad analizzare la correlazione esistente tra l’immagine dello SCI all’esterno, i contenuti delle nostre azioni e gli aspetti comunicativi, con la prospettiva di contribuire al dibattito sulla decolonizzazione dell’immaginario del volontariato e della cooperazione internazionale. In ultimo, ci poniamo sempre l’obiettivo di confrontarci con i partner e beneficiari delle nostre azioni senza ergerci sopra di essi, per proporre e non imporre, per vedere e ascoltare prima di parlare. Lo facciamo ormai da quasi cento anni, perché sentiamo impellente la necessità di essere parte attiva del cambiamento insieme a loro. I nostri partner, le nostre compagne e compagni di strada, meglio di chiunque altro conoscono la cornice politica, sociale, culturale e ambientale in cui si realizza l’azione di volontariato o il progetto di cooperazione.

Contronarrazione del volontariato attraverso la formazione

Rivolgendo lo sguardo al nostro interno, abbiamo così individuato nei percorsi formativi il principale strumento per per proporre una nostra contronarrazione del volontariato. Questi percorsi, che possono assumere forme molteplici a seconda dell’obiettivo che si pongono, ritrovano nell’educazione non-formale il loro elemento comune. L’educazione non-formale ci permette di discutere del contesto sociale e politico ed è essa stessa politica, perché scardina le dinamiche frontali, quindi verticistiche, di trasmissione delle conoscenze, favorendo la partecipazione di tutte e tutti i partecipanti, lo scambio di saperi e il superamento dell’oppressiva dicotomia educatore/educando(8). Negli ultimi due anni, nell’ottica di interrogarci su alcune delle dinamiche in corso nella società europea e non solo, durante vari momenti formativi ha assunto notevole rilevanza il tema della legalità recepita come paradigma di controllo sociale. Storicamente questi processi poggiano sulla generazione di allarme sociale, sulla sicurezza percepita contro quella reale e sulla libertà individualista contro l’eguaglianza comunitaria(9). Pertanto, sospinta dalla retorica del decoro come eliminazione visiva – quindi fisica – delle varie manifestazioni della marginalizzazione, la legalità assurge a simbolo della violenza culturale dei nostri tempi, alimentando altre forme di violenza sue pari, specialmente il razzismo. In questo senso, nell’estate 2017 abbiamo promosso un progetto di “Interventi Civili di Pace al confine serbo-croato”, affiancandoci ai nostri partner serbi per il supporto alle persone migranti in transito nei Balcani, la cui libertà di movimento è ostacolata dalle politiche europee di chiusura dei confini, a cui si aggiungono le quotidiane violenze della polizia di frontiera e da gruppi più o meno apertamente neofascisti. A questo proposito, la formazione di volontarie e i volontari desiderosi di prendere parte a questo tipo di azioni solidali era volta non solo a favorire una presenza consapevole delle dinamiche locali e rispettosa del contesto ospitante, ma anche di significare un intervento che pare rientrare all’interno dell’ambito puramente umanitario e, se vogliamo, assistenziale. Tuttavia il suo carattere politico risiede in una volontà manifesta tanto semplice quanto necessaria: quella di agevolare il viaggio delle persone e garantirne la libertà di movimento. Come già avvenuto in Italia e Francia, la solidarietà diretta alle persone migranti rientra ormai nella sfera dell’illegalità, quindi con la possibilità di incorrere in misure penali. Di questo ne siamo consapevoli, per questa ragione proponiamo un approccio di “legittimità” e di quotidiano lavoro di inchiesta, sempre attraverso lo strumento del volontariato, che permetta di svelare le cause non solo del viaggio forzato ma anche del razzismo dilagante nelle cornici di transito od ospitanti. In risposta a processi legalitari calati dall’alto, che nella Storia hanno codificato schiavitù, discriminazione razziale, povertà ed esclusione, abbiamo scelto la legittimità che si fonda sulla giustizia sociale, capace di autoprodurre codici condivisi.

Identità collettive per superare i confini

Storicamente inteso come un continente dai confini “mobili”, lo spazio geografico europeo ha coinciso nei secoli con rappresentazioni politiche di tipo ideologico, come e più che in altre aree del mondo. Nelle diverse fasi storiche, i suoi confini hanno periodicamente escluso e incluso territori, perché tracciati soprattutto in relazione a quello che non si considerava essere Europa. Le negazioni sono state innumerevoli e contraddittorie, e l’hanno condotta in pochi decenni ad avere contemporaneamente un’identità e il contrario della stessa. Lingue, credenze religiose, modelli politici ed economici, senso estetico sviluppo scientifico: sono solo alcuni degli elementi che, quando forzosamente universalizzati, hanno costretto fuori dall’Europa chi non li condivideva.

Da una parte, questo processo storico porta ad affermare come l’Europa contemporanea sia il risultato di migrazioni, divisioni e intrecci di culture incorporati nei secoli, quindi, ciò che si intende per “identità europea” non è altro che una grande commistione di pluralità. Dall’altra, quando basato su una concezione escludente, questo processo ha generato conflitti drammatici, mentre oggi conduce a una chiusura identitaria che attraversa molti paesi europei, manifestandosi con l’ascesa politica di movimenti xenofobi e la conseguente stigmatizzazione dei gruppi sociali più marginali.

La cosiddetta “crisi dei rifugiati” ha riportato alla luce i nodi irrisolti di questo processo, ovvero l’incapacità di definire un’identità collettiva, in grado di superare i limiti delle identità nazionali schiacciate su quelle statali. Queste, offrendo strumentalmente un “riparo” sicuro alla “maggioranza”, rappresentano uno spaventoso mezzo di potere e controllo sociale da parte di chi, paradossalmente, trae benefici dalla globalizzazione economico-finanziaria.

Il tema della rappresentazione identitaria costituisce una sfida non solo per la società europea ma a livello globale. Lo SCI si batte da sempre per rompere il modello identitario stato-nazione, nell’ottica di costruire identità collettive aperte ed inclusive, basate su una nuova consapevolezza individuale in grado di cogliere la complessità del mondo e avere una più profonda lettura dei conflitti e delle loro cause, a tutte le latitudini. Questo processo di cambiamento culturale ispira ogni nostro pensiero e ogni nostra azione, a partire dal primo campo di volontariato internazionale nel 1920. In quel contesto, attraverso un processo di ricostruzione materiale della cittadina di Esnes, al confine tra Francia e Germania, si poneva l’obiettivo della ricostruzione del tessuto sociale distrutto dalla Prima Guerra Mondiale, riunendo volontarie e volontari provenienti da contesti che, fino a quel momento, si consideravano “nemici”. Solo contribuendo alla costruzione di un immaginario collettivo capace di fornire nuovi processi di riconoscimento è possibile costruire un mondo diverso e più giusto. In quest’ottica, negli ultimi anni abbiamo collaborato e sostenuto, a livello locale e internazionale, chi ha saputo dire no all’“interesse nazionale” quando il prezzo da pagare sarebbe stato la distruzione dei territori, il mancato rispetto della dignità umana, la minaccia alla libertà dei singoli e delle comunità, lo sfruttamento sociale ed economico, che costituiscono oggetti incompatibili con il nostro immaginario

Reti di affinità e percorsi di costruzione politica dal basso

Storicamente, la nostra associazione ha trovato nella condivisione di percorsi con altri soggetti organizzati formalmente e non, oltre che con singoli, la strada attraverso cui sviluppare la sua proposta di cambiamento. Ogni azione realizzata, dall’evento di un giorno al progetto pluriennale, è frutto di una costante ricerca di partenariati attraverso cui aprirsi e confrontarsi con esperienze altre, che, nella diversità, condividono la stessa volontà di cambiamento, di rottura di quei paradigmi che generano ingiustizia a tutti i livelli: dalla Feria Walung in Cile, impegnata nella difesa della cultura mapuche minacciata dagli interessi delle multinazionali(10), alla cooperativa sociale Pantarei, impegnata nella sperimentazione di percorsi di ortoterapia per l’empowerment di giovani con patologie psichiatriche; dagli spazi urbani liberati e restituiti alla collettività per attività culturali e sociali, alla Youth and Change Association in Kurdistan, impegnata in azioni insieme alla popolazione yazida in fuga dall’Iraq, vittima di vari “interessi nazionali”. Il comune denominatore di tutte queste esperienze è costituito dai principi ribaditi all’interno di questo documento: il rifiuto dello status quo, delle situazioni di comodo, delle rappresentazioni del mondo che ci vogliono soggetti passivi – anche nell’impegno volontario –, chiudendo così le porte al cambiamento perché “nulla può cambiare”.

Vogliamo quindi rimarcare l’importanza, a livello locale e internazionale, di percorsi di promozione, rafforzamento ed estensione di reti di affinità tra soggetti che abbiano il coraggio di immaginare una contronarrazione del presente, attraverso cui difendere e rilanciare l’idea di società basate sulla cooperazione e non sull’isolamento. Anche per lo SCI sarà imprescindibile una maggiore tensione all’apertura, propedeutica alla scoperta di realtà in cui operano potenziali partner che condividono la nostra stessa volontà di cambiamento. Questo può già avvenire a partire dalla relazione con i nostri partner storici, ponte ideale verso nuovi soggetti a loro prossimi. Specularmente, questo obiettivo è stato perseguito anche attraverso il nostro stesso impegno ad essere cerniera tra partner locali distanti geograficamente, spesso mancanti della capacità operativa necessaria a lavorare in rete su scala internazionale. In quest’ottica, il campo di volontariato internazionale assume un ulteriore significazione, poiché spazio di transito di persone, desideri(11), capacità e prospettive ad ampio raggio e lungo termine. Questa modalità di azione andrà consolidata e sviluppata, grazie anche alle opportunità offerte dai nuovi strumenti comunicativi, come avvenuto per la campagna di crowdfunding Yazidi’s voice, che ci ha permesso di supportare, tramite la presenza di un volontario di lungo termine e la consegna di materiali didattici, lo studio della lingua inglese delle bambine e dei bambini nel quartiere di Sur a Diyarbakir, nonché fornire beni primari alla popolazione yazida del campo profughi di Midyat, soggetto a coprifuoco. Possiamo infine citare la crescente sinergia fra partner ospitanti campi di volontariato in Italia, in particolare quelli aventi in comune la sperimentazione di modalità di gestione comunitaria delle risorse naturali. Queste iniziative, che auspichiamo in maniera crescente in futuro, hanno aperto spazi reali di cooperazione fra persone, organizzazioni, movimenti ed enti locali, secondo una prospettiva municipalista(12) improntata all’orizzontalità, al mutualismo, al senso di comunità e all’apertura al mondo. Crediamo pertanto a un diverso rapporto tra persone e ambiente circostante, basato su una dipendenza e una compenetrazione reciproche. In questa maniera la questione ecologica non si esaurisce nella riflessione sulle responsabilità di un modello economico senza limiti, il capitalismo, che genera disuguaglianze a varie latitudini con lo sfruttamento rapace delle risorse naturali: consideriamo quindi la terra come Oikos, casa-ambiente in cui si declina un concetto di comunità sostenibile.

 

(1) http://effimera.org/trasformazioni-del-welfare-lotta-legemonia-post-crisi-italia-parte-seconda-franco-abidah/

(2) Richard J.F. Day, Gramsci è morto. I nuovi momenti dall’egemonia all’affinità, Milano, elèuthera, 2008

(3) http://effimera.org/gratificazione-sfruttamento-dal-lavoro-gratuito-alle-nuove-forme-organizzazione-mutualismo-sergio-bologna/

(4) http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1096_it.htm

(5) http://www.altalex.com/documents/leggi/2017/02/13/immigrazione-nuove-norme-sul-contrasto-ed-istituzione-di-sezioni-specializzate

(6) http://www.umanitanova.org/2017/08/17/ogni-migrante-e-soggetto-a-se-stante/

(7) http://www.ong.it/aoi-e-link2007-aderiscono-allo-iap-continua-il-percorso-verso-una-comunicazione-piu-etica/

(8) Per maggiori riferimenti: Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA, 2002

(9) Tamar Pitch, Contro il Decoro, Roma-Bari, Laterza, 2012

(10) https://comune-info.net/2017/02/linsopportabile-resistenza-mapuche/

(11) http://www.doppiozero.com/materiali/desiderio-di-migrare

(12) http://www.commonware.org/index.php/gallery/462-la-scommessa-municipalista

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