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MONDO

Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina

La scorsa settimana, il 15 e 16 luglio a Bogotá, in Colombia, si è tenuto l’incontro interministeriale dei paesi del Gruppo dell’Aia, guidato da Colombia e Sudafrica, che ha visto la partecipazione di delegazioni di 31 paesi del mondo, ma anche di tanti movimenti sociali ed organizzazioni non governative internazionali impegnate nella denuncia del genocidio portato avanti da Israele a Gaza

La definizione di misure concrete di pressione e sanzioni contro Israele per fermare la pulizia etnica, l’apartheid e il colonialismo sono state le principali e importanti novità emerse dal vertice interministeriale della scorsa settimana in Colombia. Il Gruppo dell’Aia, composto da un’alleanza di nove paesi dal Sud globale (Sud Africa, Malesia, Namibia, Colombia, Bolivia, Cile, Senegal, Honduras e Belize), si è costituito nel gennaio del 2025 per coordinare azioni diplomatiche ed economiche contro il governo di Israele: alla convocazione di questo vertice hanno risposto tanti altri Paesi, diversi dei quali hanno annunciato l’adesione al Gruppo e la volontà di unire gli sforzi politici comuni.

A presiedere la conferenza di Bogotá sono i governi della Colombia e del Sudafrica, che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo chiave nella pressione internazionale contro Netanyahu: il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha denunciato nel dicembre 2023 Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per il genocidio di Gaza, mentre Gustavo Petro è stato il primo leader latinoamericano a rompere le relazioni diplomatiche con l’esecutivo di Tel Aviv, nel maggio del 2024. Non è un caso che questi due Paesi siano in questo momento riferimenti politici internazionali nella lotta contro le azioni di Netanyahu: la loro storia, di guerra, violenza, apartheid, genocidio e colonizzazione, e le lotte contro queste logiche e contro queste politiche che hanno profondamente segnato le vicende degli ultimi decenni dei due Paesi ci indicano oggi possibili traiettorie di trasformazione che sfidano la continuità della radice coloniale dei conflitti nei Sud del mondo.

Tra gli ospiti internazionali invitati alla conferenza di Bogotá, ha destato una significativa attenzione la presenza della relatrice ONU Francesca Albanese, di recente divenuta la prima funzionaria delle Nazioni Unite a ricevere sanzioni individuali da parte degli Stati Uniti. I giorni più intensi della persecuzione pubblica nei confronti di Albanese, accusata dal Segretario di Stato degli USA Marco Rubio di «antisemitismo sfrontato e sostegno al terrorismo», sono coincisi con un’intensificazione della solidarietà nei suoi confronti da parte di ampi settori della società civile e dei governi non allineati alle politiche di Netanyahu. Nelle strade e nelle piazze di Bogotà, così come nelle conferenze e al vertice, la piena solidarietà si è unita al sostegno pubblico e politico delle denunce che Francesca Albanese porta avanti da anni.

Nell’incontro inaugurale della conferenza di Bogotà, Albanese ha ribadito le necessità di applicare politiche di pressione nei confronti di Israele attraverso la sospensione dei legami «militari, strategici, politici, diplomatici, economici» sia da parte delle entità statali che dei rispettivi settori privati, quali «le compagnie assicurative, le banche, i fondi pensione, le università e gli altri fornitori di beni e servizi nelle catene di approvvigionamento»

Sulla stessa linea il rappresentante permanente della Palestina all’ONU Riyad Mansour, che ha segnalato come le azioni sui civili del governo di Netanyahu siano permesse da un ordine globale «capovolto, che degrada la nostra umanità comune e annulla il sistema internazionale di leggi e valori che l’umanità ha costruito negli ultimi ottant’anni».

Nel pomeriggio del 15 luglio, Albanese è stata protagonista di un incontro pubblico presso il Museo Nazionale della Colombia, insieme al parlamentare britannico Jeremy Corbyn e all’europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan. Durante l’evento, animato dai rappresentanti della comunità di migranti di origine palestinese in Colombia (se ne stimano oltre centomila), Francesca Albanese ha segnalato l’importanza di pensare la questione palestinese in chiave anticoloniale globale, enfatizzando così la rilevanza dell’attività del Gruppo dell’Aia:

«Siamo in un momento definitorio della storia: un momento che ci impone di affrontare un’eredità coloniale che, riattivata da un capitalismo sfrenato, ha devastato non solo il popolo palestinese, ma innumerevoli comunità del mondo, a partire dai popoli indigeni latinoamericani. Per questo è necessario cambiare paradigma».

Continua Albanese: «l’orrore sofferto dal popolo palestinese deve spingerci a un cambio globale più che mai necessario: serve un nuovo ordine mondiale multilaterale, guidato dalla ‘maggioranza globale’, come chiamo il Sud Globale. Da Paesi come la Colombia, che possono offrire visioni alternative dove viene messa in primo piano la dignità umana rispetto alle alleanze strategiche, la comunità rispetto alla conquista. Dove si possono introdurre valori cruciali per l’umanità nell’ordine legale internazionale: valori come quelli delle cosmovisioni indigene»

La densa agenda dei due giorni colombiani di Albanese ha incluso mobilitazioni di piazza, eventi pubblici e un incontro privato con Gustavo Petro, che ha recentemente dichiarato di stare valutando la possibilità di una «presenza militare colombiana a Gaza per frenare il genocidio». Nell’occasione, oltre ad affrontare la questione palestinese, la relatrice speciale dell’ONU ha consegnato al presidente colombiano una lettera scritta dai genitori di Mario Paciolla, cooperante italiano dell’ONU morto in Colombia il 15 luglio 2020 in circostanze mai chiarite: una richiesta di verità e giustizia che si unisce agli sforzi per difendere i processi di costruzione di pace nei diversi contesti del Sud Globale. 

Nella giornata del 16 luglio le mobilitazioni in difesa della Palestina sono iniziate di prima mattina di fronte al palazzo della Cancelleria, dove si incontravano i delegati dei governi per il vertice: centinaia di persone (e poi qualche migliaio nel pomeriggio) hanno affollato il centro storico per chiedere forti sanzioni nei confronti di Israele. Le strade del centro di Bogotà sono state occupate da bandiere, cartelli, la classica batucada che segnava il ritmo dei cori e risuonava nelle vie circostanti del quartiere della Candelaria, manifesti e volantini che denunciavano le imprese conniventi con il genocidio distribuiti ed esposti nelle strade e nei negozi, slogan che chiedevano sanzioni, fine del genocidio, libertà e autodeterminazione per la Palestina. A seguire, un concerto nella centralissima plaza de Bolívar, che si è concluso in tarda serata, con diverse band che si sono esibite raccogliendo fondi per la solidarietà con il popolo palestinese.

Nel pomeriggio si è tenuta al Senato la conferenza “Il Sud globale per la Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia” organizzata da diversi esponenti del Pacto Histórico, l’attuale partito di governo in Colombia, come la senatrice Clara López Obregón, la senatrice Gloria Flórez Schneider, la deputata Etna Tamara Argote, il deputato Alejandro Toro. Con la partecipazione dell’ex presidente colombiano Ernesto Samper, sono intervenuti anche l’ambasciatore colombiano in Palestina, Jorge Iván Ospina, che ha dichiarato: «faremo fino all’ultimo sforzo possibile per fermare il genocidio», e l’omonimo palestinese in Colombia, Raouf Almalky. Poi, come ospiti internazionali, Jeremy Corbyn dall’Inghilterra, Baltasar Garzón dalla Spagna e l’ex cancelliere dell’Ecuador Guillermo Lang, che ha dichiarato la necessità di lottare per «far applicare il diritto internazionale, non rimanere su prese di posizioni retoriche ma compiere atti pratici», denunciando inoltre minacce e pressioni da parte di Stati Uniti e dell’Unione europea contro i Paesi che hanno partecipato al vertice.

Dopo questi interventi, spazio alla partecipazione di tanti e diversi esponenti della società civile palestinese e colombiana, il BSD Movement e altre figure istituzionali, movimenti popolari solidali con la Palestina, assieme alla comunità palestinese. Invitata speciale la relatrice dell’ONU per i territori occupati in Palestina Francesca Albanese, che ha ricevuto applausi, solidarietà e una onorificenza da parte del Senato della Repubblica della Colombia per il suo impegno nella denuncia del genocidio e nella difesa dei diritti umani, in un momento in cui sta affrontando sanzioni, minacce e persecuzioni da parte degli Stati Uniti e di Israele. Visibilmente commossa, Albanese ha chiesto di rinnovare e rilanciare l’impegno di istituzioni, movimenti dal basso e organizzazioni sociali in tutto il mondo per fermare il genocidio, rivendicando l’autodeterminazione del popolo palestinese.

In un breve scambio di battute al margine della conferenza, Albanese ha confermato il suo entusiasmo per il dialogo portato avanti a Bogotá: «Ci vorrebbero più attivisti colombiani in Europa», ha dichiarato la relatrice ONU, segnalando che l’apertura di un dialogo tra le denunce contro il governo di Netanyahu e le lotte sociali colombiane è fondamentale, date le comuni storie di «decolonizzazione e dolore, tanto in guerra come in pace». 

Dal vertice del gruppo dell’Aia la decisione sulle sanzioni ha segnato un primo importante passo avanti nella lotta globale per fermare il genocidio, con l’invito a continuare la lotta e articolare pressione e mobilitazioni dal basso con prese di posizione istituzionali che estendano le sanzioni contro Israele. Albanese ha segnalato l’esito positivo del suo incontro con Gustavo Petro: «I risultati del nostro incontro si sono visti nelle sue dichiarazioni dell’indomani: sicuramente il mio rapporto non lo ha lasciato indifferente».

Dopo l’incontro con Albanese, e le discussioni con i delegati dei Paesi partecipanti al vertice interministeriale, Gustavo Petro, che aveva già interrotto lo scorso anno le relazioni diplomatiche con il governo di Netanyahu, ha confermato il blocco delle esportazioni di carbone verso Israele, annunciando inoltre anche la revoca dello status di Paese alleato della Nato (era l’unico stato dell’America Latina ad avere questo status). Inoltre, dodici tra i paesi partecipanti alla conferenza hanno annunciato il blocco immediato delle forniture militari, del passaggio di navi che forniscono combustibile, armi o tecnologie dual use verso Israele. Poco dopo, il Brasile ha annunciato che si unirà alla denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia presentata dal Sudafrica per genocidio contro Israele. 

La decisione presa dal vertice del Gruppo dell’Aia rispetto alle pressioni e alle sanzioni concrete nei confronti di Israele segna un importante inizio, che diventa un precedente e un invito ad altri Paesi del sud globale e del mondo a seguire l’esempio e a contribuire alla lotta per fermare il genocidio, il colonialismo e l’apartheid. 

Negli stessi giorni, l’Unione europea ha rifiutato di sospendere Israele come Stato associato, suscitando durissime critiche da parte di Amnesty International e di altre ONG. Durante il vertice di Bogotá, diverse voci, europee e non solo (Baltasar Garzón ha dichiarato di provare vergogna di appartenere all’Unione europea per la sua complicità con il genocidio), hanno denunciato questa gravissima, seppur purtroppo non inaspettata, decisione politica, che evidenzia la volontà di mantenere la gravissima complicità con il genocidio da parte dei leader europei. La denuncia di Amnesty International è netta e chiara: «È qualcosa di più della codardia politica. Ogni volta che l’Unione europea non agisce, aumenta il rischio di convertirsi in complice delle azioni di Israele. Questo manda un messaggio assolutamente pericoloso agli autori di questi crimini atroci: non solo resteranno impuniti, ma saranno ricompensati».

Mentre da Bogotá arrivano parole nette e coraggiose, e finalmente anche sanzioni concrete, che esplicitano una presa di posizione politica di una serie di figure istituzionali e non solo, dalla parte dell’umanità e della Palestina, non bastano alcune tardive, limitate e ipocrite dichiarazioni di facciata da parte dell’Unione europea: senza sanzioni reali, embargo e blocco delle esportazioni e forniture di armi, senza reali pressioni internazionali che possano isolare e fermare Israele, la complicità con il genocidio continuerà a essere tale. 

Il vertice si chiude con delle decisioni nette, e con la speranza che questo gesto di dignità e di coraggio che arriva dal sud del mondo possa rafforzare le lotte popolari e sociali della Palestina globale, le articolazioni tra movimenti e istituzioni, nazionali e sovranazionali, necessarie per costruire un nuovo internazionalismo dentro e contro il regime di guerra globale, cominciando dal mettere in pratica, ed estendere socialmente e politicamente, azioni concrete per fermare il genocidio.

Tutte le immagini nell’articolo sono di Alioscia Castronovo, da Bogotá (Colombia).

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