ITALIA

«Così sono stato pestato da alcuni agenti all’interno del carcere di Opera»

È finita da qualche giorno all’attenzione della procura di Milano la denuncia presentata da un detenuto italiano che ha raccontato di essere stato picchiato duramente lo scorso 21 marzo da un gruppo di agenti penitenziari all’interno del carcere milanese di Opera. Che ci sia stata una probabile ritorsione dopo le violenze e le rivolte in carcere dello scorso 9 marzo, a cui il detenuto pure aveva partecipato, è l’ipotesi avanzata dal suo avvocato Eugenio Losco

Sono le ore 14.50 del 21 marzo scorso. Fabio (il nome è di fantasia per tutelarne l’incolumità) è un detenuto di origine italiana che si trova in quel momento all’interno della camera di pernottamento n.14 della sezione A, al quarto piano del carcere milanese di Opera. Qualche ora prima intorno alle ore 13 Fabio aveva avuto un diverbio verbale con un agente della polizia penitenziaria, perché lui stesso aveva chiesto alcuni chiarimenti all’agente in questione in ordine alle nuove restrizioni imposte sulle modalità della spesa settimanale. Per tutta risposta il poliziotto penitenziario si mette i guanti, sfidando Fabio a fare a botte, non curante della presenza all’interno della sezione delle telecamere a circuito chiuso. La scena però finisce qui, con altri agenti che prontamente bloccano il loro collega e vanno via.

Sono le ore 14.50 del 21 marzo scorso quando “l’agente con i guanti” entra di nuovo nella cella di Fabio accompagnato da altri cinque colleghi, ivi compreso un ispettore capo. «Dopo aver chiuso in bagno il mio coinquilino, mi hanno bloccato e mi hanno dato ripetutamente calci e pugni, alla presenza dell’ispettore capo che non ha fatto nulla per bloccare il pestaggio», ha raccontato il detenuto in una denuncia che il 3 aprile scorso è finita all’attenzione della Procura della Repubblica di Milano. L’uomo ha raccontato che lo stesso ispettore, dopo essere uscito dalla stanza e aver minacciato i detenuti delle altre celle della sezione che protestavano chiedendo di fermare le violenze, «è rientrato nella stanza sferrandomi altri pugni al viso e al cranio».

«Sono stato visitato, dopo diverse richieste, quando gli assistenti sono andati via, dal medico della sezione che nonostante abbia riscontrato ecchimosi al sopracciglio destro, con contusioni al capo ed ematomi evidenti, non ha richiesto una tac», ha denunciato Fabio. Tutto ciò sarebbe avvenuto, dunque, in evidente violazione dell’articolo 41 della legge del 1975 che disciplina l’ordinamento penitenziario, il quale non consente «l’impiego della forza fisica nei confronti dei detenuti e degli internati se non indispensabile per prevenire o impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per vincere la resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti».

Tuttavia, ipotizza l’avvocato Eugenio Losco, legale dell’uomo: «questo episodio è in qualche modo collegabile a quello che è accaduto anche nel carcere di Opera lo scorso 9 marzo e cioè ai disordini che ci sono stati in tutta Italia». Spiega l’avvocato: «il mio cliente si trovava all’interno del reparto che ha subito i maggiori danneggiamenti, lui stesso ha partecipato ai disordini. Poi la situazione è stata in qualche modo ristabilita attraverso un intervento fortemente repressivo attuato dal Gom, il gruppo speciale antisommossa che opera all’interno delle carceri». Prosegue l’avvocato: «Dunque, vi è il dubbio che il mio cliente sia stato attenzionato dagli agenti già nei giorni precedenti al pestaggio». E per questo, per fare opportuna luce sulla vicenda, si chiede ai magistrati di Milano: «di acquisire i video delle telecamere di sorveglianza e il referto medico del 21 marzo».

Qualche giorno fa la vicenda del detenuto di Opera (che dal 3 aprile scorso è in sciopero della fame e della sete, come si legge nella denuncia dell’uomo) è finita all’attenzione anche del Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Il deputato dei Radicali Riccardo Magi, infatti, ha presentato un’interpellanza urgente al Ministro chiedendo di far luce su questa storia, ma anche – ha scritto Magi, facendo riferimento alle rivolte, poi sedate, accadute tra l’ 8 e 9 marzo –  di conoscere: «quali siano le cause della morte per ognuna delle 13 persone decedute, come accertate dalle autopsie, e nello specifico, ove dovute all’assunzione di farmaci, quali farmaci siano stati assunti e se fossero opportunamente custoditi». E, tra le altre cose, «quante morti siano avvenute nei luoghi della protesta e quante durante o a seguito delle traduzioni ad altro carcere, dettagliando luoghi, circostanze e tempistica». Perché evidentemente forte è il sospetto – soprattutto in questo momento in cui le carceri stanno esplodendo – che possano ritornare lì dentro i fantasmi di un passato fatto di violenze e impunità incontrollabili, da parte degli uomini che appartengono allo Stato