EUROPA

In Montenegro, tra nazionalismo e lotta al patriarcato. Intervista a Paula Petričević

La filosofa femminista, pacifista e attivista per i diritti umani racconta la peculiare situazione del paese montenegrino, tra rigurgiti di estrema destra, integrazione europea e battaglie delle donne

Qual è la situazione politica in Montenegro? C’è un’ascesa dell’estrema destra con la sua retorica fascista come nel resto del mondo occidentale?

Ogni Stato ha il suo incubo di estrema destra, ma la situazione in Montenegro è peculiare. L’ascesa dell’estrema destra, qui, avviene per mano dei partiti nazionalisti serbi, soprattutto di quelli nuovi come Prava Crna Gora (Il Vero Montenegro, ancora senza seggi in parlamento). Prava Crna Gora è il tipico partito nazionalista, neo-conservatore, populista, di estrema destra; ha introdotto nel dibattito temi come la restrizione del diritto all’aborto e fa lobby contro i diritti LGBT. La sinistra, invece, è quasi inesistente. I partiti più grossi che hanno la parola “socialista” nel nome sono quelli che hanno reso possibile la transizione verso lo Stato neoliberista; quindi “socialisti” lo sono solo di nome.

Cosa ne pensa della prospettiva dell’ingresso del Montenegro in Unione Europa? Ha dei dubbi?

Molti. Prima di tutto, sono profondamente preoccupata del fatto che l’UE continui a chiudere gli occhi di fronte al governo montenegrino, che ha mantenuto un’oligarchia al potere per decenni, nonostante la corruzione nota a tutti e l’erosione dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda diritti dei lavoratori, istruzione, giustizia sociale, diritto all’acqua, spazi pubblici e i beni che erano l’eredità del defunto sistema socialista. Per quanto riguarda l’Unione Europea c’è poi la questione della plateale violazione dei diritti umani basilari dei migranti e la criminalizzazione degli aiuti umanitari. Il filo spinato sta diventando il famigerato marchio di fabbrica della fortezza Europa, che divide nettamente i principi proclamati dalla loro implementazione nel quotidiano. La memoria corta e l’ipocrisia potrebbero essere la pietra tombale di un progetto un tempo ammirevole.

Per lei, il femminismo è una lotta contro tutte le forme di oppressione. Posto che è impossibile dividere le battaglie in categorie nette, quali sono le battaglie femministe che il Montenegro deve affrontare? E come si intrecciano con le altre lotte?

Le battaglie femministe in Montenegro non sono diverse dalle battaglie femministe nel resto del mondo e sono incentrate sulla lotta al patriarcato, che controlla ancora le vite delle donne e degli uomini in questo paese. Oggi ci sono due fronti principali per la lotta femminista in Montenegro: uno biopolitico e l’altro economico. Nonostante le leggi che, in linea di massima, forniscono uguali diritti a uomini e donne, potremmo prendere in considerazione due esempi: il rapporto numerico fra i sessi alla nascita e le eredità. Una pratica silenziosa e costante di aborti selettivi ha portato al risultato devastante che il numero di neonati supera il numero di neonate di un buon 10% (110 bambini ogni 100 bambine, il rapporto naturale è solitamente attorno ai 105). Il patriarcato prenatale impedisce addirittura ad alcune bambine di nascere. Questo problema è strettamente legato al secondo: l’asimmetria nelle eredità, ancora dominante in Montenegro. Le donne, infatti, spesso rinunciano al proprio diritto all’eredità in favore di fratelli o di altri parenti maschi. Entrambi gli esempi mostrano la forza di vecchi schemi tradizionali che privilegiano il maschio. Tutto questo, però, sta cambiando, seppur con una lentezza esasperante, in meglio.

Perché è importante avere un approccio intersezionale al femminismo?

Perché, nonostante il patriarcato sia uno dei sistemi di dominazione e oppressione più vecchi, forti e radicati, non è l’unico. E sono profondamente convinta che non puoi combattere un sistema oppressivo se non combatti tutti gli altri. È la logica della subordinazione e dello sfruttamento che dobbiamo sovvertire nelle relazioni inter-umane e, aggiungerei, anche in quelle ambientali.

Nel Montenegro post-socialista qual è l’eredità del movimento antifascista femminile? Che rapporto conservate con il passato?

I diritti che abbiamo oggi non sono caduti dal cielo: le nostre nonne hanno lottato per ottenerli durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche dopo la guerra, principalmente attraverso l’attività del Fronte Antifascista delle Donne di Jugoslavia. La guerra e la dissoluzione della Jugoslavia hanno portato a una ritradizionalizzazione e ripatriarchizzazione difficile da superare. Il processo di integrazione europea è ovviamente in favore dei diritti delle donne, ma spesso perde di vista il quadro più ampio che s’intreccia, ad esempio, con i diritti dei lavoratori, con il diritto a un’istruzione gratuita e di qualità.

Come scrivere delle problematiche di genere, dell’oppressione e delle disuguaglianze nei paesi balcanici senza ricorrere all’approccio paternalistico che parla di arretratezza della regione e di necessità di mettersi in pari con l’Europa?

Soprattutto dopo la guerra e la dissoluzione della Jugoslavia, l’arretratezza è diventata una sorta di marchio – non voluto, ma a volte appropriato in maniera insidiosa – della regione. Il consiglio principale per evitare questa narrazione sarebbe quello di essere consapevoli dell’“othering”[(letteralmente: rendere altro, escludere, nda] dei Balcani che va avanti da molto tempo ed essere a conoscenza della ricerca contemporanea e degli studi che problematizzano queste questioni, facendo collegamenti fra antropologia, filosofia, storiografia femminista, postcoloniale, nera, queer e studi femministi neo-marxisti.