ITALIA

Contro il silenzio su Öcalan. Presidi in tutta Italia per la liberazione del leader curdo

Una serie di mobilitazioni promosse da Uiki per chiedere la scarcerazione di Abdullah Öcalan, ingiustamente detenuto nel carcere turco di Imrali da oltre vent’anni. Anche a Roma, attiviste e attivisti hanno preso parola

Nel contesto attuale, difendere i diritti umani e il diritto internazionale significa andare “controcorrente”. È quanto si afferma dal presidio che si è tenuto due giorni fa sulla centralissima via dei Fori Imperiali a Roma per la liberazione del leader curdo Abdullah Öcalan – uno dei punti di una convocazione più ampia che ha visto mobilitarsi in contemporanea settanta città nel mondo e diverse italiane (da Milano a Palermo, fino al paese sardo di Ghilarza dove ha vissuto Antonio Gramsci). Sotto il sole di mezzogiorno, in un ottobre che è ancora prolungamento dell’estate, si sono avvicendati interventi e appelli, alla presenza di decine di persone.

«Öcalan aveva diritto all’asilo e il popolo curdo merita una rappresentanza democratica», viene detto al microfono. Ma sappiamo quanto la storia passata e la cronaca recente contraddicano questi auspici. Per scampare alla repressione dello stato turco, nel 1998 il fondatore del Pkk trovò rifugio proprio nella capitale del nostro paese, che però – dopo un primo momento in cui si rifiutò di estradarlo – finì col non concedergli l’asilo politico. Da lì la fuga e il successivo arresto a Nairobi il 15 febbraio del 1999.

Oggi Öcalan è detenuto in isolamento nel carcere dell’isola di Imrali, senza che vi sia assoluta certezza sulla sua sorte (l’ultima telefonata con il fratello è stata concessa dalle autorità turche nel 2021).

Similmente, la “questione curda” – fra Turchia, Siria, Iraq e Iran – è ben lungi dall’essere risolta, o anche solo affrontata con mezzi che non siano quelli della contrapposizione violenta. Nelle scorse settimane, Erdoğan ha lanciato una nuova serie di attacchi aerei in Rojava che hanno causato 48 morti (11 civili, 35 membri delle forze di sicurezza interne Asayish e 2 delle Syrian Democratic Forces, secondo i dati forniti dal Rojava Information Center). In Turchia, invece, la pressione anti-democratica su partiti e forze politiche filocurde continua incessante da anni: oltre cento arresti nella tornata elettorale della scorsa primavera e numerosi sindaci della zona sud-orientale che sono stati rimossi e sostituitiab imperio da funzionari governativi.

(foto di Renato Ferrantini, da archivio)

In parallelo, però, attorno alla lotta curda per l’autodeterminazione si è creato e continua a (r)esistere un movimento transnazionale, che ha saputo – anche grazie a Öcalan – ridefinire il proprio orizzonte politico e sviluppare l’idea di “confederalismo democratico”. Un modello di autorganizzazione sociale di stampo multietnico e multiconfessionale, improntato alla parità dei sessi. «Il leader curdo ci ha fornito una carta costituzionale nuova e innovativa», ha detto in proposito il presidente Arci Vito Scalisi durante il presidio. «Si tratta di una visione antitetica al capitalismo, e alla norma patriarcale che gli sta dietro. In un momento in cui i limiti dello sviluppo capitalistico sono evidenti, diventa ancora più importante ispirarsi al pensiero di Öcalan».

Non è un auspicio astratto. L’avvocato di Öcalan in Italia Arturo Salerni, nel corso del presidio, formula delle richieste ben specifiche indirizzate all’autorità del nostro paese: «I due rami del parlamento si devono esprimere in sede nazionale ed europea affinché vengano riconosciuti i diritti fondamentali del leader curdo. Non si può continuare col silenzio». Non si può – prosegue Salerni – sulla scorta dell’articolo 10 della Costituzione che appunto riconosce il diritto d’asilo per persone straniere alle quali nel loro paese sia impedito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, articolo che l’Italia ha di fatto disapplicato nel momento in cui ha negato la protezione a Öcalan ventiquattro anni fa.

È per questo che non solo l’Italia ma soprattutto Roma hanno un “debito di dignità” nei suoi confronti, sottolinea il presidente dell’VIII municipio Amedeo Ciaccheri.

«Öcalan è un uomo di pace, ed è nostro dovere onorarne la memoria. Si tratta di una figura che sarebbe fondamentale per tutto il contesto mediorientale, e lo stiamo vedendo proprio in questi giorni (con riferimento all’intensificarsi del conflitto in Palestina, ndr)». Gli fa eco il segretario nazionale dell’Anpi Fabrizio De Sanctis: «Quella che subisce il popolo curdo è una dittatura. Affinché si avvii un processo di pace, è fondamentale che Öcalan torni in libertà».

Il senso di tutti gli interventi – oltre a quelli già citati, si è vista anche la presenza di Tino Magni (senatore), Giovanni Russo Spena (comitato Il tempo è arrivato-Libertà per Öcalan), Antonio Amoroso (confederazione unitaria di base), Vincenzo Miliucci (Cobas), Marino Bisso (giornalista, rete NoBavaglio) con Michela Arricale (Centro di ricerca ed Elaborazione per la Democrazia) a condurre – è dunque chiaro: senza la scarcerazione di Abdullah Öcalan non può esserci autodeterminazione per il popolo curdo in primis, ma anche per tutti coloro che si sentono parte di una lotta internazionale per la giustizia sociale.

(Immagine di copertina da archivio)