EUROPA

I confini che uccidono. Migranti trovati senza vita in un container

Morti tra i confini d’Europa e l’America Latina . Scoperti i corpi di sette ragazzi in un container trasportato in Paraguay. I ragazzi, sei provenienti dal Marocco e uno dall’Egitto, si erano nascosti verso luglio nel container fermo in Serbia, con la speranza di arrivare a Milano

Lo chiamano “the game”, il gioco, in italiano, ed è il tentativo di attraversare le frontiere europee da parte di chi arriva ai bordi esterni. Molte persone lo praticano, nei modi più disparati. Buona parte delle volte, in quei territori, consiste nell’affrontare foreste, fiumi impetuosi e freddo per passare inosservati il confine e poter raggiungere l’Europa, luogo per loro emblema di opportunità, di libertà.

Oppure si può provare nascondendosi sotto dei camion, o dentro di essi, e sperare che vadano nella giusta direzione, che ti possano avvicinare alla tua meta. Questi metodi pericolosi sono usati sempre più spesso dalle persone ai margini dei confini europei per via di una crescente militarizzazione alla frontiera che ha reso ancor più difficile l’attraversamento senza essere visti.

 

Negli ultimi tre anni è stato registrato un aumento della violenza della polizia di frontiera contro chi tenta di attraversare.

 

Allarmante è anche il numero di organizzazioni paramilitari che pattugliano il confine, bramosi di trovare qualcuno su cui riversare il loro odio. Il rischio maggiore, se si viene presi, è quello di essere picchiati, torturati e poi rimandati indietro.

Nel furgone che usano per la deportazione possono azionare aria calda d’estate, aria fredda d’inverno e viaggiare ad alta velocità senza che dietro ci siano appigli a cui reggersi. Infine, si viene sbattuti fuori nel posto in cui è iniziato il cammino.Per evitare tali conseguenze, si ricorre ai metodi più estremi. Ti nascondi negli anfratti più stretti, trovi un modo di aggirare un sistema che tenta di respingerti. Ma in questo modo si incorre in pericoli maggiori.

 

Come questi sette ragazzi che hanno tentato di eludere i controlli nel buio di un container, stretti tra la merce e le lamiere, spediti in un viaggio che, a loro insaputa, dura mesi.

 

È così che nel tentativo di arrivare a Milano, sono stati trasportati verso l’Oceano Atlantico, per poi attraccare nei porti argentini. Da lì in carico è stato trasportato ad Asunción, la capitale del Paraguay, dove sono stati ritrovati. Avevano iniziato il loro viaggio a luglio vicino Sid, da una fabbrica di mattoni in disuso nella campagna nebbiosa tra Serbia e Croazia.

Loro sono solo gli ultimi di una lunga lista di persone che non ce l’hanno fatta a superare il confine europeo. Non esistono stime accurate delle persone morte al confine orientale. Le caratteristiche della zona, con le sue bufere di neve e i guadi invalicabili, fanno le veci dell’Europa nel nascondere e spazzare via le prove delle vite che hanno tentato.

 

Ciò che rimane sono i report di varie Ong, o le testimonianze dirette di chi ha visto scomparire i propri amici lungo la via.

 

Ormai si è arrivati al punto in cui l’Europa sta esportando i morti nel vano tentativo di lavarsi la coscienza da ciò che è successo e che succede continuamente ai suoi bordi. La violenza è elevata a sistema transnazionale, nel quale il prodotto più crudo delle politiche migratorie viene portato per mari e oceani, fino a far sentire gli echi di persone dall’altra parte del mondo che chiedono solo di poter passare.

Questo episodio è un cupo ammonimento sulle rinunce che una persona deve fare per essere conforme agli standard europei: o il compromesso di essere immessa in una catena di produzione che la sfrutterà, o ridotta a merce e privata della vita stessa.

 

Immagine di copertina di Sara Prestianni da Flickr