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Colombia verso il voto, a rischio gli accordi di pace

Manca poco più di un mese alla prima tornata delle elezioni presidenziali in Colombia. Nel paese che un anno e mezzo fa ha concluso un faticosissimo processo di pace tra la guerriglia delle FARC e il governo, la situazione è tutt’altro che pacificata.

Sono stati mesi molto difficili in cui gli accordi sono rimasti a lungo appesi ad un filo. In questi mesi è aleggiato spesso lo spettro di quanto vissuto nella seconda metà degli anni 80, quando il movimento della Unión Patriótica, nato dagli accordi di pace con l’obiettivo del reinserimento nella vita politica civile dei guerriglieri di due gruppi armati che avevano trovato un accordo di pace con il governo, ha visto tutti i suoi esponenti assassinati nelle città e nelle campagne dove il movimento era radicato. Alcune stime parlano di 5000 morti tra gli attivisti di Unión Patriótica, un vero e proprio massacro che ha colpito chi in quegli anni ha scelto di lasciare le armi per proseguire sulla via pacifica per una trasformazione politica in Colombia.

La maggiore violenza tuttavia in questi mesi non è stata vissuta dagli ex guerriglieri, che hanno iniziato un difficile e faticoso processo di reinserimento nella vita civile e politica, quanto dagli attivisti dei movimenti rurali di difesa della terra, che hanno visto accrescere in modo preoccupante la violenza paramilitare, come era ampiamente prevedibile, a seguito del ritiro della guerriglia dalle zone rurali.

Inoltre la crescita esponenziale dello sfruttamento delle risorse naturali nelle aree pacificate e in generale nel paese da parte di imprese multinazionali, ha contribuito all’aggravarsi della violenza che colpisce quotidianamente leader indigeni e contadini, come aveva raccontato in maniera dettagliata lo scorso novembre una attivista colombiana a Dinamopress.  Si conta che dal novembre 2016 ad oggi sono stati assassinati in Colombia più di 250 attivisti, di cui il 14% donne.

A seguito di una recente visita nel paese, una serie di organizzazioni internazionali di tutela di diritti umani hanno denunciato una situazione estremamente preoccupante in varie regioni del paese, quali Meta, Cauca e Caqueta e Huila. In particolar modo è stato denunciata la mancanza di restituzione di terre che erano state sottratte alle comunità durante il conflitto, la crescita dei progetti dell’agroindustria che sottrae risorse alla popolazione contadina, e devasta l’ambiente, incluso il caso di una industria italiana produttrice di olio di palma, e infine è stata ribadita la mancanza di sicurezza per le comunità rurali che vivono sotto forte pressione paramilitare, con continue minacce e attacchi nei confronti di attivisti e leader sociali.

A marzo 2018 si sono svolte le elezioni parlamentari che hanno visto una netta crescita dei partiti di destra dovuta a vari fattori, tra i quali l’assenza di una proposta politica organicadella sinistra che si è presentata in forma estremamente frammentata.

Lo scenario politico per queste presidenziali è invece ancora oggi incerto. E’ favorito nei sondaggi Ivan Duque candidato del partito di estrema destra “Centro Democratico”, in cui l’ex presidente Alvaro Uribe Velez, sotto accusa per le stragi e la violenza dei paramilitari, continua ad ancora a dirigere le scelte strategiche. Una vittoria di Duque significherebbe un serio pericolo per chi per ha faticosamente tessuto l’accordo di pace, in quanto si tratta dell’unico candidato che lo mette radicalmente e strutturalmente in discussione. Paradossalmente, sia secondo i sondaggi che secondo gli analisti, al momento l’unico candidato capace di rappresentare una seria alternativa a Duque è quello schierato maggiormente a sinistra: Gustavo Petro.

Gustavo Petro è stato guerrigliero con l’M19 e nei primi anni novanta si è progressivamente incorporato alla vita politica, fino a diventare sindaco di Bogotà tra il 2012 e il 2015.

Durante il suo mandato ha messo in campo una serie di politiche sociali innovative, aprendo scontri significativi con la destra e con parte dei poteri economici oligarchici della capitale colombiana, seppur non sono mancate anche le critiche da sinistra al suo operato. A causa di dissidi all’interno del suo partito non è stato poi ricandidato, e così il Polo Democratico ha perso la capitale, passata alla destra. Sempre per dissidi interni non è stato scelto come candidato alle presidenziali, a lui è stato preferito il candidato più moderato Sergio Fajardo, presentato in coalizione con il partito verde.

Petro però si è candidato allora come indipendente, grazie ad una notevole capacità di raccolta firme del suo movimento, Colombia Humana, e ora si presta a partecipare all’ultimo mese di campagna consapevole di poter sperare nel ballottaggio.

Petro gode di una popolarità notevole, per il carisma, la capacità di parlare di problemi concreti delle persone, la personalità eccentrica e poliedrica. La sua candidatura fa paura, e non a caso è stato oggetto di un attentato intimidatorio che però non ne ha scalfito la determinazione e il favore dei sondaggi. La destra lo fa oggetto di critiche costanti, accusandolo di essere “castrochavista” e preannunciando “scenari venezuelani” nel caso di una sua vittoria.

In Colombia la percentuale dei votanti è tendenzialmente bassa, inferiore al 50% per varie ragioni, tra le quali le difficoltà concrete ad accedere al voto per la popolazione delle zone rurali, storicamente isolate dai centri cittadini. Quest’ultima tuttavia, è stata da sempre la più colpita dal conflitto e dalla violenza di anni di controinsurrezione e paramilitarismo.

Proprio quella parte dei colombiani ha votato chiaramente a favore della pace nel referendum del 2016, perso per pochi voti da chi voleva l’implementazione della prima versione degli accordi. Per loro è forte il timore di un ritorno al potere del partito di Uribe spudoratamente legato ad interessi di multinazionali straniere e a gruppi paramilitari, e sperano che l’ex sindaco di Bogotà possa continuare la sua crescita nei consensi in vista del 27 maggio.