MONDO

Cile, la lunga notte dei 40 anni

Un racconto tra passato e presente, con gli occhi su Santiago e il cuore nelle rivolte latinoamericane

Scrivo questa cronaca da lontano osservando il mio paese tremendamente commosso e in stato d’allarme. Il conflitto sociale mi ha colto all’Havana, Cuba, in un’intensa e complessa situazione di dissidenza sessuale e attivistica tra compagne cubane, dal Cile, Messico e Colombia, che resistono all’egemonia maschile patriarcale e disobbediscono agli occhi dei machos, ovunque siano e qualunque sia il loro colore politico. Il blocco contro Cuba, ora guidato da Donald Trump, e la paura dei “nuovi patrioti macisti” cubani e anacronistici, le cui libertà di espressione restringono e limitano le comunicazioni della bellissima e mitica isola con il mondo, hanno reso ancora più complesso mettermi in comunicazione con la mia gente.

Ora sono in una confusa Barcellona, ​​mentre si sentono gli elicotteri che inseguono le manifestazioni di una città contesa che ricorda al regno conservatore della Spagna che la Catalogna esiste. Mentre scrivo, leggo contro-informazioni sulla forza del popolo di Haiti, per fermare le repressioni che un mese fa hanno sostenuto il diritto al dissenso contro l’aumento dei carburanti e il diritto di fornire soluzioni al paese più povero d’America. Diamo un’occhiata ad Haiti. Lo stesso paese che si liberò dalle catene della schiavitù nera nel 1794 e si consolidò come Repubblica Nera nel 1804, aprendo la strada all’indipendenza delle popolazioni latinoamericane e caraibiche. Ti dobbiamo molto Haiti. Molto.

Voglio credere che questa lunga litania dei paesi a cui hanno portato via i sogni popolari con la forza del colonialismo europeo, dell’imperialismo yankee e delle milizie patriarcali, oggi sorge con più forza che mai nella nostra America. In Cile, una forza collettiva, transgenerazionale, unita, senza paura, da Arica alla Terra del Fuoco, si è sollevata a dire BASTA. Il mio paese è conosciuto per protestare nelle strade contro ciò con cui non concorda. Ma questa volta, lo scavalco disobbediente di alcuni studenti organizzati che non volevano più pagare ai milionari la loro nuova “tassa” per il trasporto è stato sufficiente per aprire un nuovo percorso. Dopo 46 anni di abusi politici, economici, culturale, sociali nonostante il popolo non abbia mai smesso di protestare. 46 anni di omicidi e morti. 46 anni che non dimenticheremo mai.

«È un eternità che manifestiamo», mi ha detto qualche anno fa una compagna travesti, orgogliosa dei suoi vecchi e logori tacchi, che si rompevano per il tanto camminare, mentre urlavamo e marciavamo per un’istruzione decente, libera e di qualità. Sumar, è il titolo dell’ultimo lavoro della scrittrice femminista Diamela Eltit, che ha come protagonista Aurora Rojas, mentre marciava con i venditori ambulanti per 370 giorni andando a conquistare la Moneda: «Conquisteremo la Moneda perché dobbiamo piegare il tempo per prepararci a vivere».

Lo scorso maggio 2018, le strade del paese erano paralizzate dal più grande movimento sociale femminista che la nostra storia avesse mai visto; i maschi tremavano per una rivoluzione che non si sarebbero mai aspettati. Ed è che le paure si sono accumulate e tra le forze collettive, siamo riusciti a vincerle. Ma i paradigmi culturali patriarcali che hanno inquinato il senso comune rendendo “l’immorale politico” normale, lo hanno naturalizzato nell’ l’inconscio del paese grazie a un accordo programmato e consensuale con il mercato privato, sono ancora attivi e vigenti.

Il colpo di stato dell’11 settembre 1973 pose fine al sogno socialista, democratico e popolare del dottor Salvador Allende. L’iconico “Programma popolare” è stato calpestato dagli stivali militari sponsorizzati dal governo americano Richard Nixon e dal sostegno di uomini d’affari cileni le cui ambizioni ingrassano ancora i loro privilegi milionari. La “giunta militare”, guidata dal dittatore militare Augusto Pinochet, incaricò il cosiddetto “Consiglio di Stato” di escogitare una nuova Costituzione approvata in una delle dittature più sanguinose in America Latina, dopo un plebiscito fraudolento “celebrato” ironicamente l’11 settembre, 1980, che non aveva precedenti elettorali o possibilità di opposizione (se eri contrario, eri perseguitato e, nel peggiore dei casi, ucciso). Sotto il controllo de «La Junta», il Cile divenne quindi un territorio perfetto per far sperimentare agli Stati Uniti, l’inizio del neoliberismo.

I Chicago Boys iniziarono la loro storia e non furono fermati nemmeno dal fallimento economico del 1982. Sotto indicazione di Milton Friedman, Jaime Guzmán – “eroe” dell’economia liberale cilena e fondatore dell’UDI – ha guidato con l’approvazione di Pinochet, un processo ideologico che continua a devastare la sovranità del Cile fino a oggi, grazie al suo radicamento nei mandati della Costituzione del 1980. Fin dalla sua promulgazione ad oggi, la “magna Carta” del neoliberismo è stata riformata quasi trenta volte in una serie di contraddizioni politiche dei governi progressisti e liberali di turno dopo il ritorno alla democrazia, anche se in concreto le sue basi non sono state minimamente toccata. Il testamento della dittatura è stato blindato. Con lo stesso ferro che Margaret Thatcher usò negli stessi anni Ottanta per cercare di annientare i sindacati inglesi durante i suoi undici anni di potere, mentre si dedicò con entusiasmo alla privatizzazione del trasporto pubblico e delle industrie pubbliche. Ricorda qualcosa?

E come dimenticare che durante l’ultimo governo di Michelle Bachelet, che si era impegnata nel 2015 attraverso un “processo per la costituente” per cambiare la Costituzione, siamo stati nuovamente ingannati dalla direzione di turno; illusi, abbiamo partecipato a consigli, riunioni, dialoghi, abbiamo scritto documenti, li abbiamo consegnati e alla fine sono finiti in scaffali dimenticati, dopo il fallimento della promessa che non è stata compiuta a causa di «ritardi nella consegna» con l’ammissione della Presidente mesi dopo la fine del suo mandato, che disse: «Non siamo riusciti a concluderla». La cosa certa è che un compromesso sociale di tale grandezza ha mancato di sforzi e volontà politica. Cosa è successo? Non è difficile immaginare e credere che non lo abbiano fatto perché si sono intrappolati nei singoli interessi capitalistici incrociati tra il duopolio delle loro classi politiche, e i loro consensi. Il fatto è che in Cile, la “Democrazia” inaugurata nel 1990 è stata prontamente oscurata dai Chicago Boys e la loro amministrazione neoliberale con lo scopo di accelerare l’economia, privatizzando i diritti sociali di uno stato nato sussidiario già nell’immaginario di Diego Portales, a cui Guzman e Pinochet accedevano i ceri in chiesa.

Così ci siamo abituati tutti

Alcuni perché hanno iniziato ad accumulare privilegi. Altri perché non hanno mai voluto vedere cosa stava succedendo. Altri ancora contro la nostra volontà, perché non abbiamo avuto altra scelta che seguire la corrente per non morire di fame e accedere a una minima educazione. Anche se questo ci ha costretti a indebitarci a vita per ottenere una formazione mediamente decente. Anche se siamo morti nelle liste d’attesa degli ospedali pubblici. Anche se abbiamo dovuto guardare i nostri nonni e nonne morire con pensioni miserabili. Mio nonno, dopo aver lavorato una vita, prendeva di pensione poco più di quello che gli serviva per andare in centro a ritirarla.

Per 40 anni si è coltivato un esperimento economico, politico e sociale che ha consacrato il Cile uno dei paesi più diseguali al mondo, concentrando sull’1% della popolazione il 26% della ricchezza del paese. Che oggi contestiamo uno dei presidenti più ricchi del mondo non è casuale, è un sintomo di ciò che la gente viene a ricordare: il Cile è diventato un’impresa privata. E le ferite del passato coperte a malapena, si sono aperte riconoscendoci e rendendo i nostri dolori collettivi. Dolori che non possiamo più sopportare. Non sopportiamo più tanta disuguaglianza economica, politica, lavorativa, sessuale, educativa, razziale, sociale, culturale, non tollereremo più di essere derubati e oppressi in modo palese e arbitrario.

Viviamo nel dolore. Ma vogliamo essere felici

Abbiamo detto BASTA. La vostra violenza ha un limite. Il vostro progetto sta arrivando alla fine. Questo non è solo un “momento di sfogo”. Questa è la sovranità di un popolo che si ricostituisce partendo dalla sua oppressione, che avanza con le sue ferite aperte, collettivamente e pacificamente, per porre fine allo spietato modello neoliberista che ci ha impoveriti, incantati, isolati e uccisi così tante volte.

Gli sponsor, gli amministratori e i “consumatori” del “Modello” tremano. Coloro che giurarono fedeltà al dittatore di Chacarillas, tremano. Coloro che hanno detto «nella misura del possibile» mentre si stringevano la mano acquistando terra a Caburga, sul Lago Ranco, rilevando spiagge, università, scuole, foreste, fiumi e minerali del deserto, offendendo i loro morti, tremano.

La riduzione dello Stato e dei suoi meccanismi di copertura sociale, lo smantellamento e la terziarizzazione e del dispositivo socio-produttivo, la costituzione di una gestione e burocrazia privata, il paradigma del principio sussidiario, la democrazia “vigilata”, sono tutti principi previsti e protetti dalla Costituzione del 1980. Tutti coloro che hanno scritto e accettato quella Costituzione, oggi dai tre angoli dei poteri dello stato, tremano.

Le “misure”, i “pacchetti”, i “buoni”, le “rinunce” ecc. non sono stati altro che palliativi. Ma la popolazione si è svegliata dopo un lungo sonno. E non ci sarà nulla da festeggiare finché non saranno spezzate le catene che ci legano da più di 40 anni. Perché quelle misure “briciola” non porranno limiti né a Piñera, né ai suoi soci, né alla vecchia, né alla “nuova maggioranza”, che ormai siede in parlamento da trent’anni cambiando nome ogni tanto e continuando a lucrare. La Costituzione di Pinochet / Guzmán dà a tutti loro il potere di fare questo. Era l’eredità. Era il patto. Piñera lo sa. Bachelet, l’ambasciatrice Usa in occidente, lo sa. La gattopardesca e pedofila Dc lo sa. I codardi opportunisti liberali del Ps y del Ppd lo sanno. Hanno bisogno di questo potere per mantenere i loro privilegi ereditati e continuare a gestire il paese dalle terrazze di Los Lagos. Perché mentre la popolazione era occupata con lunghi turni di lavoro e a cercare di sopravvivere, loro sì che se la sono passata bene!

Oggi il Cile sta vivendo la più grande esplosione del potere popolare, dal ritorno alla democrazia. Quel potere, rapidamente emerso da un insopportabile scontento sociale, è stato trasformato ed è diventato potere costituente che ha completamente destabilizzato lo Stato. Quel potere nasce, si organizza in modo indipendente ed è quello che viene vissuto per le strade di tutto il paese marciando e resistendo alla militarizzazione arbitraria e autoritaria del governo, nelle lotte politiche di autodeterminazione del Wallmapu, negli scioperi, nei sindacati, nelle scuole, nelle università, negli ospedali pubblici, nelle fiere popolari, in tutti i nostri quartieri. Siamo molte, molte, molte, milioni di persone che camminano liberamente attraverso “las alamedas” del Cile, così come nel migliore augurio prima dell’ultimo respiro di Salvador Allende, sognando il momento in cui le strade sono state illuminate con il fuoco collettivamente e pacificamente per chiedere una società migliore.

Le nostre strade spaventano i borghesi e i milionari. Le nostre strade sono ispirate dalle insurrezioni e dalle rivendicazioni di tutta la nostra America Latina. Abya Yala, risveglia da una lunga litania contro il patriarcato capitalista e privato del fondo monetario internazionale coloniale.

Un’Assemblea costituente, esperienza utilizzata in diverse regioni d’America e poco conosciuta in Cile, è un’espressione legittima di rappresentanti sociali di tutti i settori politici del paese espressione della volontà popolare e al di là dei partiti, il cui scopo è di dialogare e creare una nuova relazione democratica, un nuovo patto sociale, attraverso una nuova Costituzione che non è scritta tra quattro mura, come Bachelet cercava di delegare al Congresso (anche se sappiamo come è finita quella storia). Un’Assemblea costituente è un’espressione della sovranità popolare, per rispettare e garantire la diversità sovrana di tutte le comunità che abitano il territorio.

È il nostro momento.

* L’autore è attivista dissidente sessuale, insegnante e lavoratore teatrale

Articolo originale pubblicato su razacomica

Traduzione di G. Sthandier per dinamopress

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