ROMA

Ci vuole un reddito: parte la mobilitazione contro il Decreto Lavoro

È sabato 27 maggio la data della mobilitazione nazionale “Ci vuole un reddito”, contro il Decreto Lavoro del Governo Meloni. Una campagna che ha stilato dei principi-base per la garanzia di un reddito giusto e un salario minimo. Una piattaforma che rivendica un reddito universale come convergenza possibile tra lotte differenti

La data da segnare è sabato 27 maggio a Roma, più precisamente Piazza dell’Esquilino a partire dalle 14 e 30. L’appuntamento è quello lanciato dalla campagna nazionale “Ci vuole un reddito”, una coalizione di circa 140 tra associazioni, spazi sociali, movimenti ecologisti e per l’abitare e sindacati.

La manifestazione nazionale è il primo momento di piazza e di convergenza di un percorso che si è avviato lo scorso 24 marzo con un’assemblea nazionale online e che si è snodato attraverso l’organizzazione di iniziative, dibattiti e azioni in tutta Italia contro la cancellazione del Reddito di Cittadinanza, prima minacciata e poi realizzata nella Legge di Bilancio dello scorso dicembre. Ma il percorso di mobilitazione inizia ancora prima: già nel periodo immediatamente successivo alle ultime elezioni politiche si erano infatti formati in diverse città (tra queste, Roma, Napoli e Bologna) i “Comitati in difesa del Reddito” nati per contrastare l’intenzione del nuovo Governo Meloni di cancellare la legge istituita nel 2019 e di costituire delle strutture di base per l’organizzazione dei beneficiari/e della misura (RDC) e animare la campagna di mobilitazione nei territori.

Con il lancio della campagna nazionale, nuove realtà si sono aggregate fino a comporre il campo variegato che sfilerà il prossimo sabato a Roma. Passaggio fondamentale in questo percorso è stato il 1° maggio, giorno nel quale il Governo – scegliendo provocatoriamente proprio il giorno della festa dei lavoratori e delle lavoratrici e in un roboante Consiglio dei Ministri presentato nella forma di un maxi-spot pubblicitario – ha presentato il Decreto Lavoro contenente le misure che sostituiranno il vecchio strumento di contrasto alla povertà (RDC), sostituendolo con l’Assegno di Inclusione (ADI) e il Supporto per la formazione e il lavoro (SFL).

Meno protetti, meglio sfruttati: la controriforma del Governo Meloni

Come è stato più volte sottolineato dalla campagna “Ci vuole un reddito”, la controriforma che ha sostituito il RDC rappresenta una vera e propria regressione nel sistema di protezione sociale italiano. Ultima tra i grandi paesi europei a dotarsi di uno schema nazionale e a vocazione universalistica di protezione contro la povertà (quella che è una realtà decennale nel continente arriva nel nostro paese solo nel 2019), con le ultime modifiche normative l’Italia ritorna ad essere una anomalia nel contesto europeo, negando di fatto il diritto a un reddito a una parte significativa di popolazione che versa in uno stato di povertà. Se infatti sulla carta il RDC aveva per la prima volta stabilito questo diritto (riuscendo però nella realtà a raggiungere solo la metà dei poveri assoluti) con le nuove misure si stabilisce normativamente che chi è in condizioni di deprivazione economica ma non ha nel proprio nucleo minori, anziani ultra-sessantenni e persone con disabilità, non ha diritto ad alcun sussidio ma solo una sorta di gettone (350 euro al mese) per la partecipazione a corsi di formazione professionale.

A questa regressione normativa si accompagna poi, nei fatti, una riduzione secca dell’azione di contrasto alla povertà: secondo alcuni studi recenti basati su proiezioni statistiche, il passaggio all’ADI e al SFL restringerà significativamente (di quasi la metà) la platea già ridotta delle persone che beneficiavano precedentemente del RDC, lasciando senza alcun supporto e al proprio destino migliaia di nuclei familiari e di persone in stato di necessità. Oltre al risparmio per le casse dello Stato, questa stretta risponde a una precisa strategia politica. In un certo senso, è lo stesso Governo a chiarirla scegliendo di presentare le nuove misure all’interno di un Decreto dedicato al “lavoro”. In quello stesso Decreto, infatti, oltre a introdurre l’ADI e il SFL – due misure che mentre restringono il campo di protezione contro la povertà, abbassano fino quasi a farlo scomparire qualsiasi criterio di “congruità” per le proposte di lavoro che bisogna accettare per non perdere il sussidio – liberalizza nuovamente i contratti a termine e i voucher.

Dal combinato disposto di queste norme emerge un messaggio cristallino: lo Stato non deve interferire con le leggi ferree del mercato del lavoro ma deve essere un soggetto attivo nel promuovere lo sfruttamento del lavoro nelle condizioni più profittevoli richieste dal sistema delle imprese. Lo stesso taglio del cuneo fiscale per il lavoro dipendente, una misura spot propagandata come un sostegno per i ceti meno abbienti ma nei fatti ininfluente nel contrastare l’erosione del potere d’acquisto dei redditi, ha piuttosto il senso di disincentivare qualsiasi richiesta di aumento salariale (al palo da anni come in nessun altro paese in Europa) per contrastare la spirale inflattiva riducendo il margine di profitto per i datori di lavoro.

La posta in palio della mobilitazione

I contenuti del Decreto Lavoro e della controriforma sul reddito approvati nel Consiglio dei Ministri del 1° maggio mostrano retrospettivamente come la lunga compagna denigratoria contro il Reddito di Cittadinanza e il feroce attacco scagliato contro i poveri che ne hanno beneficiato (campagna alimentata da una compagine politica e mediatica che va molto oltre i perimetri della destra) ha avuto il senso ultimo di restaurare un’idea di lavoro servile, variabile dipendente dalle esigenze di un mercato occupazionale che in buona parte in Italia può sopravvivere solo comprimendo all’estremo i costi e azzerando le pretese di chi vi partecipa.

È di fronte a questa strategia complessiva che la campagna che si è data appuntamento per il 27 maggio ha tentato di articolare il proprio discorso politico, evitando, da un lato, di ridurre la mobilitazione alla mera difesa di uno strumento come quelle del RDC che aveva già mostrato nella sua attuazione limiti rilevanti e, dall’altro lato, di limitare la battaglia per il diritto al reddito al perimetro stretto delle politiche di contrasto alla povertà. In questo senso, nelle assemblee di questi mesi si è sviluppata un’elaborazione collettiva che ha provato a individuare alcuni principi-base finalizzati a orientare il dibattito politico in vista del superamento delle misure esistenti e passate e nella direzione di uno schema di reddito che rafforzi l’autonomia delle persone e serva a sottrarle alle situazioni di ricatto, dunque di carattere individuale (non familiare) e universalistico (almeno destinato ogni persona che versi in una situazione di povertà relativa) e soprattutto non condizionato all’accettazione di un impiego.

Questi principi, presentati nella conferenza stampa di lancio della manifestazione a Piazza Montecitorio giovedì 25 maggio, sono stati anche tema di confronto con le tre forze dell’opposizione (M5S, PD e SI) e Unione Popolare, divenendo in alcuni casi la base per mozioni e ordini del giorno nei consigli regionali e comunali.

In secondo luogo, la campagna ha esteso il campo delle proprie rivendicazioni ponendo il diritto al reddito all’interno di un quadro più ampio che comprende al suo interno il salario minimo contro il lavoro povero, l’estensione delle politiche del Welfare e la democratizzazione dei servizi pubblici, nonché la battaglia per il diritto all’abitare e contro il caro-affitti. Più che una lista di desiderata, la piattaforma che si va componendo raccoglie lotte ed elaborazioni di altri movimenti sociali, come quelli storici per il diritto alla casa e la più recente mobilitazione dagli studenti e dalle studentesse universitarie, quello di NonUnaDiMeno che ha inserito il “reddito di auto-determinazione” dentro il Piano femminista contro la violenza maschile e di genere, le esperienze del mutualismo solidale e i movimenti per la giustizia climatica che hanno legato la rivendicazione del reddito alla riconversione dell’economia, fino alle nuove istanze delle organizzazioni sindacali che spingono per tenere legati la lotta per il reddito con quella per il salario minimo legale. In questo senso, la costruzione della piattaforma ambisce a fare della rivendicazione di un reddito universale e incondizionato il motore di una convergenza possibile tra lotte e processi di mobilitazione differenti.

La manifestazione del 27 maggio è solo il primo passaggio in questa direzione.

Immagine di copertina di Renato Ferrantini, Roma 27 maggio 2023