DIRITTI

“Chiediamo solo di essere trattate come esseri umani”

Un gruppo di rifugiate politiche eritree scrive alla Presidente della Camera Laura Boldrini.

La risposta della Presidente della Camera Laura Boldrini:

“Posso assicurarvi che mi farò carico di veicolare la vostra richiesta al ministero dell’Interno per sollecitare una soluzione che vada incontro alle vostre esigenze e a quelle dei vostri figli”.

“Dopo tanti anni di lavoro con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, so bene quanto difficile sia la situazione dei rifugiati e in particolare delle donne. La difficoltà di ritrovarsi da sole, in un Paese straniero, senza conoscere la lingua, senza un sostegno, a reinventarsi una vita spesso con i figli piccoli al seguito. La lettera che mi avete mandato mi ha colpito. Sapere della vostra vita in Italia, caratterizzata da continui trasferimenti, con tutte le conseguenze che ciò comporta, soprattutto per i bambini e la loro iscrizione a scuola evidenzia come l’attuale sistema trascuri le esigenze indispensabili per favorire un processo di integrazione. Mi riferisco in particolare alla difficoltà di dover ricominciare ogni volta da zero, per di più dopo essere state sistemate in zone isolate, lontane dai centri abitati”.

Siamo un’associazione, InfoMigrante, che ha seguito sin dall’inizio la questione dell’emergenza Nord Africa e come questa, ancor di più con la fine dei finanziamenti programmati, si ripercuota drammaticamente sulle vite dei migranti che si trovano in Italia ospiti nei Centri d’Accoglienza. Durante questo percorso abbiamo conosciuto un gruppo di donne “accolte” nel centro di Anguillara. Oggi riceviamo e pubblichiamo una loro lettera, indirizzata alla presidente della Camera Laura Boldrini.

Le donne di origine eritrea sono ospitate da ottobre 2012 nel centro di accoglienza di Anguillara, nato nell’ambito dell’emergenza nord Africa.

Nel febbraio scorso il centro in cui vivono è stato dichiarato inagibile dal Comune. Nelle prime settimane di marzo sono iniziati i trasferimenti degli ospiti verso altri centri della provincia di Roma. Circa una cinquantina di rifugiate hanno rifiutato il trasferimento, per non ricominciare da zero il loro processo di inserimento sociale. Spostarsi in un altro centro avrebbe significato per loro: iscrivere nuovamente i bambini in una scuola diversa da quella che avevano iniziato a frequentare; aspettare diverse settimane per ottenere il nuovo medico; essere spostate per l’ennesima volta verso una destinazione a loro sconosciuta senza alcuna informazione e consapevolezza rispetto a tale trasferimento.

A distanza di un mese, la situazione si ripresenta negli stessi termini di qualche settimana fa: si prospetta di nuovo lo sgombero della struttura e loro nuovamente si oppongono al trasferimento per difendere i loro diritti.

Le rifugiate si appellano alla presidente della Camera perché possa intervenire presso le istituzioni competenti al fine di ristabilire i diritti dei rifugiati in Italia e prendere una posizione rispetto alla loro situazione.

Infomigrante

Illustre Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati,

Siamo un gruppo di 45 donne eritree rifugiate politiche. Tra di noi ci sono anche 2 donne incinta e 4 bambini. Siamo arrivate a Lampedusa ad Agosto 2012, da lì siamo state trasferite in un centro di accoglienza a Tivoli, vicino Roma.

La posizione del centro era completamente isolata dal centro abitato di Tivoli, mal collegata con Roma e strutturalmente inadatta ad assicurare condizioni di vita decenti: i muri perdevano continuamente acqua perché le condutture erano rotte, i termosifoni non funzionavano e c’erano solo 4 bagni chimici per un totale di 79 ospiti.

C’era una mancanza di servizi: all’interno della struttura, nessun dottore è mai venuto a visitarci; per molto tempo non abbiamo avuto nemmeno la possibilità di ricevere trattamenti medici nelle strutture esterne al centro perché, senza documenti, non potevamo chiedere la carta sanitaria; molto spesso gli operatori amministravano le medicine per le nostre malattie ma, ovviamente, non erano persone competenti a comprendere i nostri dolori e spesso davano a tutti noi le stesse medicine.

Nonostante queste povere condizioni, siamo state in grado di assicurarci i diritti minimi: carta sanitaria e registrazione dei nostri figli a scuola, ma non un servizio di trasporto.

A dicembre, senza alcun avvertimento, come se non avessimo il diritto di essere consapevoli delle nostre vite, la cooperativa ha deciso di metterci su un autobus e “spedirci” in un altro centro, quello dove siamo oggi, a Ponton dell’Elce, una frazione del comune di Anguillara, ancora più isolato e collegato male con il centro abitato e con Roma. All’inizio eravamo 110 persone di diverse nazionalità.

Per arrivare alla fermata dell’autobus dobbiamo camminare per un’ora in una strada buia e senza marciapiede. Per la seconda volta siamo state costrette a subire lo stesso trattamento: lunghe attese per avere un dottore nel paese più vicino, mesi di attesa prima di raggiungere un accordo con la cooperativa per mandare a scuola i nostri figli, nessun servizio di trasporto per assicurare almeno una connessione con i servizi essenziali come scuole e ospedali.

Una situazione molto difficile che è stata aggiunta al nostro stato di stress e alla nostra attesa preoccupata per l’intervista con la Commissione e per il risultato finale.

Ancora una volta ci siamo organizzate da sole e, dopo aver fatto molte pressioni sulla cooperativa, abbiamo ottenuto l’assistenza medica e l’iscrizione dei nostri figli a scuola.

Ma, come se non fosse abbastanza, a marzo la cooperativa ha deciso di farci partire di nuovo per tornare al centro di Tivoli, senza darci nessuna spiegazione. A quel punto alcune di noi hanno deciso di dire che era abbastanza e hanno rifiutato di essere trattate come “pacchi”, scegliendo di continuare a rimanere nel centro, nonostante l’opposizione della cooperativa.

Dopo di questo, siamo state abbandonate a noi stesse, senza operatori e senza medicine. Nel centro abbiamo soltanto l’operatore che viene giornalmente a portarci il cibo.

Oggi, per la terza volta, la cooperativa ci ha informato che lunedì (22 aprile) dovremmo lasciare il centro per essere trasferite ancora una volta a Tivoli. Nonostante il centro in cui viviamo non sia per niente un luogo degno e nonostante le condizioni non siano delle migliori, durante questi mesi siamo state capaci di costruire un’interazione con gli abitanti del paese e di costruire qualche tipo di relazione con il territorio. Inoltre, siamo sicure che le condizioni del centro di Tivoli non sono migliori.

Vogliamo soltanto i nostri documenti e chiediamo solo di essere trattate come esseri umani e di essere libere di determinare le nostre vite. Chiediamo un trattamento dignitoso e di essere accolte in strutture che non si siano situate fuori dalla società.

Rifugiate eritree di Anguillara

Honrable Madam Laura Boldrini, President of the Camera dei Deputati,

We are a group of 45 Eritrean women refugees among us, there are two pregnant women and 4 children. We arrived in Lampedusa in August 2012 and from there we were transferred to an hosting centre at Tivoli, near Rome.

The location of the camp was completely isolated from the town of Tivoli, not well connected with Rome and not structurally suitable to ensure a decent living: the walls continually leaked because the pipes were broken, the heaters were not working and there were only 4 chemical toilets for a total of 79 guests.

There was lack of service: a doctor never entered the structure to visit us; for long time we have not even had the chance to receive medical treatment in facilities outside the centre because, being without documents, we couldn’t ask for a health card; very often the operators administered medicines for our sickness but, obviously, they didn’t have the expertise to understand our pain and they often gave us all the same treatments.

Despite these poor conditions, we were able to ensure ourselves the minimum rights: a health card and the enrolment of our children in school, but not a shuttle service.

In December, without any warning, as if we didn’t have the right to be aware of our lives, the cooperative decided to put us on a bus and “deliver” us to another centre, the current one, in Del Ponto dell’Elce, a little town near Anguillara, even more isolated and from the town and from Rome. At the beginning we were 110 people of different nationalities.

To get to the bus stop we have to walk for 1 hour in a dark street without a sidewalk. Twice we had to undergo the same treatment: long waits to see a doctor in the nearest town, months waiting before finding an agreement with the cooperative to send our children to school, no shuttle service to ensure at least one connection with essential service such as schools and hospitals.

A very difficult situation that added to our state of stress and worry waiting for the interview with the Commission and the final result.

Once again we organized and, again, after putting a great deal of pressure on the cooperative, we achieved medical assistance and enrolment in school for our children.

But, as if that were not enough, on March the cooperative decided to move us again, to return us to the center of Tivoli, without ever giving any explanation. At that point some of us decided to say that was enough and refused to be treated as “packages”, choosing to continue to stay in the centre, despite the opposition of the cooperative.

After that, we have been abandoned to ourselves, without operators and without medicines. In the center we now only have the operator that comes daily, just to bring us meals.

Today, for the third time, the cooperative has informed us that on Monday (22nd of April) we have to leave the centre to be transferred, once again, to Tivoli. Even if the centre in which we are living is not at all a respectable place and despite the conditions are not the best, during these months we have been able to create an interaction with the inhabitants of the town and to build some kind of relation with this territory. Moreover, we are sure that the conditions in the Tivoli centre won’t be better.

We only want our documents and we our only claim is to be treated as human beings and to be free to determine our lives. We ask for a respectable treatment and to be hosted in buildings that are not kept far away from society.

Eritrean women refugees of Anguillara