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OPINIONI

Chi è Maradona? Tra mito plebeo e potenza del corpo

Ad un anno dalla morte del campione argentino, si è tenuto a Città del Messico un colloquio sul recente libro “Maradona, mito plebeo”. Una analisi dei principali contributi del libro e della portata umana e politica della vita e della carriera di Diego Armando Maradona

Maradona è un interessante terreno di scontro fra diverse forze che lo attraversano e, in questo senso, vale la pena di sottolineare le forze plebee ed emancipatrici. Non a caso, lo scorso 24 novembre presso la Universidad Iberoamericana di Città del Messico, si è svolto un Colloquio Internazionale su Diego Armando Maradona. Durante questo Colloquio è stato presentato lo straordinario libro, appena pubblicato Maradona: Mito plebeyo, curato da Antonio Gómez Villar per le edizioni NED.

Mi permetto di esporre una serie di riflessioni, a partire da questo libro su Maradona. Parlare di Maradona in quanto tale già ci introduce in una narrazione polemica e politicamente interessante. Non si tratta di Pelé come protagonista di affari commerciali o di Cristiano Ronaldo, come esempio neoliberale di imprenditore di se stesso. Tanto meno, d’altronde, si tratta dell’ammutolito Messi come figura in cui si annodano tremendi interessi imprenditoriali (Maradona, p. 13).

Al contrario, Maradona è un personaggio di origine plebea, che si mantenne tale, senza rinnegare la sua origine, conservandosi in quello spazio e in quell’affetto che gli permise di esprimere la sua incredibile potenza calcistica, artistica e corporea.

Questo spiega il Maradona mancino e di sinistra, conflittuale e strano: il Maradona che ammira il Che e che si incontra con Fidel e con Evo. È anche il Maradona dal corpo plebeo, cioè dall’estetica grottesca e dal comportamento indisciplinato, per cui, come acutamente osserva Antonio Gómez: «(…) il calcio è un continuo dribblare la produttività» (ivi, p. 13). 

Foto di Gianluigi Gurgigno

Il suo divino tocco calcistico espropria e risignifica l’arte calcistica inglese convertendolo in idolo e segno di illusione e speranza (ivi, p. 249), e inoltre con il dono del kairós: quando l’Argentina si sollevava ferita dalla dittatura e cominciava a entrarein una fase di “transizione”, tuttavia senza molta speranza, arriva l’idolo a fare due goal all’Inghilterra dopo la guerra delle Malvinas.

E qui il calcio e Maradona sono non solo la continuazione della lotta di classe con altri mezzi, come intelligentemente ricorda Antonio Gómez, ma del pari, la continuazione della guerra (delle Malvinas) con altri mezzi.

In Maradona si manifesta la sottile, allegra e fantasiosa rivincita e fondamentalmente, la possibilità del trionfo popolare nella forma del tumulto non addomesticabile. In Maradona si annodano politica popolare, fervore, mito e immagine,senza cui ogni progetto di emancipazione diventa impossibile e impensabile.

Filosoficamente parlando, viene certo da pensare a Maradona, in quanto mito plebeo, come lo spazio in cui si presenta Spinoza con l’allegria potente del corpo; egualmente quello dove si incarna Machiavelli con il partigiano che si schiera a partire dall’umore di non essere dominato e che si dispiega con l’astuto dribbling, a volte azzardandosi a travestirsi  come Callimaco nella Mandragora, al punto di vincere l’ordine inglese con la “mano di Dio”, senza dimenticare quell’altro grande goal che esemplifica un’Arte de la Guerra con altri mezzi.

Foto di Alioscia Castronovo

Similmente, compare Marx nel suo materialismo e immanenza. E infine Nietzsche, come ci ricorda Antonio Gómez nella sua riflessione sul piede come la «nostra parte più indocile, irrazionale, intuitiva e istintiva” (ivi, p. 11), aggiungerei che il materialismo maradoniano è selvaggiamente poetico, poiché dalla volgarità del piede inventa poeticamente e si muove immanentemente nel magma profondo che rende possibile il nuovo o l’alternativo, ripeto, con i piedi, le gambe e i muscoli. Si tratta del Maradona dai piedi leggeri: il Maradona dionisiaco.  

Certamente, Maradona, come ogni incarnazione umana, è anche spazio di tensione e di contraddizione. Da un lato, può essere una sorte di dio immanente, materialista, popolare e vivificante, in quanto mobilita il fervore in diversi sensi, fra cui ora ci interessa soprattutto quello emancipativo. Dall’altro, può essere l’obeso drogato e fallito.

Come pensare allora Maradona? In primo luogo, assumendo una prospettiva plebea, rispetto al folklore, che come avvertiva Gramsci, è per definizione la sfera dell’incoerente, dell’inconseguente e del disgregato. In secondo luogo, lasciando cadere purismi morali, senza giustificare, però comprendendo.

Con le parole di Javier Franzé: «Convertire qualcosa di mondano in un tutto perfettamente abbietto o divino significa in verità negare il suo carattere umano e terreno. Rappresenta un punto di vista infantile, che rigetta la complessità intrinseca del mondo» (ivi, p. 56).

Infine, pensare il fenomeno Maradona a partire da una singolarità storica: l’Argentina ferita che è pure l’Argentina-madre (per dirla con Rozitchner), cioè, delle madri che piangono per i loro figli desaparecidos e torturati. 

Foto di Gianluigi Gurgigno

Ana Cecilia González, da parte sua, si impegna a giocare, come Maradona, con le parole per spingerci a pronunciare alla catalana: mare-dona (madre-donna) (ivi, p. 29). Il problema, ancora,è che Maradona, o Mare-dona,non è addomesticabile, è selvatico e sfugge agli stampi dell’unico povero accettato: il convertito, quello che si assimila al domestico.

Politicamente, Maredona è colui che non si lascia interpellare da questa Legge. In questo senso, Maredona è una specie di marrano: da qui la sua malinconia, la sua tragedia, il suo errare, sebbene in egual modo la sua peculiare allegria e il suo nesso con l’emancipazione in quanto discontinuità con la norma. 

Come afferma Javier Franzé, con la morte de Maradona, «non morì un maschilista, né un campione, né un drogato, né un nostro simbolo: morì tutto questo insieme» (ivi, p. 58).  Non per caso Maradona è adesso un santo popolare che ha la capacità, come assicura Luciana Cadahia, di essere il catalizzatore di una «rivoluzione popolare» (ivi, p. 69).   

Foto di Gianluigi Gurgigno

Come ci ricorda Oscar Ariel Cabezas, non dobbiamo dimenticareche Maradona fu anche un ragazzo plebeo (ivi, p. 173). Un ragazzo povero certamente abile, che si forgiò, per citare Rilke, «nelle intemperie come fosse casa sua». Come ricorda Oscar, Maradona è “el pibe” proletario capace di porsi su un piano di eguaglianza con il figlio del padrone.

In tal modo, Maradona ci permette di uscire dalle intemperie sottraendosi ai binarismi che lo hanno sezionato mediante processi di astrazione. Al contrario, si impone una logica corporea, materialistica, ibrida ed esistenziale per comprendere il ragazzo povero di Villa Fiorito.   

Horacio González, da poco scomparso, ci chiede da parte sua di concentrarci sulla corporeità della politica maradoniana: il suo corpo come quadro politico in forma di tatuaggio (ivi, p. 102), del marchio e dell’impronta. Di sicuro un corpo strano, luogo di molteplici metamorfosi: da atleta a «obeso e recidivo (ivi, p. 104). Si tratta di un corpo controverso che occorre aggettivare: corpo plebeo che da «povero si fa ricco per disperdersi nella sua baldoria gioiosa» (ivi, p. 105).

Un corpo plebeo che danza, avrebbe detto Nietzsche, sugli abissi senza orrore o dopo l’orrore «dei regimi di Videla e Massera» (ivi, p. 108). Con lui, secondo Diego Sztulwark, dopo tanto terrore e la morte di Dio, una nuova metamorfosi si presenta: una nuova fede in un angelo plebeo che implica una fede in qualcosa tanto terreno, materiale e immanente quanto il corpo. Secondo la mia interpretazione, si tratta del corpo dislocato e debordante; il corpo sciolto che sa danzare lasciandosi rapire dai ritmi del gioco –non è che Maradona giochi ma piuttosto che si lasci giocare.  

La Mano de D10s

Dato che in Maradona si manifesta il movimento e la metamorfosi, conclude questo testo a proposito dell’ultimo concetto, già oggetto di una bella riflessione filosofica da parte del già citato Horacio González (La Crisálida, 2005). Horacio González perviene a questa riflessioneattraverso la sua lettura di Ovidio, per tentare di andar oltre una mera ricezioneeuropea e sviluppare un pensiero proprio, come spiega un altro grande esponente argentino della filosofia, León Rozitchner, come appello al diritto a formare una tesi, cioè  un pensiero proprio. Del resto, Horacio perviene a questa riflessione per contrapporre la forma di trasformazione immanente e multipla alla trasformazione dialettica.

Questo mi consente di affermare che Maradona non è mera ricezione del calcio europeo o anglosassone, ma la sua propria traduzione in argentino plebeo: non è che giochi a calcio, piuttosto gioca-danza maradonismo calcistico. 

Come ben indica Horacio González ed espone Ezequiel Ipar nell’ambito di un corso del Programa de Estudios Críticos della Facoltà di Scienze Socili dell’Università di Buenos Aires, dl titolo “Fra il marxismo e il nazional-popolare“, nella metamorfosi non c’è antropocentrismo, ovvero nonè l’uomo la fonte assoluta e unica della trasformazione, ma sono le forze stesse in tensione, in cui il singolo umano si avvolge. Maradona è quello che è, perché oltrealla sua particolare orchestrazione metamorfica, si inserisce kairologicamente in altre forze che lo sovrastano. 

In egual maniera, per Horacio González per il grande León Rozitchner, le metamorfosi (come in Ovidio), permettono la trasmutazione del dolore. Così che oggi è la permanenza di Maradona sublimata in mito plebeo che gli conferisce continuità vitale nella forma di un’immagine, grazie a cui il nostro Pelusa continua a dribblare insegnandoci a dribblarele élites in modo plebeo. Grazie a lui, la metamorfosi ha anche effetti vivificanti, che dànno ancora vita malgrado la sua assenza o presenza simbolica.   

Per  Horacio González, come spiega Ezequiel Ipar, la metamorfosi consente di sottrarsi alla  colpa e alla tragedia. Secondo la mia interpretazione, la metamorfosi e quanti la effettuano, possono schivare o dribblare la colpa-debito dominante che garantisce il dominio del prete, come ci ricorda Nietzsche nella Genealogia della morale, o quella complicità appassionata con la legge, che Butler descrive come una nota caratteristica dei sofisticati dispositivi di governamentalità.

Maradona, performativamente, se ne sottrae. Sottrae la sua vita e corporeità ai mandati estetici e mercantili; avvia una forma di gioco che sfugge dalla norma; costantemente la sua vita trasgredisce la norma e abita la contraddizione.

Maradona, quantunque nella sua follia borderline, è effetto, non senza una quota di responsabile orchestrazione, di molteplici forze; nonostante, per Maradona, questa sia forse l’unica forma di vita possibile, cioè l’unica che gli consenta, a partire dal suo ingegno atipico, di affrontare il “disagio della cultura”. In ogni modo, sebbene con rischi e tensioni, la possibilità di sfuggire alla complicità appassionata con la legge consente di aprire piccoli spazi di libertà e di emancipazione.   

E questo Maradona combattuto e risignificato è quello che qui ci interessa. Il Maradona che dribbla gli inglesi e che si rende inafferrabile al nemico, fino ad assediarlo e filtrare oltre. Il capolavoro di Maradona è che fu capace di giocare su un piano di eguaglianza con il rivale più pericoloso. In questo modo, riuscì, per parafrasare Rancière, a mettere in scena un comunismo dei corpi intelligenti.

Allo stesso modo, Maradona, a differenza da altri, può essere capace di ottenere vittorie plebee in momenti di tensione storica. Qui scocca il difficile incontro con la fortuna. 

Alla memoria di Horacio González e di Maradona e di tant* altr* che se ne sono andat*, a quanti ci mancano soprattutto per la loro potenza plebea, sensibilità terrena e ingegno atipico. È interessante che spettralmente continuano a convocarci, renderci felici, motivarci, assediarci, dislocandoci permettendo l’evento-giocata-goal che diventano possibili soltanto quando, come si legge in Amleto, ricorda Derrida, «the time is out of joint». 

Dante Ariel Aragón Moreno insegna presso l’ Universidad Iberoamericana di Città del Messico, autore di Efecto Gramsci. Fuerza, tendencia y límite (2021) e organizzatore del Colloquio su Maradona, di cui nell’articolo.

Traduzione in italiano di Augusto Illuminati

Immagine di copertina e foto nell’articolo di Gianluigi Gurgigno, i tre giorni di lutto popolare per Maradona a Buenos Aires, novembre 2020