MONDO

Il Capodanno della dignità a Santiago del Cile

Un racconto del Capodanno in Plaza de la Dignidad a Santiago tra autorganizzazione, bandiere mapuche, canzoni della rivolta e una cena attraversata da una eterogenea composizione sociale che promette nuove manifestazioni in questo inizio 2020.

Martedì 31 dicembre, cinque di pomeriggio. Il termometro segna poco meno di 35 gradi a Santiago del Cile. Un  gruppetto di ragazze e ragazzi, vari incappucciati, sono intorno al monumento del General Baquedano, al centro della piazza a cui dà il nome. La stessa che è popolarmente conosciuta come Plaza Italia e che con la rivolta esplosa il 18 ottobre è stata ribattezzata Plaza Dignidad.

Alcuni, pochi, si sono arrampicati fino in cima e hanno issato le immancabili bandiere mapuche e cilena, ma devono sforzarsi per farle sventolare; non si muove un filo d’aria. Hanno corde e qualche martello. Si genera un piccolo dibattito sul destino della statua del generale a cavallo: alcuni vogliono buttare giù l’eroe della guerra del Pacifico, rimasto in piedi nonostante si trovi al centro del luogo più emblematico delle proteste, la cosiddetta “zona zero”.  Molti suoi illustri colleghi non hanno avuto la sua stessa sorte e sono stati spazzati via dall’ondata di demonumentalizzazione in atto . Il fatto di essere cileno e non uno dei Conquistadores probabilmente gli ha salvato la pelle di bronzo. Altri cercano di far valere le ragioni opposte: non è sulle statue che si gioca la partita importante e certi gesti simbolici rischiano di essere controproducenti. Alla fine prevarranno questi ultimi e Baquedano riuscirà a festeggiare l’arrivo di un 2020 che si preannuncia, comunque, molto caldo dalle sue parti.

 

 

La piazza è ancora aperta al traffico. La maggior parte delle poche macchine che passano suonano in segno di solidarietà, altre, poche, fanno tre o quattro giri intorno al monumento scandendo il ritmo con il clacson.

Oggi, stranamente, non ci sono uniformi color oliva a presidiare la piazza. Nemmeno l’ombra di quelle macchine infernali che la fantasia popolare ha ridefinito con i nomi di animali diffusi a queste latitudini: il guanaco (il carro idrante, perché sputa) e lo zorrillo (il carro lancia gas, per le flatulenze fetide). Questa assenza non è un gentile omaggio delle autorità per salutare l’anno che se ne va. Si deve piuttosto al fatto che il giudice Daniel Urrutía ha dichiarato incostituzionale la militarizzazione preventiva della piazza disposta in altre circostante dall’Intendente della Regione Metropolitana – una sorte di prefetto nominato direttamente dal presidente della Repubblica – Felipe Guevara Stephens. Le voci che circolano dicono che i Carabineros sono qualche isolato più in là, nella zona del Parque Forestal. Aspettano, si dice.

 

Alcuni, il volto coperto da magliette che lasciano intravedere non solo occhi giovanissimi, ma anche qualche ruga, non si fidano. Muovono transenne e formano barricate per sbarrare le due principali vie d’accesso alla piazza. Avenida Vickuña Mackenna sul lato nord e, a ovest, quell’Alameda che – parole dell’ultimo discorso di Allende, con il golpe già in atto – “più presto che tardi si aprirà nuovamente per lasciar passare l’uomo libero che costruirà una società migliore”.

 

Proprio sulla principale arteria che taglia in due Santiago, a cento metri dalla piazza, un capannello di persone circonda un memoriale improvvisato eretto per ricordare Mauricio Fredes. Venerdì scorso (si manifesta tutti i giorni, ma le mobilitazioni più imponenti sono quelle del venerdì) Mauricio, muratore di 33 anni, è morto durante la repressione, cadendo in un buco. Secondo una prima versione sarebbe rimasto fulminato per la presenza di cavi elettrici e dell’acqua sparata dal guanaco, l’autopsia parlerà però di morte per asfissia da annegamento. Nemmeno le esequie sono state risparmiate dalla repressione e una bambina di sette anni, ora fuori pericolo, è rimasta gravemente ferita da un lacrimogeno che le è arrivato addosso.

Ogni tanto, per folate, sovrapponendosi alla colonna sonora del piccolo Sound System, risuona una delle hit delle manifestazioni: “Ya van a ver, las balas que nos tiraron van a volver” (“Vedrete, le pallottole che ci avete sparato torneranno indietro).

 

Le cicatrici della violenza dei Carabineros sono presenti e saranno difficili da sanare. Senza entrare nella guerra delle cifre, nei due mesi e mezzo di mobilitazioni si parla di oltre 40 morti, più di 3.500 feriti, dei quali non meno di 300 hanno perso un occhio, in un paio di casi entrambi.

 

Numerosi anche i casi di tortura e violenza sessuale – il movimento femminista ha un ruolo centralissimo – denunciati, per non parlare degli arresti arbitrari. Il più noto quello del professore 35enne Roberto Campos, ora ai domiliciari notturni e con obbligo di firma, che ha scontato 54 giorni in un carcere di massima sicurezza per aver rotto i tornelli del metro.

 

 

Su uno dei lati della piazza, l’entrata principale della stazione della metropolitana Baquedano, chiusa a tempo indefinito, è completamente inservibile. I calcinacci coprono fino a metà la grande porta d’accesso e i muri gridano la rabbia e le consegne del “Risveglio cileno” .

 

Pochi metri più in là, di fronte al teatro dell’Università de Cile, sono già pronti i tavoli  per il cenone di capodanno che verrà offerto ai ragazzi della Primera Linea, quelli che battagliano corpo a corpo con i Carabineros, chi con lo scudo, chi spegnendo i lacrimogeni, chi dando il primo soccorso medico ai feriti .

 

 

Quelli che il duopolio mediatico Mercurio-Copesa mettono all’indice come “violenti”, con il passare delle settimane hanno ottenuto un’importante legittimazione popolare.«In pochi giorni abbiamo raccolto i fondi tra vari collettivi – racconta Jimena, del collettivo La Zena Cero (gioco di parole tra cena e zona zero a cui la fonetica italiana non rende giustizia) – per ringraziare questi ragazzi e queste ragazze per tutto quello che fannoıı». Ci dice di non essere militante, «nessuno qui milita in nessun partito – enfatizza, limitando la concezione di militanza alla politica di partito – facciamo tutti parte di diversi collettivi».

Quelli nati negli ultimi tempi, secondo Jimena, sono moltissimi e si occupano e dibattono le questioni più disparate, ma in questo caso si sono messi tutti a disposizione de La Zena Cero, nato solo per preparare la cena per la Primera Linea: «se la meritano».

«Ci hanno contattato varie persone che vogliono partecipare, portandosi la cena al sacco  – continua – per noi più siamo meglio è. L’intenzione è quella di fare un brindisi a mezzanotte e di andare avanti almeno fino alle due, a meno che non arrivi il convitato di pietra. In caso, siamo pronti a spostare la cena in un altro posto che non posso rivelare» (ride). Ma non c’è molta improvvisazione. Jimena nel 2011 ha partecipato a un’occupazione di nove mesi nel liceo del figlio «ho imparato molto, ma qui hanno tutti molta esperienza in questo genere di cose».

 

 

Pochi metri più in là, un cartello recita: “Año nuevo en Plaza Dignidad” , a lato è stato allestito un piccolo palcoscenico di fortuna. Una coppia, attirata dall’accento italiano, spiega che cominceranno a suonare verso le 20 e si alterneranno alcuni artisti del panorama locale: Camila Moreno, Moral Distraida e Banda Conmoción. «E poi c’è una sorpresa che non vi possiamo dire», aggiungono prima di lasciarsi andare: «viene anche Anita Tijoux, ma lo confermerà poco prima» (alla fine non salirà sul palco ma canterà, intorno alle 23, da un balcone). L’artista hip hop franco-cilena, mondialmente conosciuta, è sempre molto vicina ai movimenti sociali del paese ed è anche stata vista ai funerali di Mauricio Fredes.

Alla fine il “posto segreto” di Jimena rimarrà tale. I convitati di pietra non arriveranno e le foto panoramiche dall’alto in circolazione non saranno così diverse da quelle dei capodanni di Parigi, Madrid e Berlino. In strada, però, l’atmosfera che ha accolto l’anno nuovo in Plaza Dignidad è radicalmente diversa da quella che si respira in genere nei Capodanno in piazza.

 

Sotto la luce dei fuochi d’artificio, tra ragazze e ragazzi incappucciati ma vestiti a festa e gruppi ultras («abbiamo passato troppo tempo a litigare tra di noi», recita uno striscione che ha rappresentato la presa di posizione dei gruppi che hanno una forte presenza in piazza) i presenti non solo hanno brindato al nuovo anno e ballato (e molto!). Hanno anche scandito le consegne di questi ultimi due mesi.

 

È risuonato qualche “Meu amigo Charlie Brown” in meno e qualche “El pueblo unido jamás será vencido” in più. Accompagnati dall’odore acre di alcuni copertoni bruciati preventivamente non solo abbracci, selfie e champagne (in realtà cocktail locali molto più economici), ma striscioni con le consegne “Solo lottando avanziamo”, “Tutto il popolo in prima linea” e “Organizziamoci per questo 2020”.

Alcuni stavano già distribuendo volantini di quella che vuole essere “la manifestazione più grande della storia”, il 6 marzo. Ce n’est qu’un début

 

Foto di Marcela Alarcón Ortúzar per DINAMopress.

E adesso?

Adesso abbonati, genera indipendenza