EUROPA

Brutalità sulla “rotta balcanica”: fonti interne alla polizia croata ammettono le violenze sui migranti

In una lettera indirizzata a Lora Vidović, il difensore civico del popolo croato, un gruppo di agenti di polizia che hanno scelto di rimanere anonimi ha descritto il trattamento subito dai migranti della rotta balcanica come «inumano»

«Ogni giorno li deportiamo in Bosnia senza documenti o procedimenti legali, poco importa che siano donne o bambini. Trattiamo chiunque allo stesso modo. L’asilo non esiste, viene concesso solo in casi straordinari, quando l’attenzione dei media è alta». Il whistleblower prosegue indicando i mandanti politici delle deportazioni: «Gli ordini del capo della polizia, dell’esecutivo e dell’amministrazione sono di deportare chiunque senza fornire documenti o lasciare tracce, di impossessarsi del denaro e di distruggere o confiscare i telefoni cellulari».

La lettera è stata pubblicata due giorni dopo che, per la prima volta, la Presidentessa croata Grabar-Kitarović ha ammesso alla televisione svizzera che la Croazia esegue deportazioni di massa, oltretutto vietate dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani: «Ho parlato con il Ministro dell’Interno, il capo della Polizia e gli agenti sul campo e mi hanno assicurato che la forza non viene usata in modo eccessivo. Ovviamente, una piccola dose è necessaria durante le deportazioni».
Ma l’agente anonimo non è dello stesso avviso. Secondo lui le violenze sono ingiustificate e i quadri politici e delle forze dell’ordine permettono direttamente che il fenomeno diventi sistema: «Gli agenti che arrivano con le unità ausiliarie delle altre stazioni di polizia sono particolarmente crudeli, rimangono per poco tempo e così possono fare quello che vogliono senza controllo. È triste ma vero e succede con l’approvazione dei dirigenti della stazione locale e dell’amministrazione». Poi prosegue fornendo una descrizione più dettagliata delle deportazioni: «Ogni giorno deportiamo tra le 20 e le 50 persone. Quando arrivano qui da altre stazioni, [i migranti] sono esausti, a volte hanno subito pestaggi, e poi noi li dobbiamo deportare in Bosnia. Succede ogni genere di cose, alcuni agenti impugnano le armi. Io, personalmente, ho deportato attorno alle mille persone durante la notte».
A testimonianza del fatto che le pratiche delle forze dell’ordine siano dettate dai vertici stanno le conseguenze per chi dovesse rifiutarsi di partecipare agli abusi: «Cerco di essere il più umano possibile ma se dovessi rifiutarmi perderei il lavoro».

 

Le ferite inflitte dalla polizia croata. Herre Rias Valls, No Name Kitchen

 

Le organizzazioni che lavorano sul campo denunciano la situazione da tempo. Martin Depper, membro della ONG Border Violence Monitoring che possiede un database dei report di violenza raccolti sul campo, conferma: «Fino a oggi, le autorità croate hanno negato fermamente le accuse. Anche quando abbiamo pubblicato il video di una deportazione nel dicembre 2018, i fatti erano stati negati. Dicevano che il materiale raccolto nei report era menzognero, che i migranti si feriscono da soli o, come ha detto la Presidentessa della Croazia la settimana scorsa, che le ferite sono una conseguenza diretta dei percorsi accidentati. L’unico elemento che ci mancava erano le parole di un agente di polizia».

 

Ritratto di un migrante a Velika Kladuša, Bosnia-Erzegovina. Angélica Sánchez Martínez

 

È da tempo che le testimonianze dei migranti sono abbastanza, e abbastanza coerenti, da proiettare uno scenario ben preciso. Border Violence Monitoring dispone di un importante archivio fotografico e di cartelle cliniche raccolte da Medici Senza Frontiere che confermano l’uso di violenza. Soprattutto le percosse inflitte con il manganello appaiono molto evidenti. Le interviste con i rifugiati sono inoltre condotte secondo una metodologia molto precisa: le risposte non vengono in nessun modo suggerite e le varie testimonianze riguardanti un episodio sono incrociate per accrescerne precisione e affidabilità. La mole di dati prodotta dalla ONG di Martin è sufficiente a tracciare uno scenario generale: «I più di 500 report si assomigliano in termini di procedura e violenza inflitta. Questo ci porta a pensare che non si tratti di illeciti di singoli agenti, ma che le deportazioni e le violenze siano impiegate in modo sistematico, ovvero che siano regolate da ordini ufficiali».
Per Martin, ogni report contiene abbastanza dettagli da permettere alle autorità croate di condurre investigazioni interne. «Al contrario. però. il Ministro dell’Interno Croato sta compromettendo le indagini del difensore civico negando l’accesso alle informazioni di cui necessita».

Le responsabilità politiche non si fermerebbero tuttavia alla sola Croazia. Nel 2016, il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha pubblicamente affermato che «i flussi irregolari di migranti nella rotta balcanica devono essere interrotti». Inoltre Zagabria si trova nel processo di ingresso nell’aerea Schengen, che storicamente ha associato a una maggiore mobilità interna un rafforzamento dei confini esterni. Questa connessione tra libertà di circolazione e limitazione degli ingressi dallo spazio extra-UE è ben compreso dall’esecutivo croato. A maggio, il Ministro dell’Interno Davor Božinović, riferendosi a un episodio di deportazione collettiva verso la Bosnia, l’ha definita «un’azione in linea con lo statuto Schengen, mirato alla prevenzione dell’immigrazione illegale verso l’UE». Dalle sue parole risulta chiaro come, se tra la classe media europea la percezione del Trattato di Schengen è quella di un accordo di stampo liberale, avvicinandosi ai confini il suo scopo si tramuti in controllo, securitarismo, chiusura.
Tanto più che Frontex, l’agenzia che si occupa del controllo terrestre e marittimo dello spazio EU, è attiva nel territorio croato già dalla scorsa estate e i suoi agenti operano fianco a fianco delle polizie locali.

 

Un migrante si prepara per la doccia in una fabbrica abbandonata al confine tra Serbia e Croazia. Enrico Pascatti

 

Alle attuali politiche europee e alle parole del Ministro dell’Interno croato, secondo cui il controllo delle frontiere «scoraggia» i migranti dal tentare di entrare in Europa, risponde Mudassir, un rifugiato afghano che ha attraversato la Croazia solo due mesi fa: «Fare uso della violenza non si rivela un modo utile per negare l’ingresso in Europa a nessuno. Il vero nemico dell’Europa non sono i rifugiati, ma le cause che obbligano le persone a cercare rifugio». Nel frattempo, più di 15 mila persone si trovano bloccate in Serbia e in Bosnia-Erzegovina, aspettando tenacemente l’occasione di vedere riconosciuti i propri diritti umani.

 

In copertina, graffito sul muro di uno squat dove i migranti si riposano tra i vari tentativi di superare Croazia e Slovenia. Foto di Sabina Borsoi