MONDO

Ayotzinapa un anno dopo, in un paese senza giustizia

Un anno dopo la scomparsa in Messico di 43 studenti mentre tornavano ad Ayotzinapa i movimenti tornano a chiedere verità e giustizia. Mobilitazioni in tutto il paese, ma la violenza del governo non si ferma. Leggi anche Ayotzinapa somos todos: una marea invade le strade in Messico

Il 27 settembre è trascorso un anno dai tragici fatti di Iguala, quando 43 studenti della scuola Normale Rurale di Ayotzinapa (Guerrero) sono stati desaparecidos dopo essere stati attaccati dalla polizia municipale, mentre viaggiavano in autobus per tornare ad Ayotzinapa e da lì proseguire per Città del Messico. In quella tragica notte, oltre alla scomparsa dei 43, altre sei persone furono uccise, tra cui tre studenti.

Ad un anno di distanza, le vie di Città del Messico si sono riempite di migliaia e migliaia di persone, che non si sono fatte fermare da una pioggia battente e dal freddo, perché era fondamentale ricordare insieme, con rabbia, quei tragici fatti che hanno segnato una sorta di giro di boa nella consapevolezza di tanti messicani. Ora infatti non c’è più nessun velo a nascondere la realtà: semplicemente lo stato si adopera come struttura terrorista di repressione contro ogni fermento sociale e usa la desapariciòn come strumento. Ayotzinapa l’ha dimostrato e ha reso tutti tragicamente coscienti della realtà in cui il paese vive ormai dal 2007. Le stime più moderate parlano di 25.000 desaparecidos in questi otto anni.

Rispetto alla scomparsa degli studenti, il 9 settembre è stato reso pubblico il rapporto di una Commissione indipendente di esperti internazionali (GIEI) creata appositamente dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani. Il rapporto è estremamente interessante, perché è il prodotto di sei mesi di lavoro e inchiesta sul campo, che ha coinvolto direttamente sopravvissuti, esperti forensi, familiari delle vittime e che ha potuto rivelare quanto è stato volutamente omesso dalla magistratura messicana.

Emergono dal report elementi chiarificatori, in primis che le diverse autorità, federali e locali, erano pienamente consapevoli già da metà pomeriggio del giorno 27, e per tutta la serata, della presenza di studenti di Ayotzinapa ad Iguala, e perciò non sono credibili le tesi secondo cui possono essere stati confusi con gruppi del crimine organizzato. Ma c’è di più, il rapporto identifica pure l’esistenza di un quinto autobus in partenza verso Ayotzinapa con studenti a bordo, e che, guarda caso, non appare in nessuna delle indagini svolte dalla procura messicana. Probabilmente proprio quell’autobus “scomparso” è stato chiave nella determinazione del massacro. Infine il rapporto nega che sia possibile che i corpi siano stati bruciati nella discarica di Cocula, come ripetutamente affermato invece dalle autorità messicane. E’ un passo avanti, ma la verità sui mandanti e sopratutto la giustizia per quei fatti sono ancora lontane e sopratutto per un caso di questa gravità, è estremamente difficile che possa esserci alcun accesso alla giustizia se non a livello internazionale.

Non è facile dire cosa sia cambiato in questo anno. Di sicuro i fatti di Ayotzinapa hanno determinato una mobilitazione costante tra le più notevoli degli ultimi decenni, e la solidarietà che si è manifestata a livello nazionale ha permesso al movimento messicano di essere più coeso e forte. Tra i vari momenti degni di nota, va ricordata la centralità della vicenda dei 43 studenti nell’azione e nelle parole dell’EZLN, in particolar modo nel Festival delle Resistenze e Ribellioni al Neoliberismo che si è tenuto nel periodo natalizio, in cui ampio spazio è stato dato ai familiari dei desaparecidos.

I fatti di Ayotzinapa hanno inoltre risvegliato la solidarietà internazionale verso le questioni messicane e in tutto il mondo ci sono state azioni, proteste per denunciare quei fatti, come non accadeva almeno dalla fine degli anni 90. Tuttavia né la mobilitazione permanente, né la rilevanza internazionale della questione hanno creato un deterrente alla violenza di stato.

Il 31 luglio 2015 un altro episodio di grave entità ha sconvolto la società messicana. In un appartamento di un tranquillo quartiere del centro di Città del Messico, sono stati trovati assassinati un giornalista fotoreporter, Ruben Espinosa, e 4 donne, tra cui la sua compagna, presenti al momento nell’appartamento. Le donne sono state stuprate prima di essere uccise, Ruben é stato orribilmente torturato prima dell’assassinio. Pochi mesi prima Ruben aveva sporto denuncia contro il governatore dello stato di Veracruz, Javier Duarte, per minacce di morte ricevute che chiaramente provenivano dal governatore. Ruben assieme alla sua collega Regina Martinez, assassinata due anni e mezzo fa, denunciavano la corruzione del governo di Veracruz e il legame tra Duarte e il mondo del narcotraffico. Dopo la morte di Regina, poiché le minacce continuavano contro la propria persona, Ruben si era nascosto a Cittá del Messico per poter avere salva la vita.

La strage della Narvarte (così chiamata dal quartiere di Città del Messico dove ha avuto luogo) ha scosso a lungo la città e ha ricordato a molti l’assassinio dell’avvocato Digna Ochoa, nel 2001. Si è pure determinato un clima di paura difficile da vincere. “Ora può capitare davvero a tutti” è una frase comune, oggi, tra compagni e attivisti. Un appello firmato da attivisti e intellettuali italiani e messicani è circolato durante l’estate proprio in seguito a questi fatti, per provare ad alzare la voce contro le crescenti violazioni ai diritti umani nel paese.

In questo quadro drammatico è invece degna di nota la campagna in sostegno alla Legge di iniziativa popolare contro la Desaparicion Forzata che sta facendo i suoi primi passi al Senato. La legge, scritta e pensata assieme a familiari di desaparecidos, tenta di rispondere al fenomeno garantendo un quadro legale che permetta l’accesso alla giustizia, alla verità, ed a una riparazione per quanto subito dai familiari delle vittime. Se la legge venisse approvata sarebbe un passo avanti importante per riuscire ad arginare questa atroce pratica usata dalle strutture dello stato e del crimine organizzato che in Messico, come hanno dimostrato i fatti di Ayotzinapa, sono strettamente intrecciate, o tragicamente coincidono.