ITALIA

L’autogestione del lavoro sotto attacco. Ma Ri Maflow deve continuare a vivere

Un gravissimo attacco giudiziario colpisce, nell’ambito di una inchiesta sul traffico di rifiuti in Lombardia, la fabbrica recuperata Ri-Maflow di Milano, che da anni sperimenta lavoro cooperativo senza padroni, mutualismo e solidarietà.

L’arresto del presidente e rappresentante legale Massimo Lettieri e il sequestro di un capannone (dove si è sperimentato per un periodo il recupero di materia prima da carta da parati), dei beni e dei computer della cooperativa dallo scorso 26 luglio stanno mettendo a rischio una delle più interessanti esperienze di autogestione del lavoro nate come risposta alla crisi.

“Ci hanno provato in tutti i modi a mettere i bastoni tra le ruote a un progetto mutualistico di recupero di una fabbrica abbandonata a Trezzano sul Naviglio dopo il licenziamento di 330 persone. La forza del ‘fare solidale’, l’impronta ecologista, la capacità di creare senza aiuto alcuno 120 posti di lavoro, la costruzione di una rete di economia sociale popolare Fuorimercato, l’impegno contro la criminalità organizzata – in cui sono state coinvolte imprese e istituzioni di tutto il Sud Ovest milanese – hanno dato la forza di resistere per quasi sei anni e di far vivere una delle più significative esperienze di autogestione operaia.” Cosi scrivono i lavoratori della Ri Maflow in un appello volto alla denuncia dei fatti e alla costruzione di un sostegno pubblico rispetto all’esperienza di autogestione sotto attacco.

La cooperativa è nata dalla lotta dei lavoratori licenziati nel 2012 che hanno recuperato la fabbrica ispirandosi alle esperienze nate in Argentina e in America Latina durante la crisi.

Esperienze che a partire dal 2011 sono nate anche in diversi paesi dell’Europa mediterranea, come in Francia, Croazia, Grecia, Italia e Turchia. La Maflow è stata poi riconvertita in centro per il riuso e il riciclo di apparecchiature elettriche ed elettroniche, dando vita ad una vera e propria Cittadella dell’altra economia. Da quel momento è cambiata profondamente la storia diu tanti lavoratori e lavoratrici, ma anche dello stesso territorio attorno a quei capannoni di Trezzano sul Naviglio.

Progetti di mutualismo, lavoro senza padrone, solidarietà e costruzione di reti sul territorio, ma anche network a livello nazionale ed internazionale hanno creato e reiventato nuovi cammini collettivi nella crisi.

A livello internazionale, Ri Maflow ha partecipato e promosso assieme ad altre esperienze spazi di incontro e dibattito dalla Grecia alla Francia, dal Venezuela e all’Argentina, costruendo spazi di incontro tra ricercatori, attivisti, studenti e lavoratori dell’autogestione a livello globale nell’ambito della rete internazionale Economia dei lavoratori.

“Abbiamo cosi deciso di recuperare la fabbrica. All’inizio eravamo una ventina di lavoratori con l’obiettivo di puntare a far del bene al pianeta, di cercare di recuperare le materie prime, per rimetterle nel ciclo di produzione invece che mandarle in discarica”.

 

 

“Sono arrivati poi settanta o ottanta lavoratori, artigiani ed operai, che oggi lavorano nel capannone. L’obiettivo è sempre stato quello di riutilizzare, riciclare, rimettere in funzione senza consumare” racconta Gigi Malabarba a Radio Popolare “abbiamo sempre rivendicato l’occupazione della fabbrica per poter lavorare, e siamo in trattativa per regolarizzare la nostra posizione e lavorare con dignità. Ma l’accusa che ci viene rivolta è falsa ed infamante”

Il fatto che una indagine antimafia, che coinvolge diverse imprese della zona, accusa la Ri Maflow di essere parte di una associazione a delinquere finalizzata allo smaltimento illegale dei rifiuti rappresenta “una cosa per noi infamante, perchè siamo nati e lavoriamo e lottiamo in un territorio dominato dalla ndrangheta” afferma Malabarba “e siamo parte di una rete che vuole costruire alternative economiche anche per sottrarre manovalanza alla mafia”.

Nel comunicato firmato dalla cooperativa i lavoratori affermano con chiarezza che “con le ditte che ci hanno conferito macchinari e materiali con regolari documenti di trasporto – alcune delle quali figurano tra quelle indagate – non abbiamo nulla a che fare per qualsiasi altra loro attività. La nostra unica ‘illegalità’ è quella di essere ancora in attesa di un titolo di utilizzo del sito da quando quasi sei anni fa la Maflow ha chiuso licenziando 330 persone e abbandonando la fabbrica”.

A partire dall’occupazione nel 2012, scrivono ancora nel comunicato, “gli operai si sono ricostruiti un lavoro con una regolare cooperativa, sono nate molte botteghe artigiane che – insieme – hanno dato vita a un centinaio di posti di lavoro, mentre un business plan è stato preparato con il concorso di varie Università”.

La sperimentazione sul riciclo è stata condotta acquisendo materiali (scarti di produzione di carta da parati) da ditte a cui lo restituivamo lavorato (con fatture di lavoro conto terzi) o vendute a ditte con regolari fatture. Non sappiamo l’iter successivo di questi materiali. La sperimentazione, peraltro onerosa e quindi una perdita per noi, è terminata mesi fa, in attesa di una regolarizzazione del sito ormai in dirittura d’arrivo. Quindi nessuna attività lucrativa da parte della Cooperativa.  Nel capannone posto sotto sequestro abbiamo invitato a più riprese molti enti, tra cui Città Metropolitana, AMSA e A2A, con la massima trasparenza rispetto ai nostri progetti”.

“I lavoratori di RiMaflow non c’entrano con lo smaltimento illecito di rifiuti per cui sono implicati altri soggetti. Massimo Lettieri deve essere rimesso in libertà e deve essergli restituita tutta la dignità per il lavoro che ha sempre fatto per tutti i lavoratori e le lavoratrici e anche per la città di Trezzano sul Naviglio.”

Così si conclude il comunicato diffuso dalla cooperativa pochi giorni dopo l’arresto di Massimo, che si trova tuttora in isolamento, mentre tutti i beni della cooperativa sono stati bloccati, i computer sequestrati, l’attività economica della cooperativa e di oltre un centinaio di lavoratori messa a rischio. Per queste ragioni, è stato lanciato un appello a sostegno di Ri Maflow, per affrontare questa difficile situazione che oggi colpisce una esperienza di lotta e di lavoro in autogestione che ha bisogno oggi della solidarietà, del sostegno e del’appoggio di tutti. Nel richiedere la liberazione immediata di Massimo, invitiamo a sostenere la fabbrica recuperata e promuovere l’appello Ri Maflow deve vivere.

Appello a sostegno di Ri-Maflow:

RiMaflow, attraverso le sue diverse attività lavorative (la Cooperativa e le botteghe artigiane), le sue attività culturali e la promozione di una rete di economia sociale e popolare Fuorimercato, ha contribuito a dare un volto più solidale e umano alle periferie e alla realtà del territorio del SudOvest milanese, diventando riferimento importante anche a livello internazionale per il riscatto dei settori sociali più deboli.

L’inchiesta in cui è stata coinvolta con l’accusa di associazione a delinquere è paradossale proprio per il profondo valore etico e sociale messo in campo dai suoi lavoratori e dalle sue lavoratrici. L’indagine della magistratura non può cancellare tutta la comunità di RiMaflow: la Cooperativa deve tornare a vivere e il suo legale rappresentante tornare subito in libertà!

Facciamo arrivare la nostra solidarietà a RiMaflow, da tradurre concretamente anche in un immediato sostegno economico per le spese legali e per far fronte al sequestro dei beni, a partire dai conti correnti, che ammonteranno nel tempo a diverse decine di migliaia di euro!

Occorrono:

– DONAZIONI e PRESTITI DI MUTUO SOCCORSO
da versare sul c/c IT93S 05018 01600 000000158008 di Banca Etica intestato Ass. Occupy Maflow.

Vai al sito: Ri-MAFLOW vivrà!