ITALIA

Attacco al centro sociale Tpo. «Ma la solidarietà non si ferma»

Stanotte sono stati bruciati alcuni libri di fronte alla sede del centro sociale Tpo di Bologna. Un gesto che si verifica mentre gli attivisti dello spazio hanno dato vita a numerose iniziative di mutuo aiuto e solidarietà dal basso.

Stanotte a Bologna ha piovuto. Un temporale di poche ore che, per fortuna, ha impedito alle fiamme davanti al cancello del centro sociale Tpo di via Casarini (al confine fra i quartieri Porto e Navile) di divampare ulteriormente. Questa mattina, infatti, lo spazio autogestito ha trovato presso l’ingresso della propria sede un cumulo di libri bruciati. «Un probabile tentativo di intimidazione», affermano gli attivisti dello realtà autorganizzata. «È ancora presto per capirle se si tratti di un gesto con precise finalità politiche oppure semplicemente legato a dinamiche di quartiere. Di certo, non ci impensierisce e non ci ferma».

Tpo, l’associazione YaBasta e il gruppo di LàBas (centro sociale che fino allo sgombero dell’agosto di due anni fa “aveva casa” nell’ex-Caserma Mazzini) hanno avviato dall’inizio dell’emergenza Covid-19 una serie di iniziative di mutualismo e solidarietà. Grazie all’impegno di attivisti e attiviste, volontari e volontarie, sono state create delle Brigate di Mutuo Soccorso, è stata organizzata una raccolta di generi alimentari e si è costituito uno sportello di consulenza sanitaria e psicologica che si occupa di rendere accessibili a tutti informazioni essenziali: un insieme di azioni e interventi che coinvolge a vario grado più di un centinaio di persone.

 

«Da quando è scoppiata l’epidemia, abbiamo provato a “re-inventarci” come collettivo e a rimodulare le nostre azioni sul territorio», raccontano dal Tpo.

 

«Eravamo già presenti con numerose pratiche di mutualismo e solidarietà che, però, dovevano essere adattate all’emergenza e alle sopraggiunte esigenze degli abitanti del quartiere che scoprivamo mano a mano». Come fossero una serie di “fasi” successive ad anticipare l’evoluzione della crisi, gli attivisti e attivisti dello spazio hanno di volta in volta ideato e fatto nascere progetti differenti. Da una parte, infatti, sono continuate alcune azioni che o già si svolgevano per via telematica, come gli sportelli telefonici di aiuto e consulenza per migranti, oppure si sono potute parzialmente trasferire on-line, come le attività di doposcuola legate al progetto ludico-educativo LàBimbi.

Dall’altra parte, sono state immaginate differenti modalità di intervento che in primo luogo sono state rappresentate dalle staffette alimentari, sostenute da una campagna di crowdfunding che ha raccolto oltre 20.000 euro, e da uno sportello di sostegno e aiuto telefonico maggiormente incentrato sugli aspetti sanitari dell’emergenza in corso, che ha ricevuto ormai migliaia di richieste di supporto, per poi arrivare alla costituzione dei gruppi autorganizzati rappresentati dalle Brigate di Mutuo Aiuto.

 

«È un processo in continua evoluzione», spiegano dal Tpo. «Non si tratta semplicemente di predisporre generi di prima necessità per chi ha bisogno, ma anche di svolgere una vera e propria attività di “inchiesta” sul territorio per scoprire quali siano le reali esigenze degli abitanti.

 

Un esempio molto semplice: attraverso le relazioni avviate con il doposcuola, si è capito fin da dall’inizio dell’emergenza che per tante famiglie era difficile adattarsi alla didattica a distanza data la mancanza di un’adeguata strumentazione. Ecco che così è nata anche la raccolta di dispositivi tecnologici per ovviare a questo problema».

 

 

Indagine sul territorio che – se ci si sposta sul fronte del lavoro – diventa molte volte protesta e rivendicazione. I sindacati di base, infatti, hanno nel frattempo portato avanti numerosi percorsi di mobilitazione per la tutela delle fasce più precarizzate e a più a rischio. Settimana scorsa, per esempio, si è svolta una manifestazione sotto la sede bolognese dell’Inps per richiedere lo sblocco immediato degli ammortizzatori sociali mentre l’8 maggio si era svolto un presidio alla sede della Regione Emilia-Romagna che raccoglieva le istanze di figure poco tutelate come educatori sociali, rider e facchini dello spettacolo e della logistica. «L’emergenza sanitaria ha fatto sì che si ampliassero i divari sociali preesistenti», proseguono gli attivisti del Tpo.

 

«I volontari legati la nostro spazio sono attivi soprattutto in vicinanza del centro sociale, in una “mezzaluna” che interessa le parte del quartiere Bolognina e i caseggiati popolari attorno a via Bovi Campeggi.

 

È naturale, visto che realtà come la nostra nascono anche nelle zone di maggior “bisogno”, ma si tratta anche di una scelta che stiamo cercando di portare avanti orientando le nostre iniziative su principi di prossimità geografica e relazionale per alimentare dinamiche di mutuo aiuto e di solidarietà di quartiere».

Giova forse ricordare il contesto in cui si svolge tutto ciò: dal 9 ottobre 2015, giorno in cui venne messo in atto lo sgombero dello storico centro sociale di Porta Santo Stefano “Atlantide”, la giunta Merola si è resa protagonista di un progressivo smantellamento della rete di spazi autogestiti nel capoluogo emiliano-romagnolo, che passa per l’ex-sede di “Crash”, il già citato “LàBas” fino ad arrivare alla (doppia) chiusura di “Xm24” durante lo scorso anno. Nella pubblicazione A che punto è la città? edita dalla rivista di educazione e intervento sociale “Gli Asini”, si diceva che a Bologna era stato messo in atto «lo smantellamento sistematico di ogni forma di organizzazione autonoma, uno smantellamento che non disdegna il ricorso alla violenza, giustificato [dalla] retorica ossessiva [della] legalità».

 

Per gli attivisti e le attiviste di Tpo, YaBasta e LàBas e per i volontari e le volontarie che si stanno gradualmente unendo alle brigate e ai progetti di mutuo aiuto diventa dunque cruciale capire come muoversi in una tale situazione.

 

«La nostra intenzione non è certo quella di coprire dei “buchi” lasciati dall’amministrazione o dalle istituzioni», concludono dal Tpo ribadendo una visione espressa anche in un articolo recentemente uscito per “Redattore Sociale”. «Siamo di fronte a due grandi sfide: da una parte, proseguire il lavoro di indagine, mutualismo e rivendicazioni sul territorio per costruire una sorta di “contro-potere di quartiere”; dall’altra, innescare dinamiche di scambio fra l’impegno nostro di militanti e il coinvolgimento attivo di persone con cui stabiliamo una relazione. Si tratta di strutturare i vari interventi di modo che possano essere autonomi e sostenibili. Si tratta, infine, di costruire delle “nuove società solidali”, a partire dai bisogni e dalle esigenze che incontriamo di volta in volta».

Tutte le immagini dalla pagina Facebook di Tpo