MONDO

Asgi: «Le missioni umanitarie in Libia sono inutili»

La risposta semplicista dell’Unhcr a chi sta protestando davanti agli uffici dell’Alto Commissariato a Tripoli pone interrogativi più generali sull’accordo Italia-Libia. Ne abbiamo parlato con l’avvocata Giulia Crescini

Alle richieste di rifugiati e richiedenti asilo che da oltre due settimane protestano nei pressi della sede Unhcr di Tripoli (qui per approfondire), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite non ha saputo opporre che un laconico comunicato in cui si afferma che tutte le attività di evacuazione dal paese sono «sospese». A parte questo – come denunciano i manifestanti stessi dal profilo Twitter di Refugees in Lybia – né il capo missione Jean Paul Cavaliere né la portavoce Caroline Gluck si sono espressi sulla vicenda. Ma quale può essere in questo momento il ruolo delle organizzazioni non governative e internazionali in un contesto complicato come quello del paese magrebino? Lo abbiamo chiesto all’avvocata Giulia Crescini dell’Asgi-Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione.

Come commenti il comportamento dell’Unhcr?

L’atteggiamento dell’Unhcr in questo caso si pone in perfetta continuità con le direttrici di fonde dell’intervento umanitario che è stato posto in essere in Libia ormai da alcuni anni e soprattutto a partire dal memorandum Italia-Libia. Fondamentalmente, le organizzazioni non governative e internazionali fungono da scudo o da “foglia di fico” per le politiche governative di esternalizzazione delle frontiere. Quindi, nel momento in cui “salta” la collaborazione con le autorità libiche perché queste ultime “alzano il prezzo” di una tale collaborazione, semplicemente smettono di funzionare portando a galla quella che è la reale situazione nel paese e buttandola in faccia alla società civile e ai governi. Dalla Libia non si fugge, non si esce, perché c’è un blocco impermeabile che è quello che è stato posto in essere dai governi e dalla Commissione Europea.

La risposta “semplicistica” dell’Unhcr, in cui si dice in sostanza che l’Alto commissariato delle Nazione Unite non può niente in questo frangente, non fa altro che riportare in luce la situazione di fatto e cioè che l’intervento umanitario in Libia non serve a nulla. È solo una strategia dei governi europei per legittimare delle politiche di blocco, che sono le uniche che funzionano e purtroppo funzionano benissimo.

Non c’è possibilità da parte dell’Unhcr di porre pressione sui governi?

L’Unhcr, l’Oim e le organizzazioni non governative sono i soggetti attuatori del memorandum Italia-Libia. Nella parte in cui si parla della collaborazione con la guardia costiera libica, subito dopo vengono messe in chiaro le attività di cui queste organizzazioni devono farsi carico nei centri di detenzione o all’interno delle comunità libiche. La forma di collaborazione a cui hanno deciso di piegarsi pregiudica a qualsiasi livello un loro intervento effettivo.

In questo momento, dopo più di quattro anni, cosa osserviamo? Le organizzazioni internazionali hanno messo in campo interventi ridicoli che non hanno portato a niente, né da un punto di vista pratico né da un punto di vista politico. Il fatto di essere presenti in Libia e salvare magari mille persone portandole in Rwanda o in Niger ha fatto sì che diventassero nient’altro che strumenti della retorica e della narrativa dei governi: È stato messo in piedi un “teatro umanitario”. Dietro la presunta forza salvifica di mille persone ricollocate non si sa bene dove, si maschera una tragedia che invece coinvolge ormai centinaia di migliaia di persone.

Quindi, in questo momento, l’unica pressione che loro possono fare è chiedere l’interruzione di ogni collaborazione con la Libia, mettendo in discussione il loro stesso ruolo come soggetti umanitari in Libia chiedendo di non essere più i soggetti attuatori di quell’accordo.

Cosa potrebbe fare invece la società civile?

Insisto, secondo me la società civile sia italiana che europea dovrebbe chiedere a queste organizzazioni di interrompere le loro attività. Chiedere anche che venga interrotto anche il modo in cui sono raffigurate. Quello che come associazione continuiamo a ribadire è che alcuni interventi in Libia, come il rafforzamento della guardia costiera, sono possibili solo perché il governo italiano ancora oggi autorappresenta la propria politica in maniera duplice: ci viene detto che con una mano si dà sostegno appunto alla guardia costiera, mentre con l’altra si migliorano le condizioni di vita. Perciò la società civile italiana e chi lavora in Libia dovrebbero chiedere che si interrompa questo legame. Solo a quel punto si può ricominciare a contestare l’intervento che Italia e Unione Europea stanno portando avanti in Libia.

Tornando alla prospettiva delle persone che si trovano ora a protestare davanti all’Unhcr, è chiaro che l’Unhcr non sta facendo niente perché la Libia sta semplicemente alzando il prezzo della loro collaborazione. Nella stessa situazione si è trovata l’Organizzazione Internazionale delle Migrazione. Questo deve farci capire come che la nostra necessità non sia certo quella di avere più posti per i ricollocamenti, perché sono sempre e comunque troppo pochi e lasciati a una discrezionalità immane da parte dell’Unhcr. Va interrotto il blocco, non c’è altra soluzione. Non esiste una terza via.

Tutte le immagini dal profilo Twitter di Refugees in Lybia