OPINIONI

Annotazioni marginali alle catastrofi

Il rapporto di complicata convivenza fra specie umana e natura, all’ombra di una pandemia. Anche nell’ambito del nostro rapporto con l’ambiente, che pur non coincide con i destini della Terra, rischiamo di pagare un conto salato per i danni inflitti

Indispensabile dichiarare il luogo da cui si parla: non da una pretesa di universalità, di contatto virtuale con la Verità, ma dalla posizione di chi è esposto al rischio, per il combinato disposto dell’età e di patologie pregresse. Quelli come me in Lombardia manco li fanno uscire da casa, per non doverli poi stipare in terapia intensiva. Nel resto d’Italia è solo un pressante consiglio. Quindi un po’ prevenuto sono, diciamo pure incazzato. Lo sarebbe pure Baruch, se non fosse finito, tanto più giovane, nel cimitero, vicino alla Nieuwe Kerk di Den Haag, sotto la lapide con scritto “Caute”. Messaggio valido anche per giovani.

Chiarito l’angolo prospettico, veniamo al sodo.

Mi sono sempre rifiutato di usare il sapone antibatterico, non solo perché lievemente irritante per la pelle e contenente nocivo Triclosan, ma perché sono amico dei batteri, esseri viventi mono- e a volte oligo-cellulari con cui io e Baruch condividiamo l’appartenenza alla vita, il comune regno della Natura sive Deus a partire dalla soglia minima di organicità. Come tutti i germi di vita, ce ne sono di buoni e meno buoni (per noi), i semina rerum vitalia nobis che ci fanno bene mentre altri volteggiano apportando malattia e morte – come ricorda il lucreziano De rerum natura, VI 1091-1096. Dipende da come si combinano con le nostre cellule complementari, potenziando o disgregando il nostro organismo, ragion per cui la mia amicizia con i batteri, caldissima per la flora intestinale e quella epidermica, scema assai per gli stafilococchi aurei ospedalieri, i vibrioni colerici e la Yersinia pestis. Li riconosco tuttavia in quanto contesto e parti di un ciclo comune cui partecipo per un periodo solo temporaneo, essendo ogni corpo composto soggetto alla morte, senza che la mente debba farne oggetto prediletto di meditazione. Antibiotici, quando servono strettamente, e fermenti lattici. Disinfettare con parsimonia. Convivere.

Invece i virus non li reggo, sono parassiti opportunisti, sub-cellulari, frammenti di materiale genetico incapsulati, incapaci di vita propria, e assomigliano molto ai capitalisti che estraggono valore da sfere esterne al loro ramo abituale di produzione. I più stupidi, tipo l’Ebolavirus, ammazzano in fretta i loro ospiti-vittime e non riescono a viaggiare e diffondersi, i più astuti come i retrovirus Hiv si impiantano in profondità nei linfociti e agiscono con lentezza, il massimo sono quelli che si presentano in forma relativamente lieve o poco letale ma con alto coefficiente di mutazione e di propagazione del contagio. Cioè lavorano a lungo con salti di specie e vanno pure in pensione grazie al numero e alla longevità degli ospiti infettati.  Pare che il nostro SARS-Cov-2 sia di quella stirpe. Hanno svolto e forse tuttora svolgono un ruolo nell’evoluzione. Oggi sono impiegati in alcune biotecnologie, in terapie geniche e nella guerra batteriologica. Però non mi ispirano troppa solidarietà.

Ritorniamo allora al luogo di enunciazione, a partire da quale prospettiva una cosa è bene o male.

Per uno della mia generazione, al momento, la socialità è un pericolo considerevole. Non voglio estendere questa cautela a tutte le generazioni, almeno nella stessa misura, ma un po’ caute devo comportarmi.

Per il genere umano (che non è un regno separato della Natura e neppure il suo fine ultimo) la convivenza con i batteri è cosa mediamente buona, quella con i virus tutta da dimostrare. Con i primi possiamo convivere e vale senz’altro la proposizione di Angela Balzano che «la salute umana è interrelata a quella di tutte le altre creature terrestri», mentre a livello di coabitazione di specie ho dubbi su «una parentela post-umana virale contro il riscaldamento globale», ammesso che un gruppo di virus (peraltro molto diversi dalla famiglia corona) riescano a ridurre le emissioni di carbonio. Questa argomentazione si colloca a un altro livello da non mescolare, quello dei flussi complessivi delle forme viventi e para-viventi, dato che non è detto che quanto è bene o male per la nostra specie lo sia anche per l’intera natura (altro suggerimento di Baruch). L’asteroide che probabilmente provocò la fine dei dinosauri favorì lo sviluppo dei mammiferi. Ma gli pterodattili se la presero malissimo e così anche noi dobbiamo post-umanizzarci con entusiasmo trattenuto, specie in occasione di un’epidemia che va valutata con criteri medici e politici, strumenti di prevenzione e cura, rischi di immunizzazione securitaria.

Credo che ben più utile sia, invece, riflettere sul rapporto fra questa e future pandemie virali (che tutti gli scienziati prevedono) e il dissesto ecologico provocato dall’homo sapiens: riscaldamento globale, deforestazione, prosciugamento delle aree umide, invasione degli ambiti animali selvatici, monoculture agricole, inquinamento atmosferico e dei terreni, allevamenti intensivi e in genere tutti quei processi che alterano repentinamente gli equilibri naturale, indeboliscono l’organismo umano e favoriscono il salto di specie dei virus. Alcune di queste caratteristiche accomunano Valle padana e Wuhan, fra parentesi.

Anche in questo caso, a essere compromessa non è la Terra in astratto, la natura in genere (che può evolvere anche in altre condizioni atmosferiche e di calore), ma lo scambio della specie umana e forse di altri mammiferi con la Terra e la natura, insomma il nostro rapporto di interrelazione con le altre creature terrestri entro gli equilibri presenti. I virus c’erano prima che si formassero i protozoi e ci saranno dopo che le forme attuali di vita saranno sconvolte (sopravvivranno, sembra, pure i topi vivi cari a Zaia), ma il problema è come sbrigarsela, in larga convivenza, nell’intervallo. Gli over-70 anche a raggio più corto.