PRECARIETÀ

8 dicembre: una prima tappa contro lo sfruttamento nei centri commerciali

Una importante mattinata di lotta, quella che ci ha visto coinvolti stamani presso il centro commerciale Roma Est. Due ore di corteo, picchetti, comunicazione nel più grande tra i mostri di vetrine e cemento della Capitale. Contro il lavoro nei giorni festivi, ma più in generale contro lo sfruttamento perpetrato quotidianamente nei centri commerciali e nelle grandi catene di distribuzione[…] Un primo passo promettente, di cui vale la pena segnalare i tratti più significativi.

In primo luogo l’accoglienza positiva e la disponibilità all’ascolto delle decine e decine di lavoratrici (soprattutto) e lavoratori che la liberalizzazione targata Monti e il contratto nazionale del commercio costringe alla fatica domenicale e nei giorni festivi. Non è la prima volta che organizziamo e partecipiamo a cortei simili, già in passato, prima che le CLAP nascessero, molti di noi hanno animato momenti analoghi. L’accoglienza non era la stessa: in parte la paura, spesso l’ostilità. Dopo oltre un decennio di precarizzazione e sfruttamento, nella consapevolezza che nel centro commerciale non ci si passa soltanto, ma, in assenza di alternative, ci si resta, il clima è cambiato. Chi manifesta, i delegati sindacali, come gli studenti e i precari che si auto-organizzano, non sono più un pericolo o una scocciatura, ma un interlocutore con il quale scambiare due parole, dal quale prendere il volantino, verso il quale provare una certa empatia.

In secondo luogo, ma sicuramente sarà conseguenza della prima novità, la conquista di un tavolo di confronto con il direttore del centro commerciale. Dal tavolo sono usciti solo impegni verbali, nessuna fiducia indubbiamente (!), il solo fatto che ci sia stato, però, segnala che il corteo e la mobilitazione (nazionale, oltre che romana) hanno spaventato.

In terzo luogo l’importanza dell’inchiesta. Durante il corteo e i picchetti, nel confronto diretto con lavoratrici e lavoratori, abbiamo conosciuto di più e meglio le condizioni di sfruttamento imposte nelle grandi catene commerciali. Per chi ha contratti full time, settimane interminabili, in alcuni periodi dell’anno anche di 80 ore. Lo straordinario è un obbligo, perché le paghe sono basse e perché dire ‘no’ significa rischiare il posto. E poi il conta persone all’ingresso, così, se comprano poco, si sa di chi è la colpa. La domenica e i festivi si lavora, e basta. Per non parlare delle pause pipì, sempre meno e sempre più brevi.

Tre motivi per ritenere quella di questa mattina solo una prima tappa. Una tappa cui farne seguire molte altre, per unire ciò che oggi è ancora frammentato e fragile, ricattato e privo di strumenti utili all’autotutela. È il momento di alzare la testa, di pretendere, con forza, diritti dentro e oltre il lavoro, salari dignitosi e reddito di base, welfare e tutele per il lavoro precario.

*Camere del lavoro autonomo e precario