ROMA

Nuova occupazione a Roma: nasce la laboratoria Berta Caceres

Una nuova occupazione a Roma intreccia i temi dell’ecologia politica con il percorso degli spazi autogestiti. Dopo anni di chiusura e sgomberi, si prova a riaprire la strada di un lungo percorso storico nella città

Nasce oggi a Roma la Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres, negli spazi di proprietà della Regione Lazio in via della Caffarella 13, all’ingresso del Parco omonimo provenendo da Via Appia Antica.

Un’occupazione ecologista a Roma è una novità da tanti punti di vista. Anzitutto è una novità tornare a occupare, visto che nella capitale da diversi anni vige una politica di tolleranza zero da parte di questura e prefettura, nei confronti delle occupazioni, abitative o sociali che siano. Perfino un piccolo spazio per il mutuo soccorso nel periodo pandemico è stato immediatamente sgomberato nel settembre del 2020, si trovava a parco Schuster.

Tuttavia è una novità anche il fatto che l’occupazione sia ecologista. Ogni spazio occupato porta con sé caratteristiche specifiche rispetto agli assi tematici su cui vuole lavorare. Siano essi il reddito, i saperi, lo sport popolare, le tematiche di genere. Non si era ancora data, né a Roma né in Italia, un’occupazione che si focalizzasse sulla questione ecologica, anche se la tematica è sempre più al centro dell’attenzione vista l’emergenza climatica in corso.

La laboratoria ecologista autogestita Berta Cáceres fa proprio questa scelta. Dinamopress ha avuto la possibilità di parlare con gli occupanti prima del loro ingresso nello spazio.

Come nasce l’idea della laboratoria?

F. Una grossa componente del collettivo si è conosciuta e sperimentata assieme durante il Climate Camp organizzato dalla Rete Ecosistemica. Altre sono persone che si sono aggiunte nel percorso di riflessione e condivisione che ci ha portato all’occupazione. Il Climate Camp ha dimostrato che la questione ecologica non è solo una preoccupazione delle fasce giovani della popolazione, ma anzi si possono costruire virtuosi spazi di intersezione tra comitati di tutela dell’ambiente e dei beni comuni, movimenti ecologisti transnazionali e attivistə degli spazi sociali di questa città. Il Camp ha dimostrato che possiamo lavorare bene assieme e che c’è urgenza di costruire lotta politica ecologista, perché il tempo per salvare il pianeta dal baratro sta finendo.

R. La Laboratoria è stato il naturale passo successivo, a nostro parere c’era bisogno di uno spazio fisico in cui materializzare la tensione della nostra azione politica. Uno spazio fisico permette aggregazione, socialità, sperimentazione di alternativa, sviluppo di immaginario, innalzamento del livello del conflitto. Essere uno spazio autogestito ti permette di inserirti in un pezzo importante della storia di questa città e di proseguirla aprendo nuovi sentieri. Non a caso nel documento politico fondativo dello spazio citiamo proprio una riflessione fatta da una importante Rete di spazi sociali che anni fa ha lavorato molto per la costruzione dal basso del “comune” a Roma, la Rete per il Diritto alla Città.

Gli spazi però in città sono sotto attacco, come vi ponete rispetto a questo problema?

V. Ne siamo perfettamente consapevoli. Su Esc incombe un debito illegittimo, Communia e Scup sono sotto sgombero per far spazio alla valorizzazione capitalistica dei nostri quartieri. Per non parlare della perdita del Cinema Palazzo che ancora oggi rimane chiuso. Abbiamo deciso di creare la laboratoria anche per queste ragioni, perché la deriva che viviamo è preoccupante e pensiamo sia necessario fermarla con una mossa che vada nella direzione opposta. Non sappiamo oggi cosa accadrà, sappiamo che ha senso fare questa mossa ora. Vogliamo aprire una vertenza politica, la giunta Gualtieri vuole proseguire nel mettere fine all’esperienza dell’autogestione a Roma, oppure ci sono strade diverse percorribili?

L’ecologia a Roma sembra spesso un problema di altrə, cosa ne pensate?

S. Proprio questo è un nerbo scoperto su cui la laboratoria vuole incidere. Roma è una città energivora e distruttrice. Consuma energia prodotta devastando l’area di Civitavecchia, preleva acqua dal reatino in modo incontrollato e vorace e scarica i propri rifiuti indifferenziati al di fuori del raccordo causando disastri ambientali come ad Albano. Sostanzialmente è in atto un meccanismo che permette a chi vive nella capitale di non accorgersi dell’impronta ecologica devastante di una metropoli di 3 milioni di abitanti e obbliga chi vive fuori a pagarne le conseguenze. Vogliamo sovvertire questo meccanismo, mettere in luce che solo ribaltando questa situazione si può cambiare qualcosa ed evidenziare che la responsabilità non è mai dei cittadinə ma è sempre dei politici e delle lobby e clientele da loro tutelate.

Perchè una laboratoria?

J. Questo aspetto per noi è fondamentale e l’abbiamo appreso dalle lotte transfemministe. Si parte da noi stesse, perché il privato è politico, non c’è nessuna battaglia che possa prescindere da questo aspetto. Siamo una laboratoria perché le nostre relazioni sono importanti, così come il modo in cui le viviamo liberandoci dal peso del patriarcato eterocissessita. Siamo una laboratoria perché vogliamo cambiare il mondo, ma anche noi stesse. Non sappiamo dove arriveremo, sappiamo il pezzo di cammino che vogliamo intraprendere, e passo dopo passo scopriremo la strada. Camminare domandando, dicono in Chiapas le zapatiste.

S. Il collegamento tra noi e il movimento transfemminista è poi evidente, e non solo perché lo menzioniamo anche perché le lotte ecologiste e transfemministe sono fortemente connesse e abbiamo scelto di occupare a pochi giorni dall’8 marzo e dedicando lo spazio a Berta Cáceres.

Per chi non la conosce, chi era Berta e perché la scelta di dedicarle lo spazio?

B. Berta Cáceres era una attivista ecologista femminista indigena honduregna. Berta è stata uccisa 6 anni fa, il 3 marzo 2016 dai sicari di una multinazionale spagnola che voleva costruire una diga nei territori indigeni dove Berta era attiva con la sua organizzazione, il COPINH.

Per noi la sua figura è così emblematica e cristallina della lotta contro l’estrattivismo coloniale che vogliamo ispirarci alla sua determinazione, al suo coraggio, alla radicalità integerrima del suo agire. Berta era priva di qualunque privilegio, in quanto era donna, indigena, abitante di un paese, l’Honduras, depradato dalla voracità del capitalismo transnazionale. Per noi Berta è esempio integrale di lotta ecologista ed ecosistemica.

La laboratoria nasce nel pieno di una guerra terribile in Ucraina, come vi ponete rispetto alla situazione in quei territori?

R. La guerra in Ucraina è la riprova dell’urgenza di spazi come questo e di una lotta come la nostra. Le fonti fossili, specialmente il gas, sono un elemento centrale per comprendere quel conflitto. Se non sovvertiamo il potere delle lobby del fossile e non attuiamo una radicale trasformazione del nostro modo di produrre e consumare energia avremo sempre più guerre con un sempre più devastante impatto sull’ambiente.

In che spazio e in che contesto vi collocate?

S, La laboratoria nasce in un edificio parte del tentativo storico dei palazzinari romani di colonizzare un luogo eccezionale quale è il Parco della Caffarella. Villa Greco, questo era in nome originario, è stata acquistata dalla Regione Lazio che ne ha fatto sede del Corpo Forestale e della Protezione Civile. Svuotata dieci anni fa, è stata messa all’asta nel 2018, ma l’asta andò deserta. Ora l’hanno rimessa sul mercato affidandola a Invimit, società di Cassa Depositi e Prestiti, per un’ altra asta. Vogliamo impedirlo. E’ inaccettabile che un edificio pubblico di questo valore in questo contesto straordinario venga venduto all’interesse e al profitto del privato. Siamo in un Parco che le lotte di comitati hanno progressivamente restituito ai cittadinə. Continuiamo per questa strada, non possiamo tornare indietro.

Per casualità, il MITE è a poche centinaia di metri da qui

G. E’ una casualità che è ricca di implicazioni per noi. Non siamo solo nemiche di Cingolani, della sua arroganza, del suo legame con le élite capitaliste più potenti del paese, del suo paternalismo sessista, del suo disprezzo verso l’attivismo ecologista. Non siamo solo critiche nei confronti dell’operato di quel Ministero. Siamo contro il concetto stesso di Transizione Ecologica, perché implica attuare modifiche caute e programmate che non cambiano il sistema e perpetuano le condizioni di ingiustizia, accumulazione di potere, sfruttamento e devastazione. Abbiamo bisogno di una Rivoluzione Ecologica, non di una Transizione, che sovverta le regole del sistema, che metta in discussione il potere, che ripensi il modo di rapportarsi con la natura e il pianeta e il concetto stesso di democrazia e partecipazione.

Domenica 6 marzo incontrerete probabilmente l’ostilità delle forze dell’ordine e delle istituzioni, come vi porrete davanti a loro?

V. Resisteremo fino alla fine con gli strumenti della resistenza passiva. Nel frattempo vogliamo porre un problema politico alla Regione Lazio, proprietaria dell’immobile, e al Comune di Roma. Davvero volete sgomberare uno spazio che porterà avanti battaglie ecologiste in un momento di crisi climatica come questo? Davvero la vendita dell’immobile vale uno sgombero di questo tipo? Zingaretti non disse che dedicava la sua vittoria nel PD a Greta Thunberg?

A chi chiederete solidarietà e appoggio?

E. A tutta la cittadinanza che ha a cuore il destino del pianeta, a chi attraversa ogni giorno questo parco e lo vuole per tuttə, ai comitati che hanno difeso negli anni la Caffarella, agli spazi sociali, ai movimenti che si stanno liberando dal torpore in cui ci siamo chiusə nei due provanti anni pandemici. Manca poco alla primavera, vogliamo sia una primavera di lotte e di battaglie,

Qui il documento politico fondativo della Laboratoria