ITALIA

Nuovo fermo amministrativo per la Sea-Watch 3

La nave umanitaria bloccata nel porto siciliano di Augusta dopo un controllo della Guardia costiera. Nell’ultima missione ha soccorso 453 persone

La Sea-Watch 3 è nuovamente in stato di fermo amministrativo. Questa mattina alle 10 l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera di Augusta ha comunicato la fine della quarantena, dopo 16 giorni (sedici). L’equipaggio non ha avuto neanche il tempo di abbassare la bandiera gialla: sulla banchina c’erano già due ufficiali della Guardia costiera per l’ennesimo «controllo dello stato di approdo» (Port state control).

Questo tipo di ispezioni avvengono con cadenza regolare sulle navi di ogni tipo, al fine di assicurare la sicurezza della navigazione.

 

Per le Ong attive nel Mediterraneo centrale, però, sono diventate quasi un appuntamento fisso al termine di ogni missione. In particolare per quelle che battono bandiera tedesca.

 

La Guardia costiera ha diffuso un comunicato in cui afferma che l’unexpected factor che ha portato al controllo straordinario è da riferire alla «mancata effettuazione da parte dell’unità delle preventive comunicazioni di ingresso nel porto di Augusta relative alla “sicurezza marittima” e al conferimento dei rifiuti generati nel corso dell’ultimo periodo di navigazione».

L’ispezione è durata dalle 10.30 alle 20. Poi la comunicazione: Sea-Watch 3 è detenuta. Si tratta del terzo fermo in meno di due anni, probabilmente un record assoluto, sicuramente per una nave che ha la Germania come stato di bandiera, uno dei paesi più affidabili dal punto di vista della sicurezza marittima.

 

Il primo sequestro, penale e amministrativo, risale a giugno 2019 dopo la missione di Carola Rackete. Erano i tempi del primo governo Conte e dei «porti chiusi» del ministro dell’Interno Salvini.

 

La misura fu revocata tre mesi dopo dalla procura di Agrigento, mentre pian piano cadeva anche il piano accusatorio contro Rackete. A dicembre dello stesso anno la nave fu liberata anche dai vincoli amministrativi, che persistevano sulla base al «decreto sicurezza bis».

Con il cambio di maggioranza, da gialloverde a giallorossa, sono cambiate anche le motivazioni dei blocchi, ma il risultato è rimasto lo stesso. A luglio 2020, in carica il governo Pd-5Stelle, il fermo amministrativo è arrivato in seguito a un’ispezione analoga a quella odierna (grazie a questa nuova strategia il secondo esecutivo guidato da Conte è riuscito a trattenere in porto più navi del primo).

 

Una volta risolte la maggior parte delle carenze che le erano state contestate, la Sea-Watch 3 ha ottenuto l’autorizzazione a muoversi verso il porto spagnolo di Burriana per sistemare quelle residue.

 

Dopo cinque mesi e mezzo di lavori, e con la luce verde ricevuta sia dallo stato di bandiera che da un «controllo dello stato di approdo» delle autorità spagnole, la nave umanitaria è tornata in mare. È partita il 19 febbraio scorso e nel corso della sua sedicesima missione ha tratto in salvo 363 persone in fuga dalla Libia e ne ha messe in sicurezza altre 90 fino all’arrivo della Guardia costiera italiana. Il 3 marzo è approdata ad Augusta.

Mentre era in navigazione il Tar siciliano ha disposto la sospensione del provvedimento di fermo amministrativo della Sea-Watch 4, la nave sorella della stessa organizzazione, e accolto la posizione della Sea-Watch 3, che era già libera. Il provvedimento è stato emesso in attesa che la Corte di giustizia Ue si pronunci sull’interpretazione della direttiva comunitaria 2009/16/ce che disciplina i poteri di controllo degli Stati di approdo, per capire se le richieste che vengono dall’Italia sono legittime oppure no.

 

Tutta la questione ruota intorno alla mancanza del certificato di categoria Search and rescue (ricerca e soccorso), che secondo la Guardia costiera è necessario per considerare in regola alcune caratteristiche dell’imbarcazione.

 

Il problema è che questo tipo classificazione per le navi civili non esiste né nell’ordinamento italiano, né in quello tedesco. Su questa base il Tar ha liberato entrambe le navi, affermando anche che la tutela della vita umana perseguita dalle missioni umanitarie debba prevalere su altre considerazioni.

Al di là delle questioni tecniche, il provvedimento di oggi, a poche settimane dall’insediamento del premier Draghi, conferma un dato politico: cambiano i governi, ma l’ostilità verso le organizzazioni non governative impegnate nel soccorso in mare rimane identica.

 

Articolo ripreso dal sito de ilmanifesto