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4-3-3 e passa la paura

A caldo sull’esonero del boemo.

Ore 15.00 del 2 febbraio, la decisione è ufficiale: “AS Roma SpA comunica di aver sollevato il signor Zdenek Zeman dall’incarico di allenatore della Prima Squadra”. Fine della storia.

Fine dei giochi, o meglio, fine del gioco.

Ancora una volta, stupidamente, ci si ritrova a constatare che in questo paese il Calcio (moderno) è sempre meno gioco e sempre più business.

Sempre più di casa in aule di tribunale e in centri scommesse che visibile sui campi.

Sempre più contratti tv, orari spezzatino, e rimandi misteriosi che gente alla Stadio.

Il Calcio è affondato. Come ogni altra cosa in questo benedetto e assurdo bel paese.

La parabola di Zeman è esemplare di ciò: schiacciato da se stesso, da un’Utopia, schiacciato come tanti dall’avere un’idea diversa di calcio, di mondo e di vita, in un tempo in cui altre sono le priorità.

Ormai di cosa parliamo quando parliamo di calcio?

Schemi, tattiche, scarpini, palloni, verticalizzazioni e fuorigioco sono passati in secondo piano, ormai si parla di Spot, Stadi di proprietà, Contratti spaziali e relativi mutui delle banche, ConteCam, Sky, Mediaset Premium, etc.

Non si vince per “la gloria” ma per i soldi con cui fare nuovi debiti.

Lo spettacolo non è una partita ma lo scoop su liti e intrallazzi.

Nello specifico la Roma è questo: gli Americani “investono” e la prima cosa che dicono è “Faremo lo Stadio di Proprietà”, per la gioia non dei tifosi ma per quella dei Palazzinari Romani (non so se romanisti) che si leccano i baffi pensando alla quantità dei modi per lucrare offerti dalla oggi “ svuotata” Tor di Valle.

La società è un’entità astratta, una cordata di araldi del finanzcapitalismo della peggior specie, ricchi e opulenti miliardari, che annoiati dal baseball decidono di investire nel “soccer” o meglio decidono di “scommettere” (altra parola troppo legata allo sport) su tutto quello che gli ruota attorno: brand, tournée a Disneyland, sponsor, soldi.

Investire per far girare la macchina dei soldi, speculare dove si può, diventare ricchi spendendo poco.

Creare progetti evanescenti (investiremo sui giovani, lanceremo talenti, l’europa a breve, titoli e coppe) per nascondere i loro interessi e farli affondare subito dando la colpa ad una piazza, difficile senza dubbio, come quella di Roma creando cosi aspettative puntualmente smentite e sostituite da nuove più fresche, cercandone sempre una più “in”: la revolucion di Luis Enrique, Zemanlandia, Blanc… il consumismo dell’aspettativa.

Si vuole investire sui giovani ma non c’è tempo per aspettare… la stessa storia dei cercasi commessi di massimo 25 anni, necessaria esperienza.

Si vince con i Top Player… vince quindi chi ha i soldi… non conta come giochi, conta quanto spendi.

Il mister era convinto che con chiunque si può fare calcio, che l’importante è divertire, che si vince, o si perde, giocando e non trincerandosi in calcoli.

Zeman, che a detta di Makkox, ci ha insegnato che si vince nel desiderio e non nella paura. Il desiderio di andare sempre avanti, di non temere una ripartenza avversaria (quest’anno forse troppo beffarde), di attaccare novanta minuti. Perché è lì che sta il gioco ed è li che il sudore diventa spettacolo.

Puoi essere il più blasonato o un giovane sconosciuto, se giochi o meno dipende da come ti alleni bene e non dallo sponsor ti sostiene.

Zeman non è un santo, sbaglia e ha sbagliato ma ci ha provato. Ci ha mostrato che un calcio diverso era possibile.

Ci lascia un po’ più soli con le nostre idee ad aspettare che il vento cambi, con un po’ meno di fiducia ma con un sogno: nella vita e in tutto il resto 4-3-3 e passa la paura.