ITALIA

Verso il 22 ottobre: «rompere la frattura tra diritti civili e sociali, per convergere»

Intervista a Enrico Gullo e Renato Busarello di Stati Genderali verso la manifestazione del 22 ottobre a Bologna e su possibili intersezioni tra classe e genere nell’Italia del neofondamentalismo

Il 19 agosto è stato pubblicato un documento congiunto di Stati Genderali LGBTQIA+ Disability e Collettivo di Fabbrica GKN che delinea una possibile strategia politica di intersezione tra le lotte queer e quelle sociali ed ecologiste del collettivo di fabbrica fiorentino. Qual è il percorso che ha portato a questo documento?

Enrico: Più che delineare una strategia, il documento registra la tappa di un percorso. La relazione tra il Collettivo di fabbrica GKN/Insorgiamo e gli Stati Genderali era partita in vista del secondo appuntamento di Stati Genderali a Bologna il 14 e 15 maggio, che avveniva in contemporanea a un’assemblea nazionale lanciata da Insorgiamo. Abbiamo deciso di incrociare i percorsi mandando rispettivamente una delegazione all’assemblea dell’altra realtà. Era iniziata come uno scambio di cortesie ed è finita con un confronto serrato a colpi di assemblee online, in particolare attraverso il Tavolo Lavoro di Stati Genderali. Quel documento registra un punto a cui eravamo arrivat*, cercando di indicare una direzione. Non sappiamo ancora se è una strategia, sicuramente è una… convergenza. Di metodo, sicuramente.

Renato: Concordo sul fatto che sia anzitutto un posizionamento, un punto di partenza, da qui si può aprire un percorso. La tappa bolognese del 22 ottobre nasce similmente: un modo per provare a convergere e lottare assieme. Il metodo comune dovrebbe essere posizionarsi, situarsi accanto ad altre soggettività e lì capire cosa si riesce a condividere evitando quindi di fare una sintesi a priori di quello che dovrebbe essere comune a livello teorico. La fusione a freddo non funziona. Ci sono sicuramente punti di intersezione e si vedrà, nello stare vicino, a cosa porterà e se ci sarà un avanzamento delle lotte comuni.

Nel documento scrivete «Con questa dichiarazione bandiamo ogni contrapposizione formale tra lotta per i diritti civili e quella per i diritti sociali. La lotta per i diritti civili unifica e libera la radicalità della classe. La radicalità della lotta di classe rende i diritti civili veramente universali» eppure quella contrapposizione è ancora molto radicata nella società e nella politica italiana. Quali crepe si possono aprire per riuscire ad allargare lo spazio di intersezione tra queste lotte e cosa avete appreso dal percorso finora compiuto dalla coalizione Stati Genderali?

Enrico: Dal punto di vista del Tavolo Lavoro di Stati Genderali, il modo migliore per far vedere la strumentalità di questa contrapposizione è verificare l’impatto dei diritti civili sul luogo di lavoro – il posto par excellence in cui ci si aspetta di trovare i diritti sociali. Si verifica facilmente che le leggi antidiscriminazione sul luogo di lavoro esistono ma sono monche, specialmente rispetto alle soggettività trans*, e che gli effetti della non equivalenza delle unioni civili in matrimonio si vedono nelle procedure sindacali estenuanti per dimostrare che sì, il testo di legge prevede le stesse tutele lavorative per le unioni civili. Sembrano tecnicismi, ma è la differenza che corre tra la vita e la morte di una donna trans di fronte al mobbing sul luogo di lavoro. Tuttavia quando si tocca questo livello di concretezza, la classe lavoratrice risponde spesso meglio del movimento organizzato e del dibattito politico.

Renato: Credo sia fondamentale cercare di decostruire questa falsa contrapposizione che spesso relega le rivendicazioni lgbtqia+ a una dimensione secondaria o non sufficientemente importante rispetto alla materialità delle lotte e alla condizione economica e sociale. Al contrario vogliamo affermare che anche noi siamo lavoratrici inquinate e oppresse che vivono la stessa materialità della vita degli altr*. In questo modo si può vedere la discriminazione rispetto ai diritti civili come un momento ulteriore rispetto ad una gerarchizzazione e una violenza già subite invece di vederle come qualcosa di astratto o formale. Fondamentale è pertanto leggere le discriminazioni lgbtqia+, che solo apparentemente sono sovrastrutturali, nella loro alla ricaduta materiale e al peso concreto che hanno nella vita delle persone, nei luoghi di lavoro, nella scuola, nelle università.

La grafica del documento congiunto con GKN ricorda la lotta del gruppo inglese “Lesbians and Gays Support the Miners” raccontata nel film Pride. C’è qualcosa di quella esperienza straordinaria di 40 anni fa che può essere un insegnamento utile oggi?

Enrico: Sì, ricordarsi che anche il collettivo di LGSM era un collettivo di lavoratori, e di militanti comunisti! Prima ancora che una convergenza di carattere ideologico o culturale, la convergenza si realizzava sul terreno dell’appartenenza di classe. Non che non esistesse l’omofobia, nella working class stessa o nelle strutture di partito a cui i membri di LGSM afferivano, ma l’esercizio dell’autonomia della propria lotta nella considerazione di una più ampia appartenenza di classe ha consentito un dialogo sano. E non è mica detto che abbiano sradicato l’omofobia tutta di un colpo.

Renato: Ritengo il ricordo di quella lotta calzante per il dibattito che si sta facendo a Bologna. Le realtà transfemministe queer si confrontano con questa dimensione molto allargata di mobilitazione e c’è la paura di vedere messe in discussione le pratiche che abbiamo sperimentato in questi ultimi anni. Sono pratiche e modalità di azione e decisionali che non sempre sono condivise da movimenti esterni al transfemminismo. C’è pure la paura di essere relativizzate ed essere percepite come una questione tra le tante tematiche in gioco. Io credo che invece dentro Smaschieramenti ma anche il Rivolta Pride l’approccio sia stato «andiamo e ci mettiamo in gioco, facciamo capire che non siamo un fuori e che le questioni che portiamo sono materiali e basilari per le vite non solo nostre ma di tutt*». Questo ha molto a che vedere con il modo in cui nella Gran Bretagna degli anni ‘80 si sono incontrati minatori e movimento lgbtqi+. I minatori erano maschi etero nati in una cultura rurale patriarcale, non erano così per essenza ma per contesto vissuto e privazione di strumenti. Lottare insieme è un modo per riconoscersi, stare vicin* e in questo modo, un passo alla volta, trasformarsi reciprocamente. Accadde in quella occasione, vogliamo che accada ancora.

Come rete Stati Genderali LGBTQIA+ Disability, in che forma parteciperete al corteo di sabato 22 ottobre e quale discussione c’è stata attorno alla piattaforma di convocazione?

Enrico: Una delle questioni è che Stati Genderali è una rete e uno spazio d’incontro, più che un vero e proprio soggetto. La redazione del documento congiunto con il Collettivo di fabbrica è stata ratificata da un’assemblea nazionale e sostenuta da un percorso continuativo e relativamente autonomo – quello del Tavolo Lavoro Stati Genderali – mentre la data del 22 ottobre non è stata discussa all’interno della rete nazionale più ampia. Certo ci sarà una partecipazione attiva delle realtà queer bolognesi che animano Stati Genderali, nella veste di Rivolta Pride.

Renato: La discussione è nata a partire dalla piattaforma scritta assieme, ci siamo confrontate a settembre con questa interpellazione. L’occasione della manifestazione ha dato i primi momenti di incontro preparatori, che sono tre 15, 20 e 21 ottobre.  Siamo coinvolte nella costruzione degli interventi come Smaschieramenti e Rivolta Pride e metteremo a valore cosa voglia dire convergere, senza dare per scontato che ci sia la convergenza ma ribadendo che va costruita come processo. Il primo è stato un incontro su guerra e crisi climatica, il secondo su Lavoro Riproduttivo, e il terzo su Lavoro/Salario/Redditto come spazio di conflitto. Durante gli incontri su questi tre focus elaboreremo i vissuti di ciascun* per metterli in condivisione.

In quale forma le lotte queer possono allearsi alla lotta ecologista nel drammatico contesto di crisi climatica ed ecosistemica che stiamo attraversando e quale valore aggiunto possono apportare?

Enrico: Dalle lotte ecologiste mi sento chiamato in causa in quanto persona che abita questo pianeta e le città predatorie che la civiltà ha costruito; respiro come tutte le persone cis-etero e vorrei avere dei rapporti di maggiore cura e interrelazione con le altre specie viventi, perché so che ne va della mia e della loro vita. I danni ambientali sono provocati, complessivamente, dallo stesso sistema che usa il rapporto salariale per sfruttarci, la divisione di genere e razzializzata del lavoro per disciplinarci, discriminarci e separarci dal resto della classe. Se stiamo cercando un senso alle nostre lotte e al tentativo di intersecarle e farle convergere, penso che non sia molto più che questo. Se stiamo cercando una strategia, è tutta da costruire. Certo recuperare il punto di leva preferenziale non sarebbe male per iniziare.

Renato: Siamo colpite in quanto persone che abitano il pianeta della crisi ecologica. Siamo anche soggetti che hanno da tempo messo in discussione i pilastri su cui si basa questa forma di sfruttamento del pianeta a partire da come abbiamo letto quello sfruttamento in analogia ad altre forme di sfruttamento e gerarchizzazione vissute direttamente sui nostri corpi. Ci portiamo dietro tutto il portato del transfemminismo nell’essere ecologiste. Quello che stiamo cercando di fare nel nostro lavoro locale come Smaschieramenti è leggere questa genealogia e la nostra storia alla luce delle lotte del presente. Abbiamo costruito un laboratorio in cui si sperimentano, a partire dalle forme di relazioni di cura queer, quali pratiche sociali alternative possiamo mettere in campo e praticare per trasformare il presente e confrontarci con l’attualità che sta mettendo in forte crisi la nostra vita. Ormai la crisi è così profonda che travolge chiunque, anche chi non voleva vederla. La guerra, la crisi delle materie prime e la crisi climatica sono ormai onnipervasive. Stiamo arrivando a toccare il limite strutturale di questo sistema di sviluppo e sfruttamento del pianeta e delle altre specie.

In molt* credono che il campo dei diritti civili sarà uno di quelli che il governo Meloni userà maggiormente per connotarsi come forza reazionaria e conservatrice. Siete di questa opinione anche voi? Se si quali immaginate possano essere dei percorsi di azione politica queer in questo contesto?

Enrico:Sul piano discorsivo quel campo è stato uno dei suoi obiettivi polemici principali per tutta la campagna elettorale. Una parte di ProVita e Famiglia e del movimento ProVita più in generale sicuramente ha spostato le proprie aspettative dalla Lega a Fratelli d’Italia, fra l’altro in modo tutto sommato conforme alla dialettica interna alle destre italiane consolidata da almeno dieci anni. È presumibile aspettarsi mosse in questo senso nei prossimi mesi: è emblematica la protesta verso la strategia quinquennale europea – poche briciole, lo sbraitare di Meloni è puramente strumentale. La strategia esisteva già ed è blanda e conservativa quanto le precedenti. Il prossimo appuntamento di Stati Genderali dovrà per necessità essere dedicato anche a questo. L’analisi che ormai dovremmo aver condiviso tra tutt* è che non c’è guerra politica a questo governo che non passi dall’uscita del nostro particulare e dalla sua messa a frutto in una lotta più ampia. Di classe, speriamo.

Renato: Stiamo cercando di andare oltre la controproducente partizione binaria tra la versione neoliberale della diversity and inclusion e la versione neofondamentalista della estrema destra al governo ora. Da un lato la versione neoliberale della diversity and inclusion si trasforma in una pioggia di soldi data ai padroni per fare formazione sulla diversity, dimenticando che all’interno del mondo neoliberale quelle politiche non sono finalizzate a riconoscere la diversità ma a poter estrarre maggior valore da essa. Dall’altro lato c’è ora la faccia neofondamentalista di Meloni. È urgente attaccare questi nemici comuni proprio a partire dal rifiuto della separazione tra diritti civili e diritti sociali. Nello stesso modo in cui abbiamo sempre denunciato come insufficiente la versione neoliberale dei “diritti”, ugualmente combatteremo ora la faccia più spietata del sistema che nega la possibilità di più generi, di altre forme di sessualità, di affettività. Fare un fronte comune è necessario perché abbiamo visto in questi anni quanto il centro sinistra si sia caratterizzato sui diritti civili in modo incerto, poco convincente, nel frattempo mantenendo la stessa impostazione economica che produce sfruttamento. Il governo che ha fatto la legge per le unioni civili è lo stesso del Jobs Act. Immaginiamo che Meloni avrà politiche economiche analoghe ai governi precedenti ma con una facciata più razzista, familista, no gender.

Abbiamo sempre detto che sono due facce della stessa medaglia, una feroce e una inclusiva: dobbiamo combatterle come sistema. Se il nostro obiettivo è fermare questa macchina feroce che distrugge le nostre vite e il pianeta, cioè il capitalismo alleato con il patriarcato e con altre forme di razzializzazione e di gerarchizzazione tra le vite, vederne la faccia più inclusiva o quella più feroce può cambiare anche molto a livello di vivibilità, ma a livello strutturale non cambia nulla. In una visione bipartita dei diritti non viene mai toccata la struttura di questa violenza e di questo sfruttamento ed è proprio contro quella struttura e quel sistema che va costruita la convergenza tra soggettività lgbtqi+ ed altre soggettività di classe. Non vuol dire che andremo in una categoria che cancella tutto, ovviamente,  siamo consapevoli che accediamo ad una convergenza solo dopo un lavoro svolto con una lente di genere e transfermminista che può trasformare la lotta di classe in qualcosa altro. Questo il centro del ragionamento che si sta vivendo verso il 22 e oltre.

Foto di copertina Wikimedia commons