MONDO
Argentina 2001, un processo che guarda al futuro

Dodici anni dopo la rivolta che ha cambiato il paese, inizia il processo nei confronti dei poliziotti e delle alte cariche governative. Un processo che riguarda il 2001 ma chiama in causa l’attualità, aprendo spazi di riflessione sul ruolo e le responsabilità dello stato […] rispetto alla repressione alla gestione complessiva dell’ordine pubblico. Gli imputati sono accusati di essere i responsabili di cinque omicidi e decine di tentati omicidi – 117 manifestanti colpiti da armi da fuoco – durante le giornate del 19 e 20 dicembre 2001 a Buenos Aires. Un evento inedito, non solo in Argentina, utile per una riflessione che richiama la gestione dei processi relativi al G8 genovese e non solo, in cui l’impunità poliziesca e della catena di comando non è mai stata intaccata
Il processo principale, scrive la vaca.org, coinvolge responsabili del potere politico e alte cariche della polizia, configurandosi come un processo inedito per la giustizia argentina, mentre altri processi paralleli vedono 11 poliziotti imputati in quanto autori materiali dei fatti. E’ infatti la prima volta nella storia argentina che si portano a processo dei responsabili politici per fatti legati alla repressione violenta dei movimenti sociali. Vi sono oltre 550 testimoni per un processo che prevede due udienze settimanali (mercoledì e venerdì dalle 9alle 17) durante tutto il 2014 e i primi mesi del prossimo anno.
Il direttore del Centro di studi legali e Sociali (CELS), Gastòn Chillier, ha dichiarato ai microfoni de La Vaca che si “cerca di giudicare i responsabili politici, la catena di comando” perché non solo vanno giudicati gli esecutori materiali, chi ha premuto il grilletto insomma, ma anche i mandanti politici hanno una responsabilità penale. Unico grande responsabile politico a non salire sul banco degli imputati, anche se i familiari delle vittime e i movimenti denunciano con fermezza le sue responsabilità, è l’ex presidente Fernando De La Rua, famoso per essere fuggito in elicottero durante le rivolte del 2001. Proprio gli omicidi di cui gli imputati vengono accusati avvennero tra le 16 e le 16.30 del 20 dicembre, periodo di tempo che coincide con la trasmissione di un messaggio a reti unificate del presidente De La Rua, che oscurò a livello mediatico la repressione di piazza che stava avvenendo in quegli stessi momenti.
La strategia che mira a chiamare in causa le responsabilità penali dei pubblici funzionari – le alte cariche della polizia e il ministro degli Interni dell’epoca – si basa sulle testimonianze relative alla riunione, tenutasi la notte del 19 dicembre, in cui fu presa la decisione di sgomberare il 20 dicembre “a qualsiasi costo e a qualunque prezzo” Plaza de Mayo, la piazza simbolo delle proteste argentine, antistante al palazzo presidenziale. Secondo l’accusa è questo l’atto politico che ha dato inizio alla durissima repressione poliziesca che causò oltre trenta morti in tutto il paese.
Se da una parte è sotto accusa la gestione stessa dell’ordine pubblico, che ha causato morti e feriti in diversi punti della metropoli bonarense, dall’altra compaiono davanti ai giudici gli autori materiali degli spari. Infatti “le accuse più gravi coinvolgono quattro poliziotti accusati di essere autori di omicidio e di tentato omicidio: Carlos José López, Eugenio Figueroa, Roberto Juárez y Orlando Oliveiro, che il 20 dicembre alle 19 sarebbero scesi da tre diverse automobili sparando contro un gruppo di manifestanti che stavano riposando in una piazza”. Altro caso è l’assassinio di Gustavo Benedetto, ucciso da spari provenienti dall’interno della banca HSBC, che vedono imputato per omicidio il capo della sicurezza della banca stessa.
Le Madres de Plaza de Mayo, i familiari delle vittime del 19e 20 dicembre, ma anche familiari dei tanti militanti e attivisti uccisi dalla polizia argentina in questi ultimi dieci anni, si sono presentati in tribunale perché questo possa essere “ un processo che aiuti a far sì che questi fatti non si ripetano”. Alle dichiarazioni degli avvocati difensori, che sostengono l’impossibilità di giudicare i colpevoli in quanto vi sarebbero insufficienze di prove sui singoli atti, risponde l’avvocato dell’accusa Maximiliano Medina che ha così dichiarato a lavaca.org: “Vi sono tantissime prove legate alle testimonianze, alle perizie, alla verifica incrociata delle telefonate, a documentazioni, video etc che non solo dimostrano le responsabilità di chi ha premuto il grilletto, ma anche di chi ha dato gli ordini a livello politico e poliziesco”.
Seppure il processo chiama in causa i fatti del 2001, il segnale è molto chiaro: si tratta, come sostiene Chillier di un “processo che chiama in causa il ruolo dello stato rispetto alla protesta sociale, le responsabilità della gestione dell’ordine pubblico, il ruolo della società civile rispetto a decisioni illegittime dello stato come la dichiarazione dello stato d’assedio”. Un fatto politico inedito che apre uno spazio di riflessione politica sul ruolo dei funzionari pubblici e sulle responsabilità politiche nella gestione della repressione del conflitto sociale. Un fatto politico che non riguarda solo il 2001, ma chiama in causa lo stato e i vertici della polizia rispetto alla congiuntura particolare che l’Argentina sta attraversando oggi, segnata da proteste crescenti e da un intensificarsi delle tensioni sociali, mentre si contano a decine e decine i casi di sparizione, di omicidi per “grilletto facile” e di morti durante blocchi stradali e manifestazioni sociali, con la consueta ed inaccettabile impunità dei poliziotti e delle bande paramilitari utilizzate nella repressione delle lotte sociali, impunità che, in maniera diversa, attraversa trent’anni di storia argentina, dalla dittatura fino ad oggi
– L’articolo di lavaca.org a cui il presente articolo fa riferimento “19 y 20: un juicio para el futuro”
Qui il breve documentario girato da Amy Lewis su uno dei casi affrontati inquesto processo, ovvero l’omicidio del venticinquenne Gustavo Benedetto, colpito alle spalle ed alla testa, di fronte alla banca HSBC, da colpi di pistola provenienti dall’interno della banca stessa