ROMA
L’importante non è la caduta, è l’arrembaggio
Dopo aver preso parte alla marea transfemminista che ha invaso le strade di Roma il 22 novembre, gli equipaggi di terra si preparano per scendere di nuovo di piazza per lo sciopero generale del 28 novembre e per la manifestazione nazionale per la Palestina del 29 novembre
Siamo salpatə insieme il 22 settembre, seguendo il vento della società civile internazionale che, per la prima volta, si organizza e si mobilita contro i poteri istituzionali ed economici che prosperano diffondendo guerre, assedi e disuguaglianze. Abbiamo attraversato insieme gli oceani del 3 e del 4 Ottobre a Roma e ancora oggi navighiamo unitə verso la stessa meta.
Siamo convinte che le guerre, i genocidi, le disparità economiche e sociali, siano armi nelle mani dello stesso carnefice. Un potere che nel nostro Paese, per mano del nostro governo, attacca i diritti sociali, il lavoro, la cultura, la salute e la cura, la solidarietà, le diversità. Una finanziaria di guerra é l’unica sicurezza che questo governo garantisce senza esitazione.
Per 10 anni ci hanno imposto austerity e tagli alla spesa pubblica come necessari perché “non c’erano i soldi”. Eppure per il riarmo le risorse si trovano (146 miliardi entro il 2035) ed anche subito. Per questo manifestiamo con tutto il nostro dissenso!
Siamo gli Equipaggi di Terra: moltitudine ribelle che si mobilita contro guerra e repressione, contro le politiche colonialiste, imperialiste e di terrore. Il genocidio in Palestina ci ha spalancato gli occhi: le ipocrisie e le menzogne sono sempre più evidenti.
Ipocrisie e menzogne che ritroviamo in una fitta rete di conflitti profondamente interconnessi, sotto il segno di diversi, seppur contigui, assi di oppressione: dei popoli e dei corpi cui è negata l’autodeterminazione, ma anche delle vite sfruttate cui è negata una legittima presa di parola, una piena realizzazione.
Per questo il 15 novembre abbiamo risposto alla chiamata del climate strike, perché il genocidio è anche ecocidio. Per questo siamo scesə in piazza il 22 novembre perché il sionismo è massima espressione della violenza patriarcale e ci vogliamo vive e ci vogliamo libere dal fiume fino al mare! Per questo generalizzeremo lo sciopero del 28 novembre, perché lo sciopero non è di chi lo indice ma di chi decide di praticarlo come strumento di liberazione!
Le nostre radici affondano in questa storia sovversiva: l’esercito di contadini di Munster, i comunardi e le comunarde della Comune di Parigi; il popolo ribelle della Repubblica Romana; i disertori della prima guerra mondiale; le occupanti di terre e fabbriche del biennio rosso, le partigiane e i partigiani contro il fascismo.
Quel testimone oggi vive nei movimenti mondiali transfemministi, nelle comunità autonome zapatiste e quelle del confederalismo democratico in Kurdistan; nelle popolazioni indigene dell’Amazzonia in marcia contro la COP30, nelle lotte delle precarie e precari, nelle mobilitazioni delle e degli studenti per il welfare e la difesa della formazione, nelle proteste delle nuove generazioni contro l’economia fossile. Nella resistenza del popolo palestinese al neocolonialismo occidentale.
Da che parte stare lo sappiamo, ora è il momento di organizzarsi e trasformare il desiderio di un altro mondo possibile in una materiale trasformazione dell’esistente. Siamo realtà diverse, ma proprio questa pluralità è la nostra intelligenza collettiva. Non alziamo bandiere per fare rumore: le alziamo per rendere visibili le fratture e le ingiustizie che ci attraversano, per lasciare un impatto reale, concreto, trasversale.
La copertina è di Milos Skakal
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