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Zoologia fantastica

Il pontificato di Bergoglio si è caratterizzato, soprattutto nell’ultimo triennio, per i suoi tratti profetici e largamente popolari sulla pace, le persone migranti ed escluse. È stato politicamente giusto concordare con lui su questi temi e non su altri

Politica si dice in molti modi. È passione e non solo passione. È calcolo e non solo calcolo. È vittoria e sconfitta. C’è una politica della forza e una politica della debolezza, come c’è una teologia della pienezza e una teologia dello svuotamento, del pléroma e della kénosis. A volte, non sempre e neppure spesso, politica e teologia sono infide sorelle.

La politica si nutre di ideologie ma non obbedisce loro, anzi le smentisce nel momento in cui funziona con successo. In altri termini non è mai un’operazione perfettamente razionale o razionalizzata in coerenza con una determinata ideologia, perché lavora con altre categorie.

Diceva un grande allievo arabo di Aristotele nel X secolo, al-Farabi, che l’Intelletto agente interviene sulla parte razionale dell’anima per produrre concetti e ragionamenti corretti, sulla parte immaginativa per produrre profezia politica e religiosa che fa scattare l’adesione di grandi masse. I profeti, ispirati e combattenti, sono indispensabili per fondare imperi e religioni. I loro successori basta che siano, a calare, fedeli seguaci, bravi generali e corretti amministratori. La congiuntura impone requisiti ogni volta diversi.

Un altro grande allievo di Aristotele, nell’aprile-maggio del 1871, si rese conto che la Comune di Parigi andava verso la catastrofe ma credette giusto sostenerla ed esaltarla, una volta che si era scatenata, perché non dare battaglia era peggio di perderla. La vittoria istantanea non è un criterio né razionale né profetico.

Il pragmatico per eccellenza, Machiavelli, conosceva perfettamente la potenza delle passioni nell’agone politico e sui campi di battaglia. Entrato in Segreteria sulla scia del rovesciamento violento di Savonarola e dei savonaroliani, pur tenendo le distanze dalle loro posture austeritarie e omofobe, ne raccolse, una volta al potere l’essenziale eredità politica istituendo l’Ordinanza, cioè la milizia cittadina e del contado in luogo degli inaffidabili mercenari e, una volta destituito con il ritorno dei Medici, oserà riproporre ai nuovi e ostili padroni l’altro pilastro politico del Frate, il Consiglio grande.

Ma soprattutto nel Principe VI, discorrendo dei principi novi, il Fiorentino elenca promiscuamente, in pieno stile farabiano, fondatori di imperi e di religioni (Moisè, Ciro, Romolo, Teseo e simili) per la loro capacità “profetica” di fondare o rifondare un popolo da elementi dispersi, cogliendo l’occasione del loro stato di crisi per fare valere la propria virtù e introdurre nuovi ordinamenti. Ciò avviene grazie alla disponibilità di truppe proprie e qui si pone la celebre distinzione fra profeti armati che «vinsono» e profeti disarmati che «ruinorono» per non essere riusciti a mantenere con la forza quanto era stato conseguito per spontaneo entusiasmo, come accadde a Savonarola quando i seguaci cessarono di seguirlo e non ebbe più «modo da tenere fermi quelli, che avevano creduto, né a far credere i discredenti». Due diligenti allievi del Segretario fecero tesoro dell’assioma dopo l’incruento successo dell’Ottobre istituendo l’Armata Rossa e la Cekà per p­rendersi cura della controrivoluzione bianca.

Il grande (e raro) agire politico unisce un potenziale tumultuario alla congiuntura favorevole e consolida con l’organizzazione l’impulso profetico. Max Weber, erede di Farabi e di Machiavelli, teorizzò l’alternanza, nella vita degli stati, delle religioni e dei partiti, di fasi “calde”, carismatiche e fortemente personalizzate, e fasi “fredde” e impersonali di amministrazione burocratica di quanto fondato profeticamente, con la possibilità costante di ritorno del carisma quando lo richiedono condizioni di crisi ed esigenze di innovazione.

A volte, in mancanza di queste condizioni attive, può succedere che una forza insufficiente si riconosca in un’altra esperienza profetica, con cui condivide alcuni obiettivi mentre su altri resta in forte contrasto.

Il movimento antagonistico italiano, che negli anni ’60 e ‘70 e carsicamente anche in seguito ha conosciuto una sua fase “profetica”, a volte si è sovrapposto a settori del profetismo cattolico (per esempio al Concilio Vaticano II), in circostanze in cui era più forte ed esercitava egemonia, adesso, e nel momento della sua massima debolezza operativa e teorica, si è trovato a combattere su temi comuni (contro il regime di guerra) o parzialmente tali (la povertà e la diseguaglianza, come ricadute di una sconfitta della lotta di classe), restando in disaccordo su altre questioni che separano inevitabilmente sul piano ideologico (non della legislazione statale) un movimento immanente e materialistico da una religione creazionistica.

Lo spazio esorbitante della comunicazione mediatica e la pseudo-significanza delle personalità sulla scena (un esito globale del declino del ciclo capitalistico e del contemporaneo fallimento degli esperimenti di comunismo e degli assalti sovversivi), congiunto con la mediocrità o il bullismo dei ceti dominanti, soprattutto occidentali, ha lasciato campo libero ai più storici pretendenti al carisma e non desta meraviglia che molti rivoluzionari bastonati si ritrovino nel pit sotto il palco di un Papa, non per condividerne integralmente il discorso, ma per apprezzarne i gesti: pregare nella piazza deserta sferzata dalla pioggia al culmine del Covid, telefonare ogni sera dal letto di agonia al parroco di Gaza, morire sul campo  menzionando fino all’ultimo le persone migranti, sostituire il dress code pontificale con scarpe nere, pantaloni grigi e un poncho. Sul piano della comunicazione simbolica certe cose se le può permettere solo chi un tempo girava sulla sedia gestatoria – che ve lo dico a fare.

La dimensione del simbolo, del gesto che annuncia o rinforza è un caso di soft power che sempre potere è, come la kénosis è pur sempre una teologia – decreazionista o pastorale. L’ammirazione passiva e parziale ne è una forma ancor più debole e la decisione di sincronizzarsi con l’emotività delle masse su un afflato profetico evanescente è ben lontana dai grandi momenti della storia del movimento operaio e rivoluzionario, ma è pur sempre una decisione più concreta del dilaniarsi sul campo largo o sulle Rearm europeo.

Bergoglio non era uno di noi, sia chiaro, ma erano nel giusto quanti si sono riferiti a lui piuttosto che a Picierno o Gentiloni!

E che dire del nuovo Papa, di Leone XIV?

Per ora ben poco si può strologare su scelte ecclesiali (che non ci competono affatto) e indirizzi politici, tutti da vedere. Finora gli aruspici mainstream ci hanno fatto una capa tanta disquisendo di vestiario (la mozzetta!), domicilio vaticano, nome (Leone Magno, XIII, fra’ Leone), frasi isolate e devozioni a icone mariane – e nessuno che ci avesse azzeccato, né prima del voto né dopo. Di sicuro è una soluzione di compromesso e non di stampo profetico, come si conviene a una successione gestita politicamente e non come una primaria del Pd. Se Bergoglio amava sentire l’odore delle pecore, Prevost evoca il leone – e, dati i tranelli curiali, sarà sia lione che golpe.

Più interessante è stato il suo riferimento alla pace «disarmata e disarmante», ciò che comporta l’assunzione del suo promotore come profeta “disarmato” (secondo il canone) ma anche “disarmante”: una categoria originale, che andrebbe decifrata nel suo portato attivistico e non solo istituzionale. Chi viene da Ordini religiosi ha progetti, missioni, non intenti di gestione conservativa. E anche le missioni, come la politica, si dicono in molti modi.

Stay tuned!

Immagine di copertina di Нұрлан Саят (Wikicommons)

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