EUROPA

Turchia: Il ritorno della politica


“Al sana yeni Türkiye!“: “Prenditela la nuova Turchia!” questo era uno dei titoli dei giornali dell’8 giugno, il giorno dopo il voto. Un’invito che riprendeva ironicamente il mantra utilizzato da Erdoğan per questa campagna elettorale “Vota per una nuova Turchia”.

La frase capeggiava sulla prima pagina di Cumhuriyet, il quotidiano per il cui direttore il Presidente Erdoğan in persona aveva evocato l’ergastolo la settimana prima, avendo il giornale pubblicato delle foto che ancora una volta provavano l’aiuto materiale in armi che la Turchia da tempo fornisce alle milizie dell’Isis, con la copertura dei servizi segreti.

La nuova Turchia che è uscita dalle urne non è quella a cui puntava il Presidente: avendo perso la maggioranza assoluta mantenuta per 14 anni, cioè da quando l’AKP, il suo partito, è al potere, ha subito una battuta d’arresto l’ambizione di riformare il sistema parlamentare in chiave presidenziale, cambiamento che gli avrebbe permesso di ritornare sullo scenario politico con un ruolo di primo piano e di concentrare il potere nelle sue mani. Un progetto che era il tema principale di queste elezioni e che ha suscitato profonde discussioni e diffuso malcontento anche fra il suo stesso elettorato che di fatto non lo ha sostenuto fino in fondo.

Inoltre, a rompere le uova nel paniere all’ex premier aspirante capo assoluto, e a portare un significativo rinnovamento dentro uno scenario politico cristallizzato, ha sicuramente contribuito la sfida lanciata e vinta dall’HDP, il partito filo curdo.

Deputati curdi all’interno del parlamento turco non sono una novità: il sistema politico prevede la possibilità di essere eletti come indipendenti, e questo ha fatto si che già da due legislature fosse rappresentata anche questa forza; la grande novità di queste elezioni è stato decidere di correre come lista e superare l’alta soglia di sbarramento del 10%.

Il risultato era imprevedibile, la tensione nei giorni precedenti al voto è salita a causa di arresti, agguati e attentati (il più grave le due esplosioni a Diyarbakir) ai danni dell’HDP, che prefiguravano una strategia della tensione volta a mandare il paese nel caos, ma alla fine, nonostante il consueto bilancio di morti che si verifica in occasione di ogni elezione in Turchia, e anche grazie ai ripetuti richiami alla calma da parte di Selahttin Demirtas, il co-leader dell’HDP, l’atmosfera si è tranquillizzata; il voto si è svolto in maniera regolare e senza intoppi e si è anche caratterizzato per la straordinaria presenza di osservatori provenienti dalla società civile che si sono organizzati per controllare le operazioni di voto e di spoglio.

Lo scrutinio, come è prassi in questo paese, è avvenuto a tempi di record, e già a poche ore dalla chiusura dei seggi era chiaro che la politica turca era entrata in una fase nuova. Una parte del Paese ha mostrato insofferenza nei confronti di Erdoğan e della sua mania di grandezza, ha sanzionato il comportamento ambiguo mostrato durante l’assedio di Kobanı, ha reagito al rallentamento dell’economia ed ha tolto il suo voto all’AKP. Inoltre, nel contempo il laboratorio politico curdo, ha convinto e conquistato quell’elettorato più sensibile alle questioni democratiche, accogliendo istanze ecologiste, femministe, omosessuali, e superando la sua connotazione etnica curda per candidarsi a rappresentare tutte le minoranze.

Di fatto fra gli 80 deputati (su 550) eletti nelle fila dell’HDP, ci sono curdi, armeni, ezidi e suriani, atei ed omosessuali dichiarati, e moltissime donne: in relazione a quest’ultimo aspetto, è proprio grazie all’esempio messo in campo concretamente da diversi anni da quello che era il partito filo curdo BDP, evolutosi nell‘HDP, che anche gli altri partiti turchi sono stati spinti ad aumentare le loro rappresentati donne, e questo rende ora il parlamento turco quello a maggiore presenza femminile di tutta Europa.

A poche ore dalla chiusura dei seggi e quando i risultati non erano ancora definitivi, migliaia di persone si sono riversate nelle strade: ad Istanbul i quartieri a maggioranza curda erano un’esplosione di bandiere, caroselli, fuochi d’artificio, danze e canti. Ma non si è tratta di una vittoria solo dei curdi; questo risultato è anche il portato a lungo termine delle rivolte di Gezi park, il frutto maturo di una nuova richiesta di democrazia che aveva bisogno di sedimentare e diffondersi nella società per confluire in un dato politico.

Non si tratta di una rivoluzione, il partito di Erdoğan gode ancora di un ampio consenso, permangono problemi gravi e profonde lacune democratiche, ed un futuro incerto per questo parlamento, fra coalizioni improbabili ed ipotesi di elezioni anticipate, ma nel frattempo in Turchia si è tornati a fare politica.