MONDO

Olimpíadas para quem? Maschere e paradossi della città olimpica

Un reportage dalle strade di Rio de Janeiro, per raccontare la militarizzazione e la guerra ai poveri dietro la vetrina delle Olimpiadi nella città Carioca.
Olimpiadi in Brasile: debito e violenza contro la popolazione

Praça Mauá, piazza principale del centro di Rio de Janeiro, di fronte alla baia di Guanabara. Un cartello verde e azzurro indica che lí inizia il Boulevard olimpico, un enorme stradone costellato di maxischermi che permettono a chi non puó assistere di persona alle competizioni di seguire quelle che preferisce, dentro di uno scenario appositamente costruito. Come recita il cartello, il boulevard è parte del complesso del “Porto maravilha”, nome con cui si indica l’insieme di opere che hanno portato a una ristrutturazione completa della zona portuaria di Rio. Il retro del cartello, negli stessi colori allegri, esibisce una scritta in lettere capitali: POLICIA MILITAR. Sembra uno scherzo, un atto di protesta per rimarcare la pesante ambiguità che caratterizza queste olimpiadi, salutate dalla stampa nazionale e straniera come la messa in scena del meglio che il Brasile ha dato al mondo (in termini di apertura e rispetto delle differenze), ma realizzate al prezzo della rimozione dalle proprie case di più di 77 mila persone a partire dal 2009, anno in cui la città fu scelta come sede dei giochi (1).

Sembra, ma non è. È la stessa prefettura che ha voluto il cartello, che scopro essere uno dei tanti che marcano posti di polizia, nel centro cittadino. L’accostamento boulevard olimpico/polizia militare sembra completamento naturalizzato, non ha bisogno di nascondersi, è palese. Per qualcuno che, come me, viene qui per la prima volta proprio in questa epoca, è uno spettacolo inquietante. Strade intere bloccate da file di camionette dell’esercito, militari appartenentei a cosí tanti gruppi diversi che ho perso molto presto la velleitá di contarli, tutti armati come per resistere a un assedio…o per compierlo. Un particolare “simpatico” è che una delle molte leggi speciali entrate in vigore in occasione di questi giochi permette a corpi ausiliari cittadini, a cui costituzionalmente non sarebbe permesso portare armi, di avere anche loro le proprie pistole. Sulle t-shirt recano la scritta “Prefeitura presente”.

Eppure la militarizzazione senza paragoni a cui Rio sta essendo sottoposta in questi giorni sembra non stridere con il clima di festa che si vuole creare. Cartelli esibiscono le scritte Porto maravilha e Policia militar una accanto all’altro e colorate con gli stessi colori; dal trenino per salire al Cristo, i turisti salutano amabilmente i militari nascosti nella foresta e i militari rispondono sorridendo a propria volta. Sono armati di mitra che uccidono a distanza di chilometri, ma sono amici. Ci proteggono. Da chi? E soprattutto, chi ci protegge dai protettori?

Camminando per l’imponente boulevard olimpico si possono ammirare splendidi murales che ritraggono volti di indigeni e afrodiscendenti, fotografati da onde di turisti che ammirano lí dipinto il “miracolo brasiliano”, quello di aver costruito uno dei popoli piú meticci e eterogenei della terra, un modello di convivenza tra razze e culture. Queste olimpiadi sono sature di simboli di questa convivenza: dalle molte esibizioni di scuole di samba nel centro, al coro di bambini negri che canta l’inno nazionale nella cerimonia di apertura al Maracanã. Fino alla scelta di fare accendere la torcia olimpica, chiamata “Tocha do Povo”, a un quattordicenne della favela della Mangueira, dichiaratamente scelto perché giovane, “negro” e favelado, ossia il prototipo perfetto di una categoria sociale fortemente stigmatizzata, e sottoposta a un massacro quotidiano e impunito nella cidade maravilhosa. Le favelas stesse sono dappertutto, disegnate sugli scenari degli spettacoli di apertura, sui cartelloni turistici. Una di queste è esibita in modellino dietro la vetrate del Museu di Arte Moderno, davanti al palco concerti, dove si tengono spettacoli che parlano di coscienza negra di fronte a un pubblico di quasi soli bianchi: turisti e classi agiate, il popolo della zona Sud. In quelle vere si organizzano tour, ma solo in quelle “pacificate”; tradotto: quelle in cui la UPP (Unidade de Polícia Pacificadora) è intervenuta rompendo gli equilibri interni, quel tanto da permettere a gruppi organizzati di visitatori amanti dell’avventura di fare un’esperienza “diversa” della città. Ed è così che questi entrano nelle comunidades (2), dove possono fotografare ragazzini negri che giocano a calcio accanto a fognature a cielo aperto, o spiare nelle case delle persone per vedere “come vive un povero”.

Queste olimpiadi sono per il Brasile un banco di prova importantissimo per mostrarsi al mondo intero come paese sviluppato e moderno. Rio de Janeiro, con i suoi paesaggi mozzafiato e le sue spiagge famose, è l’ambientazione perfetta in cui mettere in scena lo spettacolo di un capitalismo solare, meticcio e cordiale, che sa godersi la vita e conciliare la natura più spettacolare e non a misura d’uomo con l’efficienza e il confort dei paesi del nord del mondo. In questa grande pittura carnevalesca ogni cosa ha il suo posto, ogni aspetto potenzialmente conflittuale della società può essere risignificato.

Fino a un certo punto però. O meglio, a un prezzo. All’esultanza per il primo oro del Brasile dato a una donna negra e favelada e ai modellini di favelas sotto teca che recano scritte colorate e inneggianti alla pace si accompagna una guerra quotidiana nelle comunidades, soprattutto quelle localizzate nella zona nord, situata fuori dai circuiti turistici e dove, per questo, si può sparare senza bisogno di mettere il silenziatore. Due di queste, Metrô Mangueira e Vila Autôdromo sono state drasticamente “ridotte” perchè troppo vicine rispettivamente al Maracanã e al Parque olimpíco. In modo simile, ai bellissimi ritratti di indigeni che costeggiano il boulevard olimpico si accompagna la quasi totale rimozione dell’ aldeia indígena accanto al Maracanã, un’occupazione abitativa. Lo stato brasiliano permette a queste persone di partecipare alla narrativa nazionale ma non gli permette di vivere tranquillamente nella città.

A questo si aggiunga che in occasione di queste olimpiadi la mobilità cittadina è stata piegata totalmente ai giochi, con strade intere e linee della metro funzionanti solo per chi è provvisto di un ticket che lo identifica come turista olimpico; che il lavoro svolto in questa gigantesca fabbrica di soldi è – tipicamente – precarizzato e spesso volontario; infine che una repressione feroce si premura di bloccare ogni manifestazione molto prima che possa avvicinarsi agli obiettivi olimpici. Viene da chiedersi qual’è la connessione tra le olipiadi e la cittá: queste sono le olimpiadi di Rio de Janiero o è la cittá di Rio de Janeiro a essere stata sottratta a chi la vive ogni giorno per essere consegnata ai turisti olimpici in tanti pacchetti ricoperti di cellophane?

Mentre cammino per il lungomare di Cobacabana, bellissimo e tirato a lucido, vengo immediatamente identificata come turista e una ragazza mi si avvicina per chiedermi se può farmi alcune domande da parte della prefettura.

– In che parte della città stai alloggiando? Copacabana, Ipanema?

– In realtà São Cristovão, inizio zona Nord.

– Ah, interessante. Dev’essere molto diverso dall’Italia.

– Beh, per alcune cose…

– Cosa pensi della “pulizia sociale” a Rio de Janeiro?

– Che significa “pulizia sociale”?

– No, niente. Pulizia delle strade, comportamento delle persone. Cose così.

– Non saprei. Questa città è profondamente diseguale e, per esempio, l’atteggiamento della prefettura è molto diverso verso chi abita in zona sud e chi in zona nord…

– Sí sí hai ragione. Ma da 1 a 10 quanto daresti?

– Mi sembra un po’ complicato rispondere. Ci sarebbero varie questioni. E poi sinceramente, penso che la prefettura queste cose le dovrebbe chiedere a chi vive questa città per davvero e non ai turisti…

– Sì sì `vero ma quanto daresti da 1 a 10?

– Va be’ dai, metti 5…

– Benvenuti nella città olimpica.

(1) Dati sui costi socili delle olimpiadi si possono trovare in un articolo del collettivo Jogos da exclusão, al link http://www.cartacapital.com.br/sociedade/o-mapa-dos-jogos-da-exclusao.

(2) Altro nome per favelas.