Nazisti a Testaccio

Razzismo e pallone dal trofeo Tim a Roma.

Il calcio estivo, di solito, è cosa poco credibile. Buono per gli incassi pubblicitari e per presentare gli (eventuali) acquisti di giocatori, dati in pasto ai tifosi in astinenza da campionato. Gli atleti, ovviamente, si districano in questi tornei di latta con le gambe imballate e il fiato corto a causa della dura preparazione atletica, utile a immagazzinare benzina per un’altra stagione di impegni senza sosta.

Ma in quest’estate il calcio riparte dalla sua faccia peggiore, quella del razzismo, in campo e fuori. Martedi 23 luglio, a Reggio Emilia, si è giocato il trofeo Tim, tradizionale triangolare estivo vinto a sorpresa dal Sassuolo nei confronti delle blasonatissime Juventus e Milan. Ad un quarto d’ora dalla fine, dagli spalti sono partiti cori razzisti contro il difensore del Milan Kevin Constant. Il giocatore francese ha tirato il pallone in tribuna e se n’è andato negli spogliatoi, proprio come, alcuni mesi fa, aveva fatto Boateng in un amichevole a Busto Arsizio.

Questa volta però né l’arbitro Gervasoni né i compagni di squadra di Constant né gli altri giocatori se la sono sentita di sospendere la partita e dare un segnale forte e chiaro ai razzisti da stadio. Gli interessi economici, televisivi e commerciali, hanno avuto la meglio, in una serata che doveva presentare i nuovo acquisti bianconeri Tevez e Llorente, rilanciare le ambizioni del Milan e promuovere la neopromossa squadra emiliana. Location d’eccezione, il nuovo Mapei stadium, voluto dal presidente del Sassuolo Giorgio Squinzi, capo di Confindustria e amministratore delegato della multinazionale dell’edilizia.

Soltanto ventiquattro ore ore prima, a Roma, nel quartiere di Testaccio, andava in onda un’altra puntata del tifo razzista e fascista. Pretesto, i festeggiamenti per la nascita dell’Associazione Sportiva Roma che da qualche anno, al netto di alcune dispute storiche, viene individuata nella data del 22 luglio 1927. Circa duecento tifosi giallorossi si sono ritrovati nello storico rione che ospitò il mitico campo di calcio in cui mosse i primi passi la squadra di Bernardini e Volk.

Dopo l’accensione di qualche fumogeno e il lancio di alcuni petardi, un gruppo nutrito di tifosi si sono staccati dal presidio e si sono mossi per le vie del quartiere, tra via Zabaglia e piazza Santa Maria Liberatrice, passando per la chiesa e il nuovo mercato rionale, imbrattando tutto ciò che incontravano con scritte razziste, antisemite e innegianti all’omicidio di Vincenzo Paparelli (il tifoso laziale ucciso da un razzo partito dalla curva Sud nel derby del 28 ottobre 1979). “SS Lazio Juden”, “Anna Frank tifa Lazio”, “laziale ebreo”, “laziale albanese”, “Coppa in faccia? No, razzo in faccia!”: questo il campionario dell’idiozia, corredato qua e là da svastiche che affiancavano la firma “ASR”.

“Non si tratta di una novità in assoluto: dal 26 maggio in poi, in diverse parti di Roma, sono apparse scritte di questo tenore, fatte sia da tifosi laziali che romanisti. Segno di una becera sottocultura, specificamente romana, che andrebbe indagata senza sconti. Colpisce invece il luogo, la diffusione e l’assoluta preminenza del carattere razzista e antisemita degli slogan sui muri di Testaccio”.

Un fatto gravissimo, che però non ha trovato un adeguato spazio di cronaca e di approfondimento nei media sportivi e non, e che dovrebbe interrogare la tifoseria su ciò che è avvenuto in questi ultimi dieci anni nelle curve romane. La curva Nord laziale, da sempre (e giustamente), è oggetto di inchieste, denunce, dibattiti sul rapporto tra tifo, destra neofascista e affari. Una storia che affonda le radici nel cambio di “gestione” avvenuto nei primissimi anni novanta, con la conquista della curva da parte degli Irriducibili, che scalzano il gruppo storico degli Eagles Supporters. Il cambio intendeva radicalizzare l’antica “vocazione” di destra degli ultras laziali e che, soprattutto, costruire un sistema economico attorno al logo di Mr Enrich e alla produzione di merchandising.

Questo scenario inquietante, negli ultimi anni, è stato incrinato, coraggiosamente, da diverse prese di posizioni ed esperienze di molti tifosi comuni, stanchi dell’equiparazione laziale-fascista. Anche la società di Lotito, non per nobili ideali ma soltanto per ristabilire una faccia presentabile in Italia e in Europa, ha deciso un cambio di passo nel rapporto con i gruppi ultras, favorendo un lento, contraddittorio cambiamento negli atteggiamenti della curva. Le maglie con lo slogan “No racism” – a seguito dei cori antisemiti contro i tifosi del Totthenam -, la scelta di inserire diversi giocatori neri, le iniziative comuni con la comunità ebraica: piccoli gesti che non parlano di una rivoluzione ma che contribusicono a portare un un po’ di luce nel mondo biancoceleste.

Lo stesso riposizionamento in curva di un vecchio capo degli irriducibili, Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, avviene dentro un cambio di gestione che non vede nessun gruppo in posizione egemonica, in cui non sono più preminenti i segni esplicitamente fascisti, come accaduto tra la fine degli anni novanta e gli anni duemila. Non parliamo certo di una conversione politica, ma di un atteggiamento dettato da ragioni tattiche e di interessi, come il progetto del “Terzo tempo”, la kermesse post gara che si tiene negli spazi adiacenti alla curva Nord. Un atteggiamento diverso che ha dovuto fare i conti anche con il dissenso esploso pubblicamente lo scorso anno in occasione della partita con gli inglesi.

A fronte di queste fibrillazioni del campo laziale, nel mondo romanista si è assistito a una sostanziale sottovalutazione dei mutamenti politici e culturali del tifo ultras. In molti casi si è creduto, in buona fede, che la storica collocazione “a sinistra” di gran parte del tifo giallorosso bastasse di per sé a difendersi dalla deriva neofascista della curva. Altri, in modo molto meno ingenuo, hanno deciso di girarsi dall’altra parte, quando una nidiata di gruppi esplicitamente fascisti conquistavano l’egemonia in curva e nell’immaginario ultras: i vecchi TradizioneDistinzione e i Boys di Paolo Zappavigna (insediati per un decennio, senza alcun problema, nel popolare quartiere di San Lorenzo), Giovinezza, Bisl, Offensiva ultras.

L’esaurimento della esperienza epica del Cucs (Commando ultrà curva sud), nel lontano settembre 1999, ha prodotto due fenomeni tra loro correlati; da una parte, la rimozione delle ragioni profonde di quel cambio di stagione; dall’altra, la paradossale rincorsa – a destra – dello stile e delle parole della curva Nord laziale, tanto odiata quanto “ammirata” per la sua compattezza, gerarchia, univocità di stile e messaggi.

Questo disorientamento culturale arriva fino ad’oggi, dentro le cronache di questi giorni, che con una discrezione sospetta non riescono a nominare per intero il “mostro” che emerge tra le vie di Testaccio: il quartiere “operaio e di sinistra” per antonomasia, simbolo dell’immaginario “popolare e romanista”, che viene stuprato pubblicamente da gruppi di giovanissimi impegnati nella gara all’insulto nazista (colpisce il silenzio della Comunità ebraica sempre attenta ai rigurgiti antisemiti). Non ha retto nemmeno la tregua, conquistata faticosamente dopo anni tremendi, attorno alla retorica dei “morti che non si toccano”: Paparelli diventa di nuovo il bersaglio ignobile di chi, frustrato dall’esito del derby di maggio, non trova di meglio che rivendicare l’omicidio di un tifoso comune, “un padre di famiglia”.

Questo è il grumo irrisolto di una storia antica e popolare che, per omertà e convenienze di comodo (mediatiche e di marketing), rischia di precipitare nel gorgo dell’ignoranza e del razzismo. “Ti amo” scriveva la curva Sud a metà degli anni ottanta, all’apice di uno stile che metteva la passione incondizionata per la propria squadra al centro della scena, conquistando l’ammirazione e il rispetto di tante curve. Oggi leggere “laziale giudeo” tra i lotti popolari di Testaccio è solo l’esito funesto di un collasso che molti non hanno voluto vedere.